FERNANDO CORTEZ, di Gaspare Spontini

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Ho amato Spontini da quando, nel 1993 ascoltai alla Scala La vestale. L’opera mi aveva colpito per il suo impianto squisitamente drammaturgico, per la tensione suscitata dalla musica, per la vitalità dei personaggi, splendidamente caratterizzati, per l’intensità  dei sentimenti espressi. In questi giorni, amici mi hanno fatto avere altre opere di Spontini, che mi hanno ulteriormente avvicinato al mondo di questo grande, e quasi ignorato compositore, da me amato. In particolare mi interessa parlare del Fernando Cortez. Lo faccio dopo avere ascoltato e riascoltato l’opera, purtroppo senza averla potuta vedere dal vivo.

Come nella Vestale, anche nel Fernando Cortez siamo di fronte ad un forte e formalmente equilibrato impianto drammaturgico. Anche qui colpisce l’intensità e la vitalità dei personaggi e dei loro sentimenti.

L’argomento del dramma è storico. Si tratta di un episodio della 
conquista del Messico da parte degli spagnoli guidati da Cortez. L’opera 
è stata scritta nel 1805. Siamo nel periodo dei massimi successi di 
Napoleone, dei sogni imperiali che agitavano la Francia, degli echi 
delle vittorie di Ulm e di Austerilz. L’ambientazione, pur essendo 
collocata in altri continenti e in altri periodi storici, risente di 
questo clima, e risponde all’intento di Spontini di disegnare il 
contrsto fra sentimenti di amor di Patria, di amore, di tensione eroica 
che agitano i protagonisti, sullo sfondo di una guerra di conquista.

L’arcata drammaturgica si dipana dal momento in cui prigionieri 
spagnoli, fra cui lo stesso fratello di Cortez, nel campo azteco a 
Città del Messico stanno per essere immolati nel rituale sacrificio; 
attraverso lo svilupparsi dei rapporti complessi fra i tre protagonisti 
e i tentativi di salvare gli ostaggi e di pervenire ad una pace fra 
spagnoli e aztechi; fino al momento in cui Cortez, vittorioso, non solo 
libera il fratello e i suoi commilitoni, ma offre la pace a Montezuma, 
rinunciando ad infierire sul popolo vinto. Il climax del dramma si ha 
alla fine del secondo atto, quando Cortez, nel respingere le umilianti 
offerte azteche, e dopo aver domato una rivolta dei soldati nel proprio 
campo, fa incendiare le navi per rendere impossibile la ritirata. 
Nell’arcata drammaturgica particolare rilievo ha la storia d’amore fra 
Amazily, principessa Azteca, e Cortez.

I protagonisti sono tre: Lo stesso Cortez, Amazily, innamorata di Cortez 
e da lui riamata, e Telasco, suo fratello e comandante in capo 
dell’esercito azteco. I tre personaggi sono ben disegnati dalla musica.

Cortez è il comandante spagnolo, orgoglioso, d’animo nobile, dotato di 
volontà ferrea. I suoi interventi sono per lo più recitativi. Tuttavia 
è da rilevare che i suoi recitativi presentano una linea musicale molto 
espressiva, a seconda delle situazioni, e che l’accompagnamento 
orchestrale ne esprime efficacemente i sentimenti.

Amazily è la donna innamorata dell’uomo in quanto eroe, e in questo è 
eroica essa stessa. Essa è condannata dal suo popolo come traditrice, e 
da più parti si richiede di immolarla come vittima sacrificale, dopo 
che i sacerdoti avevano immolato la madre. Il suo amore per Cortez non 
è solo amore per l’uomo, ma per ciò che esso rappresenta: nobiltà, 
sete di giustizia, portatore di un credo in un Dio che non chiede 
sacrifici umani ma che invita al perdono. Per questa sua consapevolezza 
non esita a scontrarsi anche col suo stesso fratello. È il personaggio 
più complesso dell’opera, che accanto alla determinazione di perseguire 
ciò che considera giusto, e in primo luogo il suo amore per Cortez, sa 
anche esprimere momenti di tenerezza, senza mai cadere nello sdolcinato. 
Le sue arie sono bellissime, intense, prive di inutili virtuosismi, 
emotivamente coinvolgenti. Questo è vero anche i duetti nei quali 
interviene. Le linee melodiche esprimono molto bene il contrasto di 
passioni e di sentimenti che la agitano.

Telasco, viene presentato come un personaggio eroico, ma molto diverso 
da Cortez. Cortez è un conquistatore. Telasco difende la Patria, 
difende la sua libertà, la sua indipendenza, le sue tradizioni. Il suo 
è amor di Patria senza compromessi, al quale sacrifica anche gli 
affetti familiari. Pur essendo, nel triangolo, il baritono, esso non è 
da considerarsi il cattivo, anche se è l’antagonista di Cortez. Il suo 
duetto con la sorella nel primo atto, il suo recitativo minaccioso nel 
secondo, e la sua aria nel terzo, caratterizzano molto bene questo 
personggio.

La musica dell’opera è bellissima e determina all’ascolto viva 
emozione.

Già l’inizio che ci introduce nel macabro rituale dei sacrifici umani, 
è caratterizzato, in uno sfondo di cupi accordi orchestrali, dalla 
contrapposizione di un canto di grande nostalgia (“O Iberia mia, diletto 
suol nativo“) cantato dai prigionieri spagnoli, e di un coro feroce, 
barbarico, del popolo azteco che chiede la loro morte (“Su piantiamo 
agli inumani“). Il coro dei messicani desta una profonda impressione, 
rafforzata da un in incedere tumultuoso, interrotto da una pausa quasi 
di stupore per la violenza dell’espressione, prima di concludersi in 
crescendo. Il coro degli spagnoli gradualmente passa dalla nostalgia al 
coraggio fino all’orgoglio e alla fede (“Creator del nuovo mondo“). 
Ma i prigionieri non saranno sacrificati. Montezuma, il re, vuole 
proporre uno scambio a Cortez, e in questo dovranno avere un ruolo 
importante Amazily e Telasco. Amazily, colpevole di amare Cortez, 
risponde alle accuse con un’aria che suona orgoglio e sfida “Empio 
ministro d’implacabil dio“, e rivendica i nuovi sentimenti di perdono e 
di consolazione che il Dio portato da Cortez incarna. Quindi cerca di 
convincere il fratello in un duetto (“O mio fratel, non gravi a te 
udirmi“) che in una prima parte, è caratterizzato da un canto 
supplichevole, quasi familiare, quando i due fratelli cercano di 
convincersi reciprocamente; ma si conclude poi con una cabaletta (“O 
patrio nume vendicator“), nella quale al canto teso del fratello, il 
soprano contrappone una serie di linee ascendenti e discendenti che 
formano una specie di contrappunto, quando ogni intesa si rivela 
impossibile. 
Un prodigio del cielo giudicato come presagio funesto, introduce nel 
finale, nel quale l’insieme del coro e dei protagonisti esprimono 
pessimismo nella missione, che pur Montezuma continua a volere, e si 
preparano alla imminente battaglia su temi eroici e guerreschi. 
Tutto l’atto è pervaso da una grande tensione per i contrasti che vi si 
animano, per le gravi minacce, per le speranze riposte. Mai la musica 
ristagna, ed il tutto induce uno stato emotivo di grande intensità.

Il secondo atto si apre con un coro dei soldati spagnoli che manifestano 
il loro malcontento, la paura dovuta alla recente sconfitta, e la 
volontà di tornare in patria (“Lasciam l’ingrata riva“). Sta prendendo 
corpo l’ammutinamento. 
Qui si presenta già il carattere di Cortez, che non si lascia 
impressionare; e con un recitativo calmo, fermo, orgoglioso, cerca di 
convincere i soldati. Cortez ora si trova di fronte a tre problemi: 
domare l’ammutinamento, liberare i prigionieri, e convincere i suoi che 
l’amore per Amazily non è un tradimento. 
Amazily in un recitativo di volta in volta teso e supplichevole, 
convince Cortez che Montezuma sarebbe favorevole ad uno scambio per la 
pace, ma che c’è un partito fra gli Aztechi animato da crudeltàe 
fanatismo che si fa responsabile di crimini, fra cui la morte di sua 
madre. L’incontro si conclude con una dolcissima (e bellissima) aria 
d’amore di Amazily per Cortez, (“Ahimè! Ella morì“). 
L’aria confluisce poco dopo in un duetto d’amore (“Qual mi colpa un 
suon“), alla notizia che sta per giungere Telasco con l’ambasciata di 
Montezuma. Come nel primo duetto col fratello, le due voci iniziano 
disgiunte in una specie di contrappunto, ma a differenza qui tendono poi 
a fondersi. C’è da dire che in Spontini i duetti d’amore tendono a 
mettere in evidenza più che la dolcezza del sentimento, la forza 
dell’unione davanti agli eventi. In questo caso, l’arrivo di Telasco e 
la necessità di far fronte comune sono sottolineati da un 
accompagnamento orchestrale che è lo stesso che successivamente 
accompagnerà l’arrivo dei messicani. 
La grande scena dell’incontro di Telasco con Cortez è preceduta da un 
sontuoso coro, di grande forza (ricorda molto il coro conclusivo del 
primo atto della Vestale). Quindi Telasco, in un recitativo scandito con 
energia mette Cortez davanti all’alternativa: la liberazione degli 
ostaggi e la sua partenza sulle navi, oppure il massacro degli ostaggi e 
la guerra che si concluderà con lo sterminio degli spagnoli: “A te non 
resta asilo, fuor dalle onde del mar”. “È a me rivolto un linguaggio 
simil?” risponde con alterigia Cortez. 
Telasco, oltre che di minacce è portatore di oro e di doni tali da 
fomentare ulteriormente la discordia fra gli spagnoli. Seguono balletti 
che mirano a ricreare un clima di pace e di felicità fra i soldati. 
Infatti alla fine dei balletti, scoppia l’ammutinamento. Cortez, con un 
recitativo (“Qual mai terror dissennato v’assale?“) forte, altero, che 
fa ricorso al senso dell’onore, alla gloria, che appalesa un coraggio 
personale (“Io resto qui”), riesce ad aver ragione dell’ammutinamento. 
C’è da notare che i recitativi non vanno intesi nel senso tradizionale 
delle opere a numeri, ma sono dei veri e propri declamati, con una linea 
vocale fortemente espressiva, e accompagnati da un’orchestra che 
sottolinea i sentimenti epressi nella linea vocale. In questo caso il 
recitativo è inframmezzato dai cori dei soldati che pian piano vengono 
condotti alla ragione e alla fierezza del loro ruolo. Il tutto si 
esprime in un grande senso dell’onore, dell’orgoglio che dal recitativo 
di Cortez si trasferisce negli interventi corali dei soladati. “Ben 
siete voi, vi riconosco alfin!” conclude Cortez e dà l’avvio a un coro 
guerresco “Voliam di gloria in gloria”. 
Domata la rivolta, Cortez, sempre col modo altero e orgoglioso, risponde 
alle minacce di Telasco con un recitativo di tono elevatissimo e non 
privo di ironia: non se ne andrà da questa terra che egli ha 
conquistata, e se egli crede che il suo rifugio estremo sia la flotta, 
ebbene guardi quello che possa “volontà gagliarda”. E accompagnato da 
un coro terrificato fa incendiare le navi alla fonda. Telasco comunque 
rimarrà suo ostaggio. L’atto si conclude con un nuovo coro guerresco 
dei soldati spagnoli, che partiranno alla conquista di Città del 
Messico. 
Già come il primo atto, anche questo secondo atto, nel quale domina la 
potente personalità di Cortez è teso e ricco di emozioni. Gli eventi 
che conducono al climax dell’incendio delle navi si dipanano secondo 
linee musicali di grande espressività e senza concedere nulla a 
virtuosismi vocali che non siano funzionali allo sviluppo dell’azione.

Il terzo atto si apre con un coro guerresco degli spagnoli che stanno 
marciando verso Città del Messico, mentre Telasco, impotente in quanto 
prigioniero, medita con angoscia e dolore davanti alle tombe degli 
antenati, simbolo dell’indipendenza della Patria, in un aria che inizia 
con grande tristezza ed evolve in un sussulto di orgoglio e di volontà 
(“O patria mia, sacra a tante memorie“). 
Ma Cortez è riuscito a farsi promettere da Montezuma la liberazione dei 
prigionieri spagnoli, e quindi libera Telasco, invitandolo, pur tuttavia 
a restare nel campo spagnolo, dato che egli e Amazily si sposeranno. Ma 
in Telasco prevale l’amor di patria agli affetti familiari, e rifiuta. 
Amazily è fortemente rattristata da questo, ma in una bellissima aria 
si rivolge nuovamente ad Cortez, donandogli senza riserve la propria 
vita (“O re dei miei destini“). Questo suo dono non è servitù, ma al 
contrario, essa fa a lui questo dono immenso, consapevole che questo 
potrebbe portarla a decidere di sacrificarsi. E questo infatti emergerà 
subito dopo, quando giunge la notizia che i prigionieri spagnoli, 
contrariamente alle promesse, non sono stati liberati. Telasco, 
giungendo a Città del Messico li ha sequestrati, e li cederà solo in 
cambio di Amazily, che dovrà essere sacrificata per il suo tradimento. 
Cortez a questa notizia prende la decisione di marciare su Città del 
Messico con tutte le forze e di fare una strage dei nemici, ma Amazily 
interviene, e in terzetto con Cortez e Moralez, manifesta la sua ferma 
volontà di salvare Cortez, i prigionieri, e la pace col suo sacrificio. 
Che questo sia segno d’immenso amore, di vero dono della sua vita a 
Cortez lo dice chiaramente la musica, che riprende il tema dell’aria “O 
re dei miei destini“, ma risuona anche in accordi orchestrali cupi, 
foschi, che richiamano il clima dei sacrifici umani dei messicani. 
Ancora una volta Cortez, con un recitativo tipico della sua persona 
dominante, chiama i suoi all’intervento armato, e si accomiata da 
Amazily con un altro duetto d’amore (“Brilla un raggio al pensier mio“). 
Qui l’andamento delle linee del canto è il contrario di quello del 
precedente duetto. Ovvero qui le linee tendono a disgiungersi: Cortez 
vuole intervenire con le armi, ma Amazily vuole intervenire col suo 
sacrificio personale. E questo sarà il tema del successivo bellissimo 
arioso in cui convivono dolcezza, e volontà, accompagnato da toni 
orchestrali cupi e funesti, che ci riportano al clima opprimente dei 
sacrifici umani. 
La battaglia è in corso, come l’orchestra con un breve interludio ci fa 
sapere. Città del Messico sta per essere conquistata dagli spagnoli, la 
reggia è in pericolo. Montezuma decide di incendiarla, di liberare i 
prigionieri, e di lasciarsi morire nel rogo. 
Ma gli spagnoli arrivano, con un coro trionfale, e Cortez, vincitore 
offre a Montezuma la pace per amore di Amazily. Il tutto si conclude con 
un’apoteosi, che ricorda il finale della Vestale. 
Anche questo atto come gli altri due, scorre su una tensione nella quale 
si confrontano i tre principali personaggi: Telasco, con il suo amor di 
Patria, che lo costringe a rinnegare gli affetti familiari; Amazily con 
la sua dedizione all’uomo Cortez, ma soprattutto alle idee di cui è 
portatore; Cortez, con il suo orgoglio, la sua volontà, il suo carisma, 
la sua nobiltà. 
Il finale, naturalmente, oggi ci pare un pò forzato. Ma questo riflette 
la prassi dell’epoca.

2 Commenti a “FERNANDO CORTEZ, di Gaspare Spontini”

  1. Marco Palmolella scrive:

    Caro amico,
    è un vero peccato che tu non abbia visto il Fernando Cortez. Hai scritto una pagina bellissima, da grande esperto spontiniano e, incredibile, solo attraverso un disco, immagino quello del 1951 con Gabriele Santini.
    Sei molto bravo, hai colto molti aspetti dell’arte spontiniana e mi è piaciuto leggerti, tra questi la solidità del rapporto tra Licinio e Giulia è simile a quello tra Fernand e Amazily. così il finale, tutte le opere di Spontini hanno un lieto fine condiviso anche da de Jouy.
    Se ti sei basato sulla recita con la Tebaldi a Napoli, in questa registrazione c’è la sinfonia dell’Olimpia e non quella, più militare, del Cortez.
    Mio padre partecipò a questa rappresentazione, come a tutte le altre spontiniane capitate nella sua vita, ma non mi raccontò di questo scambio, chissà se questo capitò in tutte le recite o solo in alcune.
    Se capiterai a Majolati Spontini sarò lieto di mostrarti il Museo Spontini e gli altri luoghi spontiniani.
    Complimenti
    Marco Palmolella

  2. Rudy scrive:

    Ti ringrazio del commento. Il vero esperto, che mi ha introdotto nell’apprezzamento di Spontini è Paolo Prete, che su IAMC, per un certo periodo, ha scritto sotto lo pseudonimo di Pamilton.
    Su suo consiglio, di Spontini ho potuto vedere dal vivo, oltre alla Vestale scaligera, anche Milton e la Julie. Le altre, purtroppo, non mi è stato possibile. Con Paolo, siamo riusciti a parlare con Muti per sapere se in un prossimo futuro intende rappresentare l’Agnes. Ha parlato di Salisburgo, non ricordo per che anno (2013?). Sarà un’occasione da non perdere, soprattutto se la farà in modo completo e in lingua tedesca.

    Del Fernando, il disco cui mi riferivo è quello diretto da von Matacic del 1974. Ho anche l’edizione diretta da Santini, cantata dalla Tebaldi. A parte l’ouverture dell’Olimpia (non capisco il perché: quella originale è bellissima), anche l’esecuzione mi è sembrata meno convincente di quella di von Matacic,

    Sono andato una volta a Jesi al Festival del 2003, dove ho visto Lalla Rookh, in uno spettacolo da dimenticare, nella quale la parte del leone l’ha fatta un testo scritto e letto da Aldo Busi. I programmi dei Festival successivi non mi hanno stimolato a ritornarvi.

    Ciao e piacere di averti letto!

    Rudy

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