DER FLIEGENDE HOLLÄNDER, agli Arcimboldi
Lo spettacolo è stato importato da Bologna e la scenografia, nata per il palcoscenico del teatro comunale è stata adattata a quello degli Arcimboldi, molto più grande. La realizzazione è stata pessima, piena di difetti, frutto, credo, di necessità di risparmio. A parte questo particolare, lo spettacolo mi è piaciuto molto.
Per una rappresentazione dell’Olandese, io credo che la regia sia una elemento di estrema importanza. Gli aspetti psicanalitici ante litteram, gli aspetti simbolici hanno grande valore in quest’opera, che non ha una evoluzione drammaturgica basata sui contrasti, non sviluppa un racconto imperniato su conflitti. Molti preferiscono per questo parlare dell’opera come di una ballata drammatica (così in un primo tempo Wagner stesso l’aveva definita). In uno scritto su questo NG non molto fa ho cercato di fare alcune considerazioni sulla famosa regia di Kupfer, disponibile oggi in video, nella quale viene esplicitamente esplorata la fantasia onirica di Senta, che sostanzialmente sta alla base della drammaturgia.
In questa edizione il regista Kokkos ha scelto un taglio molto diverso.
Il centro dell’interpretazione registica mi sembra essere in sostanza il doppio angolo di visuale: quello normale, laterale, della scena; e quello riflesso, dall’alto in basso, da un enorme specchio posto sullo sfondo. Quindi doppio punto di vista e di osservazione.
Tuttavia il grande specchio non funge solo da superficie riflettente, ma anche da piano, o schermo, su quale vengono proiettati elementi scenici che non appaiono sul palcoscenico. Io credo che proprio in questo doppio angolo visuale sia reperibile l’elemento pirandelliano dell’opera: il pendolo continuamente oscillante fra realtà oggettiva e realtà soggettiva.
Il gioco risulta particolarmente affascinante e intrigante, e le figure, oggettive sul palcoscenico, assumono un movimento più convulso, e in certe occasioni più fantastico, riflesse dallo specchio all’interno delle proiezioni, quando sembrano essere travolte dalle onde del mare, o si materializzano sulla tolda improvvisamente apparsa della nave fantasma, o sembrano scendere nelle oscurità di una profonda stiva, etc.
Proiezione dall’alto al basso di una realtà, quella oggettiva laterale del palcoscenico, che nella proiezione diventa fantastica e quindi onirica. Tutto in armonia con la musica di Wagner che materializza in grida irreali le angosce dell’Olandese, e in armonie misteriose le fantasie di Senta.
Gli arredi scenici sono modestissimi, essenziali: nel primo atto un grande timone al centro della scena e poi la prora appena accennata della nave fantasma; nel secondo atto un grande arcolaio e alcune sedie; nel terzo atto nulla del tutto.
Quello che mi ha colpito sono i colori: colori tenuissimi: bianco lo sfondo scenico e gli arredi; neri (o quasi) i costumi di protagonisti e coro. Questo quasi bianco e nero nei fatti dà una luce molto convincente sia alla musica sia a questa interpretazione registica: da una parte elimina ogni elemento di realismo drammatico, dall’altra sottolinea il carattere “epico” e simbolico della vicenda, dove sono pressoché assenti gli elementi di contrasto o conflitto.
La versione dell’opera è stata quella di Dresda, della “creazione”: tre atti, con i due interludi all’inizio del secondo e del terzo atto, preferita dal direttore, evidentemente a quella in un atto unico che viene più frequentemente rappresentata.
La direzione orchestrale a me è piaciuta molto. Ho sentito delle critiche aspre e anche dei buuu diretti al direttore. Certamente occorre rilevare che, pur con tempi tendenzialmente dilatati, il direttore ha dato molta enfasi ad una partitura di per sé molto tesa ed emotivamente espressiva. Se non fossi influenzato dal nome di Rozdestvenkij direi che è stata una interpretazione più vicina al passionale spirito russo che non al più scandito spirito tedesco. Tuttavia a me è piaciuta, mi ha coinvolto, l’ho trovata trascinante; e mi sembra che nell’Olandese la musica di Wagner si giovi di questo tipo di interpretazione.
Gli interpreti sono: Eva Johansson come Senta; Juha Uusitalo come Olandese, Ian Storey come Erik e Hans Tschammer come Daland.
Personalmente mi sono piaciuti tutti: hanno interpretato i loro ruoli con passione, gestualità misurata, e canto espressivo. Splendida su tutti è stata Senta, sia nella ballata, sia nel duetto con l’Olandese nella seconda metà del secondo atto.
Gli applausi alla fine dei tre atti sono stati abbastanza calorosi, mentre per Senta hanno sfiorato l’ovazione.