Filetto
La Lunigiana è tutta stupenda, meno conosciuta e noiosamente tipica di come sono Toscana e Liguria classiche; lei infatti viene chiamata appena Toscanella. Bene, in essa ho scelto il borgo murato di Filetto. È un borgo o una piccola, anzi piccolissima città, questa che appartenne, una volta tanto, non agli inevitabili Malaspina ma agli Obertenghi? Non so, so che è un capolavoro di urbanistica, certo non involontaria ma neppure troppo programmata, col suo arco d’ingresso rimante con l’altro arco, alleggerito da una loggia di raccordo, che ti porta alla piazza centrale da cui, dopo una sosta nel silenzio vivo, abitato, dopo pochi passi ti ritrovi nel verde della campagna.
Ma la perfezione geometrica del breve itinerario ti ha ingannato. Non era finita, Filetto, aveva da offrirti un’altra piazza, contigua e come sorella di quella attraversata, più spaziosa seppure di meno cristallina armonia. La proporzione degli edifici, i signorili come i più modesti, la schiettezza dei materiali, il senso civile, rassicurante della vita possibile qui, rappresentano un ideale, ahimè impossibile a raccogliersi, sfida alle nostre città e al nostro vivere in esse. Di dantesco ci sarebbe, nelle vicinanze di questo bel paese della Lunigiana, una selva che la leggenda vuol avere ispirato quella dei suicidi e che è divenuta poi, ultimamente, sede della “fiera dei fidanzati”. Una bella metamorfosi non c’è che dire.
Da Pontremoli scendendo o da Aulla risalendo, vuoi con la A15 vuoi con la Strada della Cisa, pochi, non più di venti chilometri.
“L’Espresso”, 19 settembre 1982
Le Apuane