BUTTERFLY, IOLANTA E BARBIERE, agli Arcimboldi

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La noiosissima stagione della Scala (2001-2002) di quest’anno sta volgendo al 
termine. Ormai il dio bilancio, che per eleganza manageriale amiamo 
chiamare budget, anche nella cultura, come anche nella sanità, e 
nell’istruzione, è colui cui bisogna fare sacrifici. E i sacrifici sono 
tanti, e li deve fare tutti il povero pantalone, altrimenti la Fiat come 
fa a fare la sua brava crisi per ristrutturare tutto il ristrutturabile 
senza spendere (lei) il becco di un quattrino? Il bilancio, il budget, i 
danè, the money, il motore immobile sono le parole magiche necessarie. 
Ormai nei nostri geni sono rimasti (o vogliono farci credere che siano 
rimasti) Hobbes, Taylor, Keines, e non so chi altro, mentre il povero 
Kant, quello che rimaneva estasiato dal cielo stellato sopra di lui e 
dalla legge morale dentro di lui, è un po’ impallidito. È noto che un 
eccesso di geni transgenici iniettati nel nostro DNA finiscono per 
offuscare i geni primordiali. Ma che importa? Transgenici, siamo: volete 
mettere?

 E allora anche la Scala si adegua, e per sacrificare al Dio Budget che 
fa? Ricicla. Stagione riciclata. Un bell’Otello all’inizio, un bel Boris 
a metà e tante Traviate, Butterfly, Sansoni, Salome, Barbieri eccetera 
eccetera eccetera. Oltre ai due immancabili balletti, anch’essi 
abbondantemente riciclati.

Le ultime tre opere in fila.

La Butterfly. Chi può dire che è una brutta opera? Percarità, 
nessuno! È un’opera molto bella. E chi può dire che l’allestimento di 
Keyto Asari sia brutto? Percarità, bellissimo. E chi può dire che la 
Dessì canti male? Percarità, nessuno; canta molto bene. Solo che dopo 
aver visto questo spettacolo me ne sono tornato a casa senza avere nelle 
tasche delle mie circonvoluzioni cerebrali una benché piccola idea che 
mi stimolasse alla riflessioni. Toh, al massimo posso dire che ricordo 
nella precedente rappresentazione una Gorchakova molto più convincente 
della Dessì in questa; che il tenore di questa edizione era un tipo 
strano, con atteggiamenti, vocali e gestuali, che stimolavano più il 
sorriso che non la commozione. Ecco tutto qui. Mio giudizio: ripresa del 
tutto inutile della Butterfly. O meglio, ripresa inutile per gli 
abbonati, che l’hanno già vista e rivista, e possono constatare che la 
qualità ad ogni ripresa scende di un gradino.

Agli abbonati invece, è stata interdetta la seconda delle opere del 
titolo: la Iolanta. Chissà perché. O meglio, il perché è chiaro. 
Anche qui si è fatta un’operazione con tanto di sacrifici al Dio 
Budget: rappresentazione in forma semiscenica, opera della durata di 
poco più di un’ora di musica, insomma impresentabile in una serata 
d’abbonamento nella quale è meglio fare l’ennesima ripresa della 
Butterfly (il costo, penso, sarà suppergiù uguale, ma di musica ce 
n’è tanta di più. Evviva!) 
E invece la Iolanta è la vera chicca di questa lugubre stagione 
operistica. Un’opera nuova (finalmente!) e soprattutto bella, bella, 
intensamente poetica, con una musica che ti coinvolge, ti prende a 
partire da quel corno inglese del preludio che piange sopra un tappeto 
di fiati bassi, a partire da quel quartetto d’archi che porta all’arioso 
di Iolanta, ai cori, all’arioso del re padre che piange disperato sulla 
cecità della figlia. Ma cosa si può dire? Squarci di musica come il 
coro dei fiori o il coro della buona notte rapiscono veramente chi li 
ascolta. Oppure il lungo duetto fra il cavaliere che scopre la cecità 
della fanciulla perché gli chiede una rosa rossa, e lei la coglie 
bianca; e alle rimostranze del cavaliere lei chiede che cosa 
significhino le parole rosso e bianco. Immaginate quale musica abbia 
composta Chajkovskij per questo duetto, per questa situazione di una 
delicatezza incredibile. Inenarrabile, veramente. 
Ecco, questa opera era fuori abbonamento. Risultato? Il teatro 
semivuoto, i prezzi abbassati (immagino per riempirlo), e, immagino, il 
Dio Budget incazzatissimo perché i sacrifici che gli sono stati fatti 
non erano all’altezza della situazione. Infatti qual’è il sacrificio 
principale? La forma semiscenica, questa grande invenzione dei tempi in 
cui ha cominciato a regnare il Dio Budget. La forma semiscenica! Orrore! 
Immaginate due panchine, un vaso di fiori rossi e bianchi 
(indispensabili per quanto detto sopra), e signori in smoking, o doppio 
petto, non so, che vanno e che vengono, che fanno finta di recitare… 
mamma mia! che squallore! 
L’opera è teatro, la recitazione, l’ambientazione, sono il suo sale. 
Non sono importanti, sono essenziali! Come si fa ad accettare 
ridicolaggini simili? 
Se non si vuole o non si può fare la rappresentazione teatrale, beh, 
almeno ascoltiamo la musica in forma di concerto. È chiaro, non viene 
rappresentata l’opera, ma almeno viene suonata e cantata la musica 
dell’opera. Insomma un CD dal vivo! 
Ma la forma semiscenica che cosa è? E poi togliamo, per favore, la 
parola scenica, che non c’entra niente. 
Ma se la parte visiva è stata un insulto al buon gusto, la parte 
auditiva è stata il suo trionfo: questa bellissima musica ha trovato 
degli interpreti che l’hanno saputa porgere: a partire dal direttore 
d’orchestra, Temirkanov, che ha diretto con grande autorità ed 
efficacia, fino ai diversi cantanti, tutti rigorosamente russi, e tutti 
altamente espressivi nel canto, al punto che riuscivano quasi a far 
dimenticare l’oscenità di una pseudo-recitazione gestuale.

Infine il Barbiere. Qui si è preferito tornare ad una ripresa della 
vecchia (ma sempre bella) messa in scena di Ponnelle, scartando quella 
più recente di Arias, con la mongolfiera, pettini e forbici che 
scendevano dall’alto, etc. 
Ecco, quello che posso dire di questo Barbiere è la formidabile 
presenza di Juan Diego Florez. Diciamo che valeva la pena di vedere 
questo barbiere solo per sentire questo tenore che sta attraversando un 
periodo di grazia veramente superlativa. Un’altra cosa da osservare è 
stata la Polverelli, cantante sostituta, che tuttavia a messo in mostra 
una bella voce da contralto (finalmente una Rosina con un bel nerbo di 
carattere) e ha accompagnato il canto con una buona presenza scenica. 
Anzi, per la verità tutto il cast (De Simone, De Candia, Surjan) ha 
funzionato bene nel canto e la parte della recitazione è stata godibile 
e capace ancora di strappare qualche risata al pubblico (cosa che mi 
sembra non tanto scontata). 
Insomma una buona rappresentazione del Barbiere che, se non ha dato 
spunti particolari di riflessione, comunque ha saputo divertire.

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