MILTON e la JULIE di Spontini nello splendore di villa Pianetti a Monsano

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Vedere queste due piccole gemme di Spontini, ne valeva la pena. Due opéra-comique in un atto di ascolto assai raro, come quasi tutte le opere del compositore marchigiano. Nonostante molti elementi che le accomunano (in entrambe ha un ruolo importante l’equivoco), le due opere sono molto diverse, soprattutto per l’atmosfera che creano e nella quale, come ascoltatore, non ho avuto alcuna difficoltà ad immergermi.

L’argomento della Julie, ou le pot de fleurs è molto semplice. Lo zio di Julie promette la giovane nipote in sposa a un suo carissimo amico, piuttosto avanti negli anni. Julie, per compiacere lo zio promette, ma rivela di essere innamorata di un giovane ufficiale incontrato per una sola volta alcuni mesi prima, e quindi partito per la guerra. Ma proprio mentre lo zio strappa la promessa di matrimonio alla nipote, questa rivede insperatamente e inaspettatamente il giovane ufficiale, grazie anche ad un vaso di fiori che cade dalla finestra. I due giovani così s’incontrano, ma a dividerli c’è la promessa di matrimonio appena strappata. Essi cercano di superare l’ostacolo rivelando il loro amore. Il caso vuole che il ragazzo s’imbatta nel promesso sposo, e lo scambi per lo zio di Julie, dando luogo all’equivoco sul quale si base l’opera. Il promesso sposo asseconda l’inganno e si può immaginare il tipo di conversazione che ne segue, dalla quale si apprende anche che il giovane ufficiale è cugino del promesso sposo e, pur non avendolo mai visto, è in forte lite con lui per una questione di eredità. Ma il giovane è ora in possesso di un documento che gli dà ragione e vuole vendicarsi nei confronti del cugino. Ben presto l’equivoco si scioglie, i rispettivi ruoli vengono chiariti, e il cugino, promesso sposo di Julie, si dimostra persona ragionevole, sciogliendo Julie dalla promessa, e riconoscendo i diritti del giovane ufficiale.

I caratteri sono ben delineati: Julie è una ragazza semplice, disposta a compiacere lo zio, ma anche decisa la sua parte quando si tratta di difendere il suo amore. Lo zio è una figura paterna, non aliena da un certo autoritarismo. Il giovane ufficiale è una persona con la tipica irruenza giovanile, scarsamente incline alla riflessione, focoso nelle sue manifestazioni di amore e di odio (per il cugino, che pure non conosce). Il promesso sposo è, al contrario, una persona ragionevole, di spirito, e disposta alla comprensione, al punto da essere titubante ad accettare la proposta dell’amico di sposarne la nipote, a causa della gran differenza di età, e da giustificare le intemperanze del giovane cugino, lasciandogli libero il campo sia nell’amore sia negli interessi.

La musica si raccoglie in una ouverture e in otto numeri (arie, e duetti e un bellissimo quartetto finale). Come vuole la tradizione, la vicenda si sviluppa soprattutto nelle parti parlate (che a Monsano sono state recitate pressoché integralmente), mentre alla parte musicata è riservata soprattutto l’espressione dei sentimenti, delle riflessioni e quindi la caratterizzazione dei personaggi: Mondor lo zio canta un’aria vigorosa, sottolineata da bellissimi interventi dei corni (che tuttavia in questa esecuzione lasciano molto a desiderare sia come intonazione sia come timbro), nella quale afferma che un uomo a quarant’anni è ancora giovane e può sposare a giusto titolo una quindicenne; Julie, con un’aria delicata, richiama alla memoria quel giovane che ha colpito la sua fantasia e che non riesca a dimenticare; il giovane tenente canta delle couplet baldanzose e burlescamente militari; il promesso sposo in un’aria dall’andamento nobile guarda con simpatia e con affetto il giovane impetuoso cugino; infine il quartetto che porta allo scioglimento dell’equivoco è forse la parte più bella dell’opera passando dallo stupore iniziale a tutta la rete di incomprensioni che poi diventano comprensioni, con vari scambi tematici fra le voci, e un gradevole gioco contrappuntistico. Molto bella è anche la breve ouverture, che ci introduce con leggerezza nella vicenda

La mia impressione è che si tratti di un’opera fondamentalmente “narrativa”: cioè viene rappresentata una vicenda, i personaggi che le danno vita, e la musica ce li fa vivere, con tutti quegli accenni di comicità che gli equivoci possono generare, senza tuttavia cadere mai nel farsesco o nella comica grossolana. La chiave di lettura è la semplicità descrittiva, l’eleganza della strumentazione (i corni svolgono un ruolo importante) e delle parti vocali (che non si lanciano mai in virtuosismi fine a se stessi), e il ritmo molto ben scandito dall’alternanza delle parti parlate e delle parti cantate.

 

Il Milton è un’opera molto diversa, e di una bellezza che non esiterei a definire un capolavoro.  È un’opera struggente, di grande poesia. L’emozione che m’ha provocato mi ricorda un po’ quella dell’Anacreon di Cherubini. Opere che parlano all’intimo e che, come ho detto in altre occasioni, più che ad ascoltare, inducano ad ascoltarsi.

La trama, se vogliamo, è ancora più semplice di quella della Julie. Anche qui ci sono degli equivoci (in realtà, più di uno), ma essi più che l’occasione per lo sviluppo della trama, sono la cornice: la chiave dell’opera è Milton stesso, il suo grande spirito, e i pericoli che il grande uomo, che è stato consigliere di Cromwell, corre nel periodo della restaurazione sotto Carlo II.

La trama è quasi inesistente. Milton, vecchio e cieco, dopo la caduta di Cromwell, di cui era segretario, teme di essere nella lista dei proscritti e si è rifugiato assieme alla figlia Emma, presso un amico, Godwin, il quale ha a sua volta una figlia, Carlotta. Il gruppo è completato da un giovane, Arturo, assunto con il compito di assistere il poeta, di leggere per lui, etc. Qui ci sono già alcuni equivoci. Milton crede che Arturo sia un vecchio, Carlotta è innamorata di Arturo ed è certa di essere ricambiata, mentre Arturo innamorato di Emma si sente un po’ intrappolato. Emma a sua volta è innamorata di Arturo, ma a sua volta crede che il giovane sia innamorato di Carlotta. Godwin è sospettoso nei confronti del giovane e pensa che sia una spia di Carlo II per intrappolare Milton, il quale, sentendosi braccato, decide di fuggire in Scozia.

Tutti gli equivoci si risolvono quando si scopre che Arturo è il figlio di un nobile inglese, a suo tempo salvato per intercessione di Milton, che si è dato da fare per ottenere il perdono reale in favore del poeta. Naturalmente anche gli equivoci sentimentali troveranno la loro giusta soluzione.

Nonostante gli equivoci nella trama siano più elaborati e complessi di quelli della Julie, essi non rappresentano la chiave di lettura dell’opera che invece sembra essere piuttosto un omaggio alla figura del grande poeta inglese. Fra parentesi, è opportuno ricordare che l’opera è stata rappresentata nel 1804, cioè in una Francia ancora repubblicana, e che non poteva non avere in simpatia personaggi come Milton che avevano avuto un importante ruolo nella rivoluzione di Cromwell.

Milton è disegnato come uno di quelle persone di animo nobile (viene ricordato il suo intervento presso Cromwell per salvare la vita a un nobile inglese, intervento che lo stesso Milton stenta a ricordare, tanto gli è parso naturale), di squisita sensibilità, timoroso per sé e sua figlia, ma alieno dall’odio e dai risentimenti; in sostanza una persona dotata di una ricchissima vita interiore, forse favorita dalla sua cecità. Una di quelle persone amate e stimate da coloro che lo circondano, che non esitano a sacrificarsi per la sua salvezza.

Il suo ingresso nell’opera avviene con uno stupendo e poeticissimo Inno al sole (lui, cieco!), un aria con un andamento solenne, al quale danno vita degli stupendi interventi dei corni (qui un po’ riscattati dopo la brutta prova nella Julie), e che il basso Olivier Heyte ha saputo rendere con un canto dolce, commosso, profondamente partecipato. Quale differenza con l’esecuzione di Giovanni Giminelli sotto la direzione di Paoletti con l’orchestra di Milano della RAI! Qui l’interpretazione è roboante, “incazzosa”, il contrario di quello che l’aria (e il carattere di Milton) richiederebbe.

Ma voler fare un elenco delle bellezze dell’opera, si dovrebbe analizzarla battuta per battuta. Anche nel Milton vi è un’ouverture, (stupenda!) e otto numeri inframmezzati da dialoghi parlati. Nell’edizione della RAI i dialoghi erano sostituiti da recitativi secchi, scritti, pare, con il consenso di Spontini stesso. Tuttavia mi sembra di dover affermare la netta superiorità dell’esecuzione originale, in forma di opéra-comique, nella quale i dialoghi parlati hanno una funzione di scandire il succedersi dei numeri, e non di mero collegamento, come avviene per i recitativi.

Comunque val la pena di citare la splendida aria scozzese, anch’essa di altissima poesia, cantata in duetto dal tenore e dal soprano, e il quintetto finale, nel quale appare ancora Milton che detta una descrizione dell’Eden del suo Paradiso perduto, mentre Emma e Arturo si rivelano il reciproco amore e Godwin e la figlia si rendono conto delle loro illusioni. La musica anche qui è altamente poetica, rischiarata da bellissimi interventi dell’arpa, e fa incontrare in una sorta di contrappunto le bellezze della natura dell’Eden dove Adamo ed Eva vivranno il loro primo amore, e l’amore vero sbocciato fra Emma e Arturo.

Ma si farebbe un torto agli altri numeri, se non li si citassero come altrettanti piccoli capolavori, a partire dall’aria di Emma, che si sente sola come un fiore del deserto (ella ama Arturo, ma crede che Arturo sia innamorato di Carlotta) e riprende un tema dell’ouverture, il terzetto degli equivoci (che Pamilton, molto meglio di me ha analizzato in un post su questo NG), il quartetto che precede il quintetto che apre lo scioglimento degli equivoci, o le couplets di Carlotta, prima aria dell’opera, nella quale con gioconda vivacità la giovane afferma di essere certa dell’amore di Arturo, anche se egli non si è dichiarato.

L’esecuzione. Splendida mi è sembrata la direzione di Dantone, che ha saputo rendere eloquentemente le diverse caratteristiche delle due opere. Nel Milton ha saputo sviscerare fino in fondo la intensa, dolce, anche melanconica poesia che pervade tutta l’opera. Nella Julie ha saputo rendere la vivacità e la freschezza.

Purtroppo non altrettanto si può dire dell’orchestra, soprattutto dei corni. È vero che l’Accademia Bizantina usa strumento “originali” e che quindi i corni sono del tipo senza pistoni, molto più difficili da suonare (credo) del classico corno moderno. Ma certi interventi, con timbro molto sgraziato, per non parlare della stonature, non potevano passare inosservati.

La regia è stata di tipo “minimalista”. L’opera è stata data all’aperto, davanti alla facciata della villa Pianetti, che così faceva da scenografia. Pochi ed essenziali arredi completavano la scena. Sulla facciata della villa durante le arie o i numeri cantati venivano fatte delle proiezioni che per lo più mettevano in risalto espressioni dei personaggi legate al contenuto dell’aria. Questa parte è quella che mi ha convinto di meno. Secondo me la scenografia, così com’era impostata, sarebbe stata sufficiente.

I costumi per la Julie erano in stile primo novecento. L’opera in realtà si svolge in epoca contemporanea alla sua composizione, quindi i primi dell’Ottocento, ma evidentemente il regista ha voluto sottolinearne l’ambientazione contemporanea, spostandola di un secolo. Per il Milton invece è stato rispettato il periodo storico, cioè il tardo Seicento, ai tempi delle restaurazione di Carlo II dopo la rivoluzione cromwelliana.

Il cast è stato tutto all’altezza, sia nel canto, le cui difficoltà mi sono sembrate più di tipo interpretativo che tecnico, e che sono state molto ben affrontate e superate dai cantanti, sia nella recitazione dei dialoghi parlati. La dolcezza della lingua francese era perfettamente resa da un cast che mi pare costituito tutto da cantanti francofoni. Fra tutti, mi sento ancora una volta di ricordare il basso Olivier Heyte che ha saputo dare a Milton una grande presenza sia scenica sia musicale, valorizzando moltissimo questo personaggio che è anche, secondo me, la chiave di lettura dell’opera.

Lo scenario in cui si è svolta la rappresentazione era molto appropriato, nell’incanto della villa e del parco. Purtroppo la rappresentazione all’aperto è stata momentaneamente interrotta da un inizio di pioggia, nel finale della Julie. Tuttavia lo spettacolo ha potuto essere ripreso e condotto fino alla fine senza altri incidenti.

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