Perché, visitata Mantova, diretti in un ideale viaggio lungo la Padania verso Sabbioneta e Cremona, non vorreste deviare, a 6 km. dalla capitale gonzaghesca, per una fermata alle Grazie, in riva al Lago Superiore? Il santuario, che nasce nel ‘300 in un puro gotico lombardo, nei secoli si trasforma e, fatalmente, un po’ snatura, con disperazione dei puristi locali. Di Vasco Restori, che nel 1937 XV E.F., pubblica una sua minutissima guida di Mantova dove, delle Grazie è detto: “Tutt’intorno la semplicità ammirabile è deturpata da logge dove sono collocate statue quasi informi. Le colonne, i capitelli, le cornici sono di legno, le decorazioni di cera fusa; le statue ben poco elegantemente vestite. Il tutto ideato
e costrutto nel 1517 da Frate Francesco d’Acquanegra.

Questo insieme disarmonico dovrebbe essere tolto dalla chiesa, non però distrutto…”. Meno male, io vi invito alle Grazie proprio per assistere a una magnifica Opera dei Guerrieri Straccioni messa in scena dal geniale frate, anticipatore “naïf” di Goya e dei suoi “disastri della guerra”.

I soldati a brandelli, lo testimoniano gli accesi versi di ringraziamento scritti sotto, si salvarono per virtù della Madonna, nel continuo incrociarsi di battaglie nell’incorreggibile Europa del ‘500. Ed eccoli, impolverati e ammaccati ma salvi, ammonitori. Quasi un manifesto per la pace.

L’altra meraviglia delle Grazie, per goderne bisogna però aspettare l’estate, sono i loti. Un’incredibile, infinita distesa di loti rossi rosa e bianchi sposati al verde di grandi foglie ricopre questa parte del Lago Superiore e ci incanta, ci smemora, ci fa riaffiorare alla mente versi di Li Po, detti di Confucio. Ma questo dono, a Mantova, non lo fecero gli inevitabili Gonzaga, bensì una gentile naturalista di Parma, la prof. Maria Pellegreffi che, a conoscenza delle virtù alimentari, e farmacologiche della farina di loto, convince il marito a seminare qui il “Nelumbum Speciosum”. La semina viene fatta di notte, quasi di frodo; il risultato, miracoloso, un’immensa piana fiorita. Sembra una favola, anche se ha una data precisa, il 1921, dolcissima e bizzarra favola, un po’ cinese e un po’ padana. Non penso che i mantovani, grati alla giovane signora che con una sua fantasia su basi scientifiche variò la loro estate di nuovi, insoliti colori, abbiano mai osato arricchire una già ricca dieta con una nuova insolita farina.


“L’Espresso”, 24 gennaio 1982

 

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