CRISTOFORO COLOMBO, di Alberto Franchetti (ascolto in CD)
Mi è capitato di ascoltare quest’opera, di un compositore a me del tutto sconosciuto. Mi è stata fatta conoscere da un amico svizzero che si occupa in particolare di Ferruccio Busoni (ha anche un sito molto bello dedicato a quest’ultimo autore) ma è attento alla musica operistica italiana a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento: musica, a dire il vero, molto trascurata se si eccettuano le opere di Puccini e alcuni capolavori del verismo.
Da quello che so, Franchetti non appartiene alla corrente verista, ma piuttosto era etichettato dai contemporanei come “il tedesco”, per indicare in Wagner la sua principale fonte di ispirazione.
Nel Cristoforo Colombo questa sua ascendenza è molto evidente, anche se si avvertono chiare influenze di altro genere, soprattutto del Grand-Opéra.
L’opera è nata per commemorare i 400 anni dalla scoperta dell’America, ed è stata composta da Franchetti sul libretto vincitore di un concorso bandito dal comune di Genova. Il vincitore del concorso è stato Illica, del quale, appunto, è il libretto dell’opera. E la cosa interessante è che pare che sia stato lo stesso Verdi ad indicare Franchetti come il compositore che avrebbe dovuto musicare il libretto. La première dell’opera è avvenuta il 6 ottobre 1892 al Carlo Felice.
Successivamente l’opera ha avuto poche rappresentazioni. L’ultima si fa risalire al 1992, sempre a Genova, per i 500 anni dalla scoperta dell’America. Da quello che ho capito, il CD che ho ascoltato proviene da quella rappresentazione, con il protagonista interpretato da Bruson, e con la presenza di Scandiuzzi e della Ragatzu. Il direttore è Marcello Viotti.
La vicenda narrata è quella classica del viaggio di Colombo con le tre caravelle.
Nel primo atto la scena si svolge a Salamanca, dove il Consiglio reale boccia il programma di Colombo, che tuttavia verrà comunque realizzato grazie ai finanziamenti privati che la Regina Isabella offre al navigatore.
Nel secondo atto viene narrato il viaggio, con le tensioni e le paure, fino all’ammutinamento, che tuttavia rientra nel momento in cui le vedette avvistano la Terra.
Il terzo atto si svolge alcuni anni dopo, e la vicenda, sia pure con alcune varianti, è quella del terzo viaggio di Colombo, con la rivolta di alcuni suoi uomini, l’invio da parte del Re di Castiglia di un ispettore, l’ingiusto arresto del navigatore e il suo rientro infamante in Patria.
L’Epilogo mostra un Colombo amareggiato e deluso che muore davanti alla tomba della regina Isabella, sua protettrice.
Il primo atto ci introduce in un ambiente tipo Grand-Opéra. La folla nel cortile del Monastero di Santo Stefano a Salamanca, attende il responso del Consiglio che deve giudicare la fattibilità della proposta di Colombo.
Gli episodi musicali del primo atto possono essere così riassunti:
- corteo solenne del consiglio, accompagnato da orchestra sostenuta dagli squilli degli ottoni e dal coro (anche per l’ambientazione non si può non ricordare la prima scena del Boris Godunov, anche se manca qui il fine studio della folla che c’è in Musorgskij).
- Ballata dei pellegrini romei che profeticamente raccontano visioni del nuovo mando. Questo episodio si conclude con un bel concertato che si sviluppa in una vera e propria fuga.
- Canto di Roldano (oppositore di Colombo) che terrorizza la plebe col racconto di raccapriccianti insidie del viaggio verso l’ignoto, basato principalmente su un declamato con ricco e significativo accompagnamento orchestrale.
- Sbeffeggiamenti della plebe nei confronti di Colombo dopo che il Consiglio ha respinto il suo piano. Occorre notare a questo punto come anche qui, si accenni ad uno studio del comportamento della plebe, che dapprima sostiene con entusiasmo il canto dei pellegrini che profetizzano il successo dell’impresa, ma poi, davanti ai pericoli vividamente descritti da Roldano, passa rapidamente dalla parte opposta.
- Amarezza di Colombo su un declamato di crescente disperazione, interrotto dal canto di Isabella, accompagnato dall’arpa, che crea l’effetto di un raggio di luce e di speranza. –
- Scena finale caratterizzata da due ariosi: il primo di Colombo che lamenta la propria sorte, il secondo della regina Isabella che evoca le sue visioni profetiche del nuovo mondo. I due ariosi confluiscono poi nel duetto finale nel quale la Regina dona a Colombo la propria corona. La scena si chiude con un canto corale di voci femminili di attesa e di preghiera accompagnato dall’organo.
Il secondo atto si svolge in mare. L’episodio musicale iniziale, secondo me è la parte più bella dell’opera. Accordi orchestrali tenuti su note lunghe che non danno mai la sensazione di cadere su una tonica creano un’atmosfera di solitudine, di mistero, di mancanza di un meta, di un approdo. È un mare ostile quello che si avverte, gravido di minacce ignote: una specie di calma piatta che non porta da nessuna parte; mi viene in mente l’inizio del terzo atto del Sadko, anche lì ambientato in mare, con la nave del protagonista immobile sulla superficie. L’episodio poi continua con l’orchestra che si movimenta, e crea l’immagine di un mare agitato, tempestoso, pericoloso e infine l’emergere del lamento della ciurma gravido di paura, anche perché sulla nave accadono cose strane, come l’ago della bussola che perde la via del nord.
Il secondo episodio è costruito su una aria di Colombo con interventi del coro, che tranquillizza i marinai raccontando loro una favola sull’amore deluso dell’ago verso la Stella Polare, che spesso e volentieri gli si nasconde. Qui il passaggio è abbastanza brusco e da un clima dove domina la natura, con la sua forza misteriosa e lo sgomento dell’uomo davanti ad essa, si passa ad un clima più umano, di rapporti, anche se mediato dal clima fantastico del racconto di Colombo.
Il ritrovamento in mare di un frammento d’albero è un presagio infausto, e per un attimo l’orchestra riprende gli accordi con cui si è aperto l’atto, per introdurre una serie di riflessioni di Colombo, su una lungo arioso, che vanno dal dubbio alla fideistica certezza.
Si passa così all’episodio dell’ammutinamento: su un coro di sfondo di frati che recitano la Salve Regina, alcuni cavalieri, fra i quali Roldano, l’eterno nemico di Colombo) cominciano a fomentare l’equipaggio, facendo balenare la possibilità di uccidere “il genovese” e quindi di invertire la rotta verso casa. L’aspetto interessante è il sovrapporsi (che poi diventa un vero e proprio passaggio) del coro di fondo dei monaci, e di un coro sempre più aggressivo dei marinai, mentre le voci dei cavalieri continuano nel loro incitamento.
La minaccia si sta per concretizzare quando improvvisamente viene avvistata la terra. Si apre così l’episodio finale dell’atto: un lungo coro liberatorio che assume anche aspetti di trionfalismo.
Il terzo atto per me risulta un enigma. Sul dizionario dell’Opera di Gelli, nel riassunto dell’opera, si legge che il terzo atto è ambientato a Palos, Dove Colombo, richiamato in patria, viene arrestato e imprigionato.
Nell’edizione in CD di cui dispongo, il terzo atto è invece ambientato in Messico e introduce nuovi personaggi, fra cui i principali sono Anacoana, regina degli indiani e Iguamota, sua figlia, e introduce anche una breve storia d’amore fra Iguamota e un ufficiale di Colombo, Guevara. Devo supporre quindi, anche se non ho trovato documentazione al riguardo, che questo atto sia stato rimaneggiato e sostanzialmente riscritto, forse per cedere ad alcune “mode” fra le quali il gusto dell’esotico e la necessità di arricchire la vicenda con una storia d’amore (che in questo caso comunque non riguarda il protagonista)
L’atto è introdotto da un episodio di rapina da parte dei soldati spagnoli a danno degli indiani, con l’uccisione di uno di loro; e un lamento funebre, che secondo me è fra le cose più belle dell’opera. Questo lamento mi ha ricordato il lamento della Regina di Samarcanda, nella Turandot di Busoni, per la decapitazione del figlio. Non è da escludere che Busoni conoscesse questo episodio e che ne abbia tratto spunto per la sua opera.
L’episodio muta bruscamente di tono con l’arrivo della regina Anacoana, e si tramuta in un concertato piuttosto enfatico contro la Regina che si rifiuta di vendicare l’affronto, accusata di essere l’amante di Roldano (il nemico di Colombo sempre presente, diremmo in termini operistici, il cattivo). Il concertato si interrompe piuttosto bruscamente per lasciare lo spazio alla danza delle ancelle della regina, danza di dolcezza quasi ipnotica, accompagnata dai legni. La scena mi ricorda il secondo atto di Les Huguenots, con la danza e il bagno delle ancelle della regina Margot, oppure, perché no, il canto delle Fanciulle Fiore nel Parsifal. Quindi ha luogo la confessione della regina ad uno degli anziani della tribù: il suo rapporto con Roldano è solo una finzione per potere uccidere in una sola volta tutti gli spagnoli, Questa confessione si snoda attraverso un declamato che va dal recitativo all’arioso fino a veri e propri elementi melodici dell’aria.
Il resto dell’atto corre lungo una direttrice piuttosto tradizionale: Colombo accusa Roldano ed altri cavalieri di ammutinamento e li condanna a rientrare in Spagna, affidandone la sorveglianza all’ufficiale Guevara. Questi, persona leale ma ingenua, si innamora a prima vista di Iguamota, la figlia della regina, mentre Roldano, e gli altri cavalieri si eclissano. Il duetto d’amore fra Guevara e Iguamota, secondo me non offre nulla di particolarmente interessante. C’è solo un richiamo, anche qui, al duetto che conclude il quarto atto de Les Huguenots: il contrasto, nell’animo del protagonista, fra l’amore e il dovere di salvare i propri camerati dalla strage che nel frattempo Anacoana aveva organizzato. La strage, tuttavia non ha luogo grazie alla tempestivo allarme dato dall’ufficiale spagnolo.
L’atto si conclude con l’arrivo di Francisco de Bobadilla che, su incarico del re e istigato da Roldano, toglie gradi e poteri a Colombo, che viene arrestato e spedito in Spagna.
La parte musicale di quest’ultimo episodio concede molto all’enfasi se non addirittura alla retorica, con Colombo che vieta ai suoi soldati di difenderlo per evitare di spargere sangue spagnolo, e offre spontaneamente le mani alle catene.
L’epilogo consiste sostanzialmente nelle amare considerazioni di Colombo, per il trattamento subito, pur avendo egli donato alla Spagna un nuovo impero, ed è ambientato nella cripta dove sono sepolti i re di Castiglia e dove c’è la tomba della Regina Isabella, da poco morta. Colombo avverte che la morte della Regina significa la fine di ogni sua speranza di riabilitazione, e fra le braccia del suo fedele ufficiale Guevara, davanti alla tomba della sua regina, muore.
Da un punto di vista della vicenda, il libretto si basa più su leggende che non sulla realtà conosciuta dei fatti. Due esempi sono: viene accolta la tesi dell’ammutinamento nel corso del viaggio. Oggi tale tesi è del tutto respinta. In secondo luogo, il rimpatrio di Colombo, durante il terzo viaggio, ad opera di Francisco de Bobadilla, è effettivamente avvenuto, ma non per ordine del re che, al contrario, al rientro di Colombo in Spagna ha provveduto immediatamente a ripristinarne gradi e potere e ad affidargli il comando della quarta e ultima spedizione.
Da un punto di vista musicale, l’opera mi sembra che pecchi di un notevole eclettismo, senza approdare sostanzialmente ad uno stile suo proprio. L’armonia è sostanzialmente e robustamente tonale.
L’orchestrazione e gran parte dei declamati, hanno indubbiamente un sapore wagneriano: l’espressione dei sentimenti, più che alla melodia del canto, è affidata ai timbri e ai colori orchestrali che l’accompagnano.
Ma oltre al sapore wagneriano, ho trovato anche una non indifferente influenza dell’opera russa, almeno nel trattamento dei colori orchestrali, come la scena iniziale del secondo atto, sul mare, che richiama un’analoga scena del Sadko; oppure l’inizio del primo atto, che ricorda l’inizio del Boris Godunov.
Personalmente le cose che più mi sono piaciute, sono state l’inizio del secondo atto e il lamento degli indiani. Dei tre atti, quello più complesso è il terzo.
Dal punto di vista drammaturgico il Cristoforo Colombo può essere considerato un Grand-Opéra fuori tempo, sia per la grandiosità delle scene, sia per il numero dei concertati, delle scene di massa, di orchestrazione ridondante, enfatica e financo retorica, sia per la presenza dei balletti. E il modello, secondo me cui si richiama più frequentemente è proprio Les Huguenots.
In complesso, si tratta di un’opera di ascolto abbastanza gradevole, certamente non peggiore di tante altre opere che occupano (secondo me immeritatamente) un posto stabile nel grande repertorio. La cosa veramente inaccettabile è la pressoché totale cancellazione dal panorama operistico e musicale di Alberto Franchetti, che in questo caso condivide la triste sorte del “suo” Cristoforo Colombo.