DON GIOVANNI, al Festival di Aix-en-Provence (regia di Peter Brook)
Alcune settimane fa ho registrato da arte il Don Giovanni rappresentato nell’edizione del 2002 al festival di Aix-en-Provence. L’importanza dell’evento sta proprio nella regia di Peter Brook. Già nel 2001 arte aveva cercato di trasmetterlo, e aveva mandato la sua troupe, ma la cosa non era riuscita. Questa primavera aveva annunciato con grande enfasi che aveva registrato l’edizione del 2002 e che l’avrebbe trasmessa. Ma anche questa volta qualche motivo (tecnico o di altra natura, non so) impedì la trasmissione. Finalmente, al terzo tentativo la cosa è riuscita.
Naturalmente l’enfasi data all’avvenimento da un canale televisivo come arte, e il fatto che si trattasse del Don Giovanni, l’opera che da sempre è al vertice del mio amore, sono stati motivi sufficienti per convincermi alla registrazione.
Lo vidi allora e l’ho rivisto in questi giorni. Sono rimasto affascinato. Si è trattato di una delle più convincenti regie d’opera cui io abbia mai assistito. Una regia fatta solo di regia, cioè di uso della parola, della voce, del canto, oltre che dalla espressione dei corpi, per disegnare i rapporti fra i diversi personaggi nelle diverse vicende dell’opera: senza fattori estranei come ambientazione, scenografia, costumi etc. Mi sembrava di assistere ad una rappresentazione di un teatro di prosa diretto da un grande regista, ma con l’ uso della musica che dava alle parole il loro senso, o meglio, l’enfasi necessaria. Credo che Da Ponte (che notoriamente aveva una considerazione altissima per ciò che aveva scritto) sarebbe stato felicissimo di vedere questo tipo di rappresentazione, che partiva dal testo per esprimersi poi nella musica. Potrei banalizzare dicendo che testo e musica non si presentavano come i due lati della stessa medaglia, ma come la medaglia nel suo essere tale.
Naturalmente sono ben consapevole che il video può falsare lo spettacolo dal vivo, ma forzatamente al video mi devo riferire.
La scena è rappresentata da un piano illuminato di color arancione pallido. Non c’è sfondo, non ci sono arredi scenici che ci riportino in un ambiente definito. Il piano è circondato da un’oscurità totale, sembra quasi galleggiare in uno spazio senza spazio. Gli arredi scenici sono rappresentati da qualche (pochissime) panca rossa di legno, un paio di transenne, un tavolinetto… tutti oggetti molto leggeri, mobili che i cantanti spostano per dare un “idea” del luogo, senza che vi si soffermi ad una descrizione, o per usarli per la scena. Non è necessario che il luogo venga definito con dettagli: quello che conta sono i comportamenti e i rapporti fra i personaggi, e questo tipo di ambiente permette al regista di concentrarsi solo su questi e allo spettatore di recepirli come essi vengono espressi.
Parimenti i costumi sono semplicissimi. Si potrebbero definire “moderni”. In realtà non sono moderni nel senso che si sia voluto trasferire l’azione in tempi moderni. I costumi avrebbero potuto essere di qualsiasi foggia, non erano importanti ai fini della rappresentazione. Il taglio era moderno perché semplice, non tale da attirare l’attenzione più di quanto dovessero fare i movimenti corporei: un elegante abito a giacca bianco con cappello per Don Giovanni, (che a volte si presenta con una camicia e calzoni scuri, soprattutto quando è in casa sua); un vestito a giacca più logoro, senza camicia e con larghe bretelle per Leporello; un insignificante vestito a giacca marroncino per Don Ottavio; un anonimo vestito per Masetto; due vestiti lunghi, eleganti, a spalle scoperte, per le due donne, ovviamente di diverso colore; un semplice abito bianco “da sposa” per Zerlina.
I personaggi: Don Giovanni è un giovane che si presenta subito come simpatico; ama il buon vino, ama le donne, si diverte, è spiritoso, sa corteggiare, ha quel tanto di spavalderia tipico dei giovani sicuri di sé: solo in alcuni momenti il suo atteggiamento cambia, quando qualche cosa va storto: in quei momenti l’espressione cambia, può significare paura, determinazione, aggressività. Ma sono come nubi, subito dopo torna ad essere quello di sempre. Questo suo carattere si manifesta in primo piano nel suo rapporto con Leporello. Non c’è traccia del canonico rapporto fra padrone orgoglioso e servo furbastro. È un rapporto fra due amici, due complici, due persone che si capiscono, uno leader, l’altro più sottomesso. Bevono assieme, scherzano, litigano, rifanno pace. L’uno, Don Giovanni, spinge in avanti per sempre nuove avventure; l’altro un po’ lo prende in giro, un po’ cerca di trattenerlo, un po’ si lascia trascinare.
L’arte di seduzione di Don Giovanni la vediamo già subito all’inizio, con Donna Anna, nel duetto. Viene sfruttata molto bene l’ambiguità della musica di questo duetto, che manifesta momenti di scontro duro, a istanti di cedimento: così i corpi dei due si respingono e lottano, ma hanno anche momenti di seduzione. Molto bella tutta la scena. E l’altro grande momento di seduzione è quello verso Zerlina. Qui l’arte di Don Giovanni è sopraffina e parte già dal recitativo, per continuarsi senza soluzione di continuità nel duetto. Ed è molto efficace la reazione della povera Zerlina, e molto trasparente è la sua lotta interna davanti all’abile strategia dell’uomo.
Donna Anna e Don Ottavio sono due figure scialbe, prive di una vera personalità: forse residuo di un teatro morente. Ben diversa invece è donna Elvira. Tutti sappiamo che il suo rapporto con Don Giovanni è di odio e amore (ma soprattutto di amore). Ecco, mi viene in mente l’isteria della Bartoli: qui siamo esattamente all’opposto. Una Donna Elvira triste, ma che non abbandona mai la speranza. I suoi sussulti accusatori finiscono sempre in una inutile, ma instancabile ricerca del suo uomo, e il suo personaggio assume un ruolo molto importante nell’economia della rappresentazione.
La cosa straordinaria è il finale. Niente convitati di pietra a piedi o a cavallo che siano. Solo il commendatore, in carne ed ossa. E lo scontro fra il commendatore e Don Giovanni non è lo scontro fra il delitto e il castigo, fra l’inferno e il paradiso, fra l’umano e il soprannaturale. È lo scontro fra due uomini, con diversa coscienza etica. Ad un certo momento sono seduti l’uno di fronte all’altro, al tavolo di Don Giovanni, che si sfidano, una continuazione del duello dell’inizio, ma questa volta non con le spade, ma con i valori. Don Giovanni ha paura, la mano gelata (la consapevolezza del nulla della sua vita?) lo schiaccia a terra, ma non cede, si rialza, urla i tre “no!”, ma poi viene preso: non ci sono fiamme, non c’è folklore. Il suo precipitare non è altro che la morte, il doloroso raggiungimento della saggezza attraverso la sofferenza della testardaggine.
E infatti, nel finalino, mentre il sestetto canta, vediamo ricomparire commendatore e Don Giovanni (i loro spiriti, ovviamente). Il commendatore ha sempre il volto severo, ma questa volta vediamo che il volto di Don Giovanni non esprime più ironia, disprezzo, ribalderia, aggressività, paura, ma serenità, pace. E gira attorno ai diversi protagonisti guardandoli con un’aria di saggezza propria di chi è al di là degli scontri della vita umana in cui ancora i diversi personaggi si dibattono. Poi Don Giovanni e commendatore, che ”in un altro mondo“ hanno risolto il loro scontro, escono in silenzio, mentre i sei cantano il tanto vituperato “Questo è il fin di chi fa mal” dando una valenza di grande ironia al finale.
Naturalmente, non so se questo racconto ha dato un’idea di quella regia. Tutto ciò che ho detto sembrerà scontato. Ed è difficile fare una descrizione efficace di ciò che avviene sulla scena. Ma quel che importa è che la regia lo ha messo in primo piano, trascurando tutti gli aspetti ambientali, di contorno, e centrando tutto sui comportamenti. E quello che ho trovato meraviglioso è il fatto che musica, pronuncia della parole, canto, movenze corporee si fondevano in un unicum straordinario.
Naturalmente non si può non parlare anche della direzione orchestrale e dei cantanti.
Il direttore è Daniel Harding; Don Giovanni Peter Mattei, Leporello Gilles Cachemaille, Donna Anna Alexandra Deshorties, Donna Elvira Mirelle Delunsch, Don Ottavio Mark Padmore, Zerlina Lisa Larsson, Masetto Nathan Berg, il commendatore Gudjon Oskarsson.
Come sempre dirò che sia il direttore che i cantanti hanno fatto il loro dovere, rendendo con chiarezza e in modo convincente quello che questa specifica interpretazione voleva significare, anche se sono certo che i vociologi avrebbero trovato infiniti difetti, o magari nascoste virtù. Ma questo fa parte della vita.