Profilo Biografico



Nel primo lustro degli anni Sessanta la ricerca di William Xerra, che si forma al liceo artistico e quindi all’Accademia di Brera, è rivolta all’esplorazione delle poetiche del segno e della materia con attenta considerazione per la storia della nostra cultura nei suoi intrecci con l’arte europea, con particolare riferimento all’informale d’oltralpe. A partire dalle metà del decennio volge la sua attenzione alle esperienze della Pop Art e realizza una serie di dipinti ad acrilico nei quali costruisce il racconto di un diretto rapporto con gli eventi quotidiani: il rifiuto non gridato, la tranquilla evasione di un impiegato dalla iconografia semplificata (Porta).

La produzione dell’artista tra la fine degli anni Settanta è segnata da un interesse per il tema dello spazio che trova un primo esito nelle serigrafie e si conclude nell’ambiente percorribile del Labirinto, momento di sintesi della indagine sul rapporto spazio-uomo. Xerra presenta la sua ricerca nel 1969 alla collettiva “Proposte per una manifestazione incontro” al museo civico di Bologna e nelle personali di Bologna e Milano.

Nel 1967 Xerra incontra la poesia visiva, grazie alla frequentazione di poeti e intellettuali maturati nell’ambito del Gruppo ’63, e collabora con artisti che operano nel campo delle forme comprese tra scrittura e pittura.

Nel 1968 partecipa all’“Expo Internacional de novissima poesia” allestita al Museo de Bellas Artes di Buenos Aires e, nello stesso periodo, collabora alla fondazione di “Ant. Ed,”, foglio bimestrale di poesia e scienze affini. Si apre per Xerra un periodo di intensa partecipazione ad attività editoriali, che accompagna gran parte della sua produzione. Ininterrotta nel tempo è altresì la realizzazione di libri-oggetto, da All’altra estremità del campo (1970) a Oltre l’immagine riflettente (1973), per ricordarne alcuni, ai quali collaborano diversi autori, da Antonio Porta a Corrado Costa, a Pierre Restany. A questi anni appartengono opera come la Buste riflettenti, le Lapidi e i tre Poemi Flipper, questi ultimi realizzati in collaborazione con Corrado Costa: esperienze che si collegano, da un lato alla ricerca concettuale e dall’altro alla poesia visiva. All’inizio degli anni Settanta, tra happening, performance e video, avvia un sodalizio con Pierre Restany, teorico del Nouveau Réalisme. È del 1973 l’happening “Verifica del miracolo” realizzato a san Damiano Piacentino con l’intervento di Pierre Restany. La registrazione dal vero dell’apparizione della Madonna delle Rose viene filmata e fotografata e la documentazione della sequenza del miracolo è esposta a Bologna, Pavia e Milano. L’operazione dà luogo a interventi successivi, come l’installazione presentata nell’ambito della mostra bolognese “La metafisica del quotidiano” (1978).

Nel 1972 il “Vive” fa la sua comparsa sulle stampe tipografiche ripetutamente sovraimposte e quindi scartate. Nel 1975 la ricerca di Xerra si concentra sulle valenze testuali del segno pittorico: è questo l’anno in cui viene definitivamente integrato, nella sua opera, il logo tipografico del “Vive” che trapassa dalla pagina stampata all’icona, su immagini, parole, frammenti. “Xerra con cella sezioni della realtà, pone in rilievo figure secondarie, aspetti marginali, dunque vuole recuperare una sezione del mondo che è cancellata, che è rimossa” (A.C. Quintavalle, Vive, Geiger 1976). “Vive” rappresenta il leitmotiv dell’opera di Xerra fra il 1975 e il 1980 come testimoniano le numerose mostre di questi anni: Le personali allo Studio Santandrea, la presenza al Mercato del Sale di Milano, l’intervento alla galleria d’arte moderna di Bologna in occasione della mostra “Ars combinatoria”.

Tra il 1970 e l’inizio degli anni Ottanta, Xerra utilizza anche la performance come mezzo espressivo per azioni rivolte all’ambiente, alla situazione sociale e politica, al confronto con la storia dell’arte. Nel 1978 partecipa con una istallazione e un video, alla mostra “Venerezia” allestita a Palazzo Grassi. Del 1979 è il Percorso rituale dei Sassi di Matera, un itinerario che Xerra compie tra le vie di Matera segnando con la parola “Vive” il suo passaggio. Il suo è un rito celebrativo che si collega all’Opera dei Celebranti i cui interventi artistici sono contrassegnati dall’ambiguità rituale, definita e sostenuta da Solmi.

I primi anni Ottanta vedono un deciso ritorno alla pittura. Non viene però meno, anzi si rafforza, la presenza della scrittura nelle sue opere e la collaborazione con gli autori della poesia visiva. Il momento è storicamente racchiuso nel ciclo intitolato Malinconia.

Gli anni Ottanta si aprono con la settimana di performance a Pavia e sull’uso e il concetto di “Vive”.

A fine decennio Xerra è impegnato a Gedda, in Arabia Saudita, ad affrescare le stanze della dimora di un principe. L’affresco su committenza non rimane un caso isolato, tant’è che all’inizio degli anni Novanta, Xerra traccia i suoi temi dedicati a Cecco d’Ascoli sui soffitti di una villa patrizia nelle campagne di Ascoli Piceno. È il ritorno a un gesto ambientale che si associa alla pittura e si riflette nelle realizzazioni di opere di grande formato.

In questi ultimi tempi le energie dell’artista sono assorbite anche dal design: progetta suppellettili d’uso e oggetti di arredamento che, spesso, richiamano costruzioni già ipotizzate nelle opere su telaio interinale. Nel 1991 partecipa a “Metafora dell’oggetto” al Centro Domus di Milano. Nel 1993 Xerra è presente alla XLV Biennale di Venezia e alla Biennale di Chicago, al The Museum of Architecture and Design. Nel 1996 il Comune di Padova gli dedica un’importante personale a cura di Enrico Gusella.

Alla base delle opere di questa anni recenti è l’insieme dei riferimenti più cari a Xerra: il frammento, la parola, il suono, il segno, l’architettura che sorregge lo spazio vuoto della superficie: “Xerra rende plausibile l’ipotesi che la pittura sia profondamente immorale” (A. Tagliaferri, 1995).

Nel 1985 l’editore Prearo pubblica una monografia a cura di Gillo Dorfles e nel 1995 esce la monografia curata da Aldo Tagliaferri, edita da Mazzetta.