QUADRI

 
 
 

È uno degli ultimi pittori del rinascimento, e, secondo me, uno dei più grandi.

Veronese è il nome col quale viene conosciuto come artista. Il suo vero nome è  Paolo Caliari. Nasce a Verona nel 1528 e muore a Venezia, la città nella quale ha risieduto per quasi tutta la vita, nel 1588.

Il temi della sua pittura, oltre a ritratti di personaggi, sono soprattutto racconti: racconti di storia religiosa presi dalla Bibbia, dal Vangelo e da vite dei santi, ma anche racconti di storie mitologiche di vicende che coinvolgono dei e protagonisti della mitologia greca.

L’aspetto che contraddistingue queste narrazioni è che l’ambiente in cui si svolge è intensamente popolato da personaggi di vario genere, e che situazioni, arredi, abiti etc. ci portano al tempo del pittore. Il disegno è dolce, sfumato, il colore vivace, le espressioni, sorridenti o dolorose, molto esplicite.

Oltre quadri a olio su tela, Veronese fu incaricato di decorare edifici di architetti contemporanei, mediante cicli di affreschi. Negli anni Cinquanta decorò Villa Soranzo, mentre negli anni sessanta decorò con bellissimi e importanti cicli di affreschi la bellissima villa Barbaro a Maser di Andrea Palladio. Altri cicli di dipinti sono quelli della Pala d’altare Petrobelli e della chiesa di San Sebastiano a Venezia.

Un particolare interessante è che il Veronese venne sottoposto a un processo dell’Inquisizione. L’accusa si riferiva soprattutto ai contenuti di un suo quadro, ma di fatto potrebbe essere stata una forma di critica alla sua pittura da parte delle gerarchie ecclesiastiche.

Il fatto risale all’inizio degli anni Settanta. In quel periodo andò in fiamme una grande Cenacolo del Tiziano nel refettorio del Convento Domenicano dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia. Nel refettorio dei conventi era consuetudine che fosse esposta una immagine dell’Ultima Cena di Cristo. Per questo i domenicani affidarono l’incarico a Veronese di sostituire la Cena del Tiziano andata perduta. Veronese fece il lavoro a modo suo. L’ambientazione fu posta in una casa di ricchi, con colonne, sfondi ambientali, e, oltre a Cristo e agli apostoli seduti al tavolo centrale, il quadro venne arricchito una ridda di personaggi di varia estrazione, mercanti, soldati, perfino buffoni. L’atmosfera del quadro era sostanzialmente di allegria e vivacità. La cosa fu considerata una forma di eresia e Veronese fu chiamato davanti al tribunale dell’Inquisizione. Gli furono fatte molte domande sul significato di quelle immagini. In un primo tempo Veronese rispose che quello era un modo di dipingere, il suo modo di fare “arte”, e che non vi era alcuna allusione al momento sacro raffigurato. Ma poi, a seguito della minacce, trovò una via d’uscita. Al dipinto non fu più dato il nome di Ultima Cena, come previsto all’inizio, ma quella di Cena a casa di Levi, nome col quale viene ancora oggi contraddistinto.

Veronese poi dipinse un quadro raffigurante l’Ultima cena nel 1585. In questo caso l’atmosfera ambientale è caratterizzata da un profondo senso di dolore se non addirittura di disperazione.

 

VERONESE