Marcel Alocco a William Xerra

Se il lavoro di X. mi riguarda

è perché in qualche modo gli artisti di una stessa generazione inciampano negli stessi ostacoli, superano le stesse difficoltà, rimuginano gli stessi ricordi – il duro compito di assoggettare il reticente ready-made, di dominare il all-over, di disciplinare qualsiasi “cosa mentale” entro i limiti dell’opera spazio tela e colori aperti ad una esplorazione infinita.

è perché gli artisti, pure loro, sono partiti alla conquista dello spazio – il cielo intero, dell’azzurro, azzurro, azzurro, senza ammazzare gli uccelli, poiché la vita, il movimento, E=MC2, tutto si racchiude simbolicamente in un piccolo frammento, nel pennello in azione, in questa polvere colorata ed incollata che chiamiamo pittura, tutto si muove e si blocca e ruota attorno alla minuscola particella di materia solida di un chiodo da tappezziere.

perché l’arte è una menzogna a grandezza naturale, (io mento)

perché da sempre lo sappiamo

da quando abbiamo iniziato a firmare il gesto nella polvere, a tentare di perpetuarlo nella parete rocciosa, da quando il carbone di legna, la terra ocra, gli ossidi e i succhi, le pietre macinate depositate secondo un ordine o un disordine voluti segnano i tempi e i luoghi dell’uomo, dicono di sì al movimento, al sopravvivere, al vivere male, al vivere meglio, alla notte dei tempi e della caverne alla quotidianità del vissuto e dei bracieri e dei fuochi delle fucine.

perché questa menzogna è il dubbio contrastato di fronte ad ogni passo da compiere, di fronte all’ignoranza di sempre e a quella del domani, di fronte allo scandalo insondabile della morte e all’assurda, persistente volontà dell’umanità di perdurare accada quel che accada.

perché ogni creazione d’arte è l’ostinato diniego della realtà, perché ogni marea distrugge il castello di sabbia che con grande fatica – armati solamente delle nostre menti e delle nostre deboli mani vulnerabili al freddo, all’acqua, ai tagli, al logorio, alla decomposizione minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, ci sforziamo di riedificare, fatto questo testimoniato persino dal magma in fusione, dagli strati geologici accumulati, dai batteri e dai dinosauri fossilizzati, fino ai mammut rappresi nei ghiacci.

poiché tutto sorge da materia povera, piccolo tornio, poi si cancella sotto all’ultimo strato steso dal pennello.

eppure si rifà vivo in questo scarabocchio irrisorio che lentamente si ordina e crea un senso sotto la mano e negli occhi avidi di colori che un bambino fa sorgere sul vuoto della pagina che nessuno biancore saprebbe difendere a lungo, e nonostante questa fragilità della pelle e delle carni celate, l’abbagliamento dello straripare solamente per un attimo beve come il battito delle ciglia nel fluire dell’eternità, dello straripare tramite una forma mossa da un disegno il caos iniziale, prolungato e – sembra – finale, e dire, tutto sommato,

malgrado tutto l’ho scritto

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