IMPRESSIONS D’AFRIQUE, di Giorgio Battistelli (diretta radiofonica da Firenze)
Mazzonis nel suo saggio su Roussel nel programma di sala delle Impressions d’Afrique, mette in primo piano quello che sembra essere il problema chiave della scrittore: il ruolo, e la funzione del linguaggio, e quindi la sua struttura e il suo rapporto con la memoria. Citando Michael Foucault, riporta l’osservazione che se il linguaggio fosse ricco quanto l’essere, sarebbe il doppio inutile e muto delle cose. Cioè il linguaggio è un insieme di fonemi che traducono il contenuto di “loci” della memoria, loci che via via si arricchiscono con l’accumularsi dell’esperienza; e lo traducono non direttamente, ma per approssimazioni successive, aprendo inevitabili lacune fra il contenuto di questi “loci” e la loro espressione verbale. “Cette lacune illuminante du langage, Roussel l’a eprouvee jusq’à l’angoisse…“, scrive Foucault, sempre citato da Mazzonis.
Certamente il mistero del linguaggio è uno dei più appassionanti: basti pensare al suo ruolo nella poesia, alla capacità delle parole di evocare immagini, profumi, sapori che vanno al di là del puro significato etimologico, e che in molte occasioni evocazioni sono legate allo stesso suono fisico, all’accento, ecc, o addirittura al doppio significato contenuto in una stessa parola.
In Impressions d’Afrique (che ho avuto l’occasione di ascoltare nella diretta radiofonica, ma non di vedere in teatro) Battistelli parte da questo problema, e di lì cerca di addentrarsi nel mondo immaginifico, surrealista, assurdo, illogico di Roussel, cercando di capirne il significato attraverso una traduzione sonora. Il titolo non deve ingannare. Questo teatro musicale (Battistelli rifiuta la denominazione di “opera”, come d’altra parte aveva fatto Berio con Outis) non è la riduzione operistica del romanzo di Roussel, se non in termini appena accennati.
Il protagonista è Roussel stesso, con sue riflessioni, che occupano una parte importante del lavoro, riprese da diversi suoi scritti. L’episodio (narrato nel libro) dei naufraghi capitati su una spiaggia africana e fatti prigionieri da Re Talou VII del regno di Ponukelè, e che devono raggiungere la libertà attraverso una serie di giochi assurdi e incredibili, occupa una parte relativamente piccola, incastonato fra i vari interventi di Roussel stesso.
Il punto di partenza ce lo dice lo scrittore nel suo primo intervento: assonanza e omonimia delle parole per creare una catena di eventi, non importa quanto assurdi, ma tutti guidati, come una specie di filo d’Arianna, da queste caratteristiche del linguaggio.
L’esempio che viene fatto parte dall’assonanza delle parole “billard” (bigliardo) e “pillard” (saccheggiatore), e dalla omonimia delle parole blanc (bianco colore, o uomo bianco), lettres (lettere come segni tipografici o lettere come missive), e bandes (bordi oppure orde di guerrieri). Le frasi che stanno l’una ad un capo della sequenza, l’altra all’estremità opposta sono
1) Le lettres du blanc sur le bandes du vieux billard
2) Le lettres du blanc sul le bandes du vieux pillard
Queste due espressioni di significato lontanissimo l’una dall’altra, assieme a tante altre simili, ci portano agli assurdi giochi che i naufraghi devono eseguire per ottenere la liberazione.
Battistelli si limita ad esplorare alcuni di questi giochi, e li sceglie fra quelli in cui il linguaggio è maggiormente investito: l’ode alla gloria degli omonimi; la recita di un brano di Racine; una poesia di Umberto Saba; il padiglione acustico.
L’opera si può quindi definire, più che un trasferimento del romanzo, un omaggio a Roussel, alla sua ricerca e soprattutto alla sua immaginazione. E l’omaggio viene anche esteso a Jules Verne, l’autore preferito di Roussel, che ad un certo momento sbarca sulla costa africana da un sottomarino.
Queste sono alcune delle implicazioni fra il lavoro di Battistelli e l’opera di Roussel, ma molte altre se ne potrebbero aggiungere. Ad esempio il fatto che Roussel fosse un grande viaggiatore, ma stranamente, i viaggi riportati nelle sue opere non si riferiscono a cose da lui viste, ma a cose da lui immaginate nei luoghi visitati. Quindi l’Africa di Impressions d’Afrique è un Africa del tutto immaginaria, anche se reale, come reale è la stessa immaginazione. E in Battistelli l’Africa è presente, soprattutto nei cori, che richiamano forme espressive africane (vere o immaginate?).
Questa può essere definita, sia pure incompletamente, la struttura drammaturgica dell’opera.
La musica. Nel lavoro la musica è realizzata dall’orchestra e dal coro. A parte il coro, non vi è canto. Gli interventi dei protagonisti sono parlati, recitati. Ma non si deve pensare che la musica sia paragonabile alle musiche di scena di un lavoro di teatro di prosa. Musica e parlato si fondono attraverso il ritmo, il tono, le inflessioni vocali (non canto, tuttavia!) degli attori, i quali hanno evidentemente un ruolo molto difficile, gestito non solo dal regista, ma anche dallo stesso direttore d’orchestra.
Per fare questo Battistelli è ricorso ad artifici piuttosto complessi, e da me non del tutto capiti per mia ovvia insufficienza tecnica, fra cui la campionatura dei suoni, e la spazializzazione ottenuta attraverso sistemi microfonici ed elaborazioni al computer. Indubbiamente un ascolto radiofonico, in questo senso deve essere stato insufficiente, e una maggior chiarezza probabilmente si sarebbe potuta ottenere con la presenza nella sala dell’esecuzione.
La parte orchestrale è armonicamente e timbricamente molto ricca. L’introduzione è una specie di lamento con coro sul letto di morte di Roussel (morte avvenuta in circostanze misteriose il 14 luglio in un albergo di Palermo), alla quale fa seguito il primo intervento dello scrittore che spiega la sua ricerca linguistico-drammaturgica.
Poi si passa all’ambiente africano, con cori guerrieri, l’intervento del Re Talou VII, l’arrivo dei naufraghi, etc. La musica si presenta come fasce sonore descrittive (per esempio, in una delle riflessioni di Roussel, si può sentire un ostinato ritmico che simula la pulsazione del pensiero dello scrittore), o come interventi lirici affidati agli archi nella recitazione delle parti poetiche, o addirittura come una specie di rap quando l’infermiera elenca ritmicamente con voce rapida tutte le medicine che Roussel prendeva durante la giornata.
Il risultato è tutt’altro che sgradevole. Il linguaggio musicale è abbastanza intuitivo, il raccordo con le voci chiaro. Se ne ricava la sensazione che Battistelli si sia molto preoccupato della comprensibilità del tutto, e gli va dato atto di avere ottenuto un buon risultato.
In conclusione devo dire che questo lavoro mi ha interessato, e, inoltre, mi ha aperto un mondo finora a me sconosciuto: quello di Raymond Roussel e del suo rapporto con il linguaggio.