Per arrivare alla casa non dove nacque, dove visse, soffrì e gioì più intensamente colui che ormai, mentre il secolo muore, di questo secolo ci pare essere forse il nostro poeta più grande, Giovanni Pascoli, per arrivare insomma a Castelvecchio di Barga (non scriverò mai Castelvecchio Pascoli, che suona malissimo all’orecchio, con quell’assurdo connubio di singolare e plurale)
, consiglierei, pur certo di non venire ascoltato, la ferrovia locale che da Lucca porta, attraverso la verde Garfagnana, ad Aulla, con sosta appunto alla stazioncina di Castelvecchio. Non scoraggiatevi, frettolosi miei contemporanei, la Firenze Mare e l’Autostrada della Cisa vi danno modo, con un supplemento di ottime rotabili, di portarvi rapidamente alla casa che il poeta acquistò, con orto e vigna annessi, nel 1902, in parte usando il ricavo delle medaglie d’oro vinte ad Amsterdam per il suo saper comporre perfetti versi latini.

Ho detto casa e non villa né casale; la costruzione, quadrata, con piccola scalinata esterna, portale in pietra grigia, intonaco bianco, ha la misura perfetta della dimora conveniente al medio borghese agrario che Pascoli aveva scelto di rimanere contro il destino che lo volle promuovere, come “status”, a docente universitario. Egli sentiva che questo era per lui l’unico modo di trovarsi poeta in armonia, anche se minacciata e straziata, col mondo.

Ma ecco, il fascino sottile di Caprona (è il nome della casa) e la sua verità stanno nel fatto che, entrati, ci si accorge dell’ambiguità che l’avvolge: cucina rustica ma grande studio occupato da tre tavoli esorcisticamente destinati ognuno ad un genere diverso di scrittura. Ancora: ariosa altana con due campane laiche ma in accordo con quelle di san Nicolò cui guardano e terragno forno per la cottura del pane impastato dal poeta e dalla sorella, “alla romagnola”… Insomma un sentore di sottile, ombroso, travestito estetismo per cui, genialmente, Emilio Cecchi ha definito questa casa di Castelvecchio “un antivittoriale”.

Potremmo anche dire, della magione sul Garda il doppio opposto e speculare. Ma tali non erano i due poeti? Raccomandiamo ai visitatori curiosi di intimità familiari e magari dilettanti di psicanalisi le camere da letto di Giovanni e Maria, divise da un sottilissimo muro, con i lettini eternamente adolescenziali per un colloquio sommesso e infinito fra i due.


“L’Espresso”, 30 maggio 1982

 

Castelvecchio

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Marina di Pietrasanta