LEDY MAKBET MCENSKOVO UEZDA dell’Helikon Opera, a Ravenna
Ravenna Festival quest’anno ha presentato un piccola stagione russa con le opere Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk, La Dama di Picche, Mavra e Kashchej l’immortale. Gli allestimenti, il cast, orchestra e coro sono stati quelli dell’Helikon Opera di Mosca, istituzione forse meno nota del Bol’shoj al grande pubblico, ma di elevatissima qualità, fondata da Dmitrij Bertman che ne è anche il regista stabile.
Non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di recarmi a Ravenna a vedere queste opere, delle quali alcune sono fra le mie preferite in assoluto. Devo subito dire che sono rimasto a bocca aperta per la qualità degli allestimenti e la genialità delle messe in scena. Bertman si è dimostrato un regista dotato di una grande fantasia, ma nel contempo capace si penetrare la musica nel suo significato drammaturgico più profondo. Ne sono risultate quattro realizzazioni molto diverse fra loro, ma tutte di grandissima intelligenza.
La Lady Macbeth.
Amo terribilmente quest’opera che da sempre considero uno dei massimi
capolavori del teatro musicale. In essa si fondono senso della tragedia
e senso del comico, erotismo e critica sociale, ironia, folklore, nelle
sfaccettature più variegate che consentono approcci interpretativi
diversi ma sempre nella legittimità drammaturgica. E questa ricchezza
di toni, sfumature, sottintesi, ambiguità già presente nel testo, è
straordinariamente amplificata della musica, nella quale timbri, ritmi,
armonie si intrecciano in continuazione per dare risalto e piena
legittimazioni alle diverse situazioni.
Sarebbe un’operazione disperata cercare di elencare le parti dell’opera
che mi sono sembrate più significative, poiché praticamente ogni
scena, ogni quadro, ogni cellula drammaturgica richiederebbe un commento
che ne sviscerasse le diverse possibili impostazioni.
Si potrebbe già fin dalle prima battute citare il monologo della noia
di Katerina, di grande bellezza e, chiaramente, la porta di ingresso
nell’opera e il punto di partenza essenziale per tutti gli accadimenti
successivi. Ma si potrebbe continuare con la scena dello stupro
collettivo di Aksin’ja il cui malcelato erotismo si approfondirà nel
primo incontro di Katerina con Sergej (erotismo di quello forte, fatto
di cose non dette, di allusioni, di gesti all’apparenza innocenti) per
esplodere alla fine dell’atto nell’amplesso violento e senza veli
commentato da una musica frenetica, fatta di timbri aspri e di ostinati
che si conclude alla fine nei famosissimi glissandi di trombone.
Oppure successivamente la scena violenta della fustigazione di Sergej,
anche qui commentata da timbri aspri e da ostinati che si uniscono alla
voce sarcastica del suocero e alle grida disperate di Katerina. Oppure
la scena, in chiave comica, dell’intervento del Pope al momento della
morte del suocero di Katerina. o quella in chiave satirica della
stazione di polizia nella quale alla cantilena intonata da comandante fa
risponde il coro delle guardie, alla qual scena poi farà da
contrappeso, in chiave ben più tragica, quella, bellissima che
introduce il quarto atto, con quella specie di responsorio intonato dal
vecchio forzato e riecheggiato dal coro dei deportati.
L’allestimento dell’Helikon Opera
Anzitutto da osservare una trasposizione della vicenda dal mondo
contadino al mondo industriale. L’ambiento appare come l’interno di una
fabbrica con un intrico di tubi avvoltolati, gabbie, grandi ventole.
L’arredo scenico non muterà per tutta l’opera: i singoli diversi
ambienti verranno ricostruiti in modo magistrale, sfruttando l’arredo di
base e piccole variazioni di oggetti, come sedie dalle altissime
spalliere che possono fungere da quinte, pareti mobili etc. Al centro
una grande poltrona rossa. Già in questa scenografia si rivelano
aspetti simbolici: il percorso di questi tubi potrebbe richiamare
l’intrico dei sentimenti che si sviluppano nei personaggi, le gabbie il
simbolo della prigionia nella quale gli eventi rinchiudono le persone.
Una delle gabbie, ad esempio sarà utilizzata come la camera da letto di
Katerina, che il suocero chiuderà con un grosso lucchetto, ma che sarà
poi forzata da Sergej al momento della scena della seduzione e
dell’amplesso. La grande poltrona rossa rappresenta il centro, la forza
dell’erotismo come motore di sentimenti e comportamenti. Ed essa
rimarrà sulla scena in continuazione come punto di convergenza
fondamentale.
Coerentemente con l’impianto scenografico, anche i personaggi ci si
presentano come popolazione del mondo industriale: manager, impiegati,
operai, che indossano i costumi del caso. Katerina si presenta in
atteggiamento da grande dama, molto sofisticata, capelli biondissimi, un
lungo abito rosso scollato con una lunga spaccatura dalla quale, durante
i movimenti molto sensuali della donna, si intravedono lunghe e
attraenti gambe (il soprano che interpreta Katerina, Svetlana
Sozdateleva, è una donna molto bella). Tutto il suo canto, le sue
movenze, fanno pensare ad un sensibilità erotica, ad una
insoddisfazione chiaramente di natura sessuale, a causa della scarsa
virilità del marito, nella quale viene coinvolto il suocero che
certamente non nasconde il desiderio che la donna, col suo fisico, ma
soprattutto col suo muoversi, suscita in lui. Ma tutto l’atto si dipana
in un’atmosfera erotica sempre più spinta. La scena nella quale i
lavoranti tormentano Aksin’ja, la cuoca, assume le caratteristiche di
uno stupro collettivo, la scena della lotta fra Katerina e Sergej non è
altro che la rivelazione del desiderio che sta incatenando i due
attraverso intenzionali contatti dei corpi, la scena dell’amplesso è
esplicita senza mezzi termini, e il suo intenso contenuto erotico viene
poi rilanciato nella successiva scena della fustigazione, dove la
partecipazione del vecchio suocero sembra far parte di una prosecuzione
del gioco a tre, più che di un intervento punitivo con lo scopo di
salvare l’onore del figlio. E in questo la musica di Shostakovich non
lascia adito a dubbi, riprendendo in chiave diversa, ma altrettanto
violenta, i timbri dissonanti e gli ostinati della scena precedente, e
inserendo fra le due scene un monologo con il quale il vecchio richiama
alla memoria e rimpiange le sue avventure erotico-amorose della
giovinezza.
Regie e direzione orchestrale si integrano perfettamente. Questo lo si
avverte anche nelle scene successive, come la morte di Boris (sempre la
grande poltrona rossa al centro della scena), la farsa del pope,
accompagnato dalle lamentazioni di Katerina e da un coro di impiegati
che piangono a pagamento (così come a pagamento è l’intervento del
pope), oppure nella fragorosissima scena delle nozze, pavesata come una
festa rock, con tanto di chitarra e chitarrista e movenze di danza del
coro, e nella quale Katerina fa la sua apparizione in un bianco vestito
da sposa; o ancora la scena-farsa della stazione di polizia, tutto
quadra in modo molto convincente e le diverse espressioni di erotismo,
di ironia, di violenza, di tragedia, rimbalzano continuamente
dall’orchestra alla scena rinforzandosi vicendevolmente.
Da osservare il finale. L’ingresso di Sonetka assume in questa messa in
scena un valore diverso da quello cui si è abituati, cioè quello di
una rivale di Katerina che determina il precipitarsi definitivo della
tragedia. Sonetka qui entra come una copia, quasi un clone della
Katerina che abbiamo visto nel primo atto: alta, bionda, inguainata in
un aderente lungo abito rosso, movenze flessuose e provocanti, e al suo
ingresso ella si dirige subito verso la poltrona rossa, dove si adagia
in atteggiamento sensuale. Sergej è attirato subito da questa figura,
con la quale ha un amplesso che scenograficamente è identico a quello
del primo atto. Ciò determina la rottura. Mentre il coro forma una
specie di semicerchio utilizzando gli alti schienali di rete delle
seggiole, le due donne, all’interno di questo semicerchio, quasi arena
di un anfiteatro, si trovano avvinte da un lungo foulard, attorno al
quale ruotano in continuazione, mentre il foulard si accorcia via via
fino a portare le due donne quasi a fondersi. Quello che in Shostakovich
è l’annullamento delle due donne, qui assume invece il punto di
saldatura di un ciclo destinato a ripetersi all’infinito.
L’esecuzione è stata di altissima qualità. La direzione orchestrale ha
saputo mettere in evidenza tutti gli aspetti della drammaturgia
musicale, come ho cercato di definirli sopra. I cantanti hanno saputo
interpretare la loro parte non solo nel canto, ma anche nelle movenze
sceniche. Al di sopra di tutti la Sozdateleva, dotata di una splendida
ed espressiva voce, di strabiliante capacità recitativa: veramente una
mattatrice, come si richiede nell’opera. Elena Jonova come Sonetka ha
una parte breve nel quarto atto, ma ha saputo riprodurre il sembiante e
le movenze di Katerina in modo da rappresentarne un vero clone. Anche
Andrej Antonov nella parte di Boris ha saputo incarnare sia col canto
che con le movenze il suo personaggio. Forse un filo sotto gli altri
Nikolaj Dorozhkin nella parte di Sergej, le cui movenze sceniche e il
cui canto non mi sono sembrati così convincenti come quelli degli altri
protagonisti.
Il pubblico, più numeroso di quanto non ci si aspettasse, ha applaudito
con grande entusiasmo, entusiasmo al quale si è unito anche il
sottoscritto.