VOLO DI NOTTE, al Maggio Musicale Fiorentino
L’occasione di ascoltare dal vivo in teatro i due gioielli in un atto (Volo di notte e Il prigioniero) di Luigi Dallapiccola al Maggio Musicale Fiorentino non me la sono lasciata scappare. E devo dire che ne sono stato molto felice. Queste due opere mi hanno da sempre molto incuriosito, e dopo che ho potuto ascoltarle in CD, anche affascinato. Parlarne è per me un po’ rivivere l’atmosfera che mi ha coinvolto lunedì sera.
Volo di notte.
Una notizia mi ha intrigato molto: il fatto che Dallapiccola, per sua stessa ammissione, sia stato pesantemente colpito dall’aggressione italiana all’Etiopia. Egli scrive testualmente che il 20 ottobre 1935, la data d’inizio dell’aggressione, ha significato per lui la fine della giovinezza. Infatti dopo alcuni mesi di stasi compositiva, ha deciso di abbandonare la musica tonale, alla quale fino a quel momento si era dedicato, e di aprirsi all’atonalità e alla dodecafonia. La sua prima composizione, dopo quella data, sono state le Tre Laudi “una protesta in forma di credenza religiosa”. Quella è stata anche la prima composizione nella quale ha impiegato melodie dodecafoniche. Volo di notte è nata successivamente.
Volo di notte ha una fonte letteraria nel romanzo dello scrittore-aviatore Antoine de Saint-Exupery, Vol de nuit.
Lo scrittore francese affronta in modo abbastanza analitico tutti gli aspetti psicologici, le contraddizioni organizzative, le ostilità della natura e tutto ciò che coinvolge, in positivo e negativo, la natura umana, a fronte dello sviluppo di un grande progresso quale è stato (all’epoca) l’uso dell’aviazione per scopi civili.
Dallapiccola nel suo libretto esplora il carattere del proprietario di una Compagnia aerea, Riviere, che ci viene presentato come uomo dalla forte e intransigente volontà nello spingere uomini e mezzi a imprese sempre più difficili e rischiose sulla via del progresso, ma anche come uomo consapevole delle proprie responsabilità e partecipe, sia pure sotto una scorza di apparente durezza, dei drammi umani che questa corsa verso il progresso comporta.
La trama può essere narrata in poche parole: negli uffici della compagnia si aspetta l’arrivo dei tre corrieri. Mentre quello del Cile atterra senza problemi, e quello da Assuncion è atteso da un momento all’altro, il corriere della Patagonia è in ritardo, e le informazioni meteorologiche non lasciano presagire nulla di buono. La moglie del pilota Fabien si presenta preoccupata negli uffici della compagnia per avere notizie, e qui apprende i gravi rischi che sta correndo il marito. La base riesce a contattare via radio il pilota, che denuncia difficoltà sempre più gravi; alla fine il suo velivolo precipita in mare. Alla base aerea vi è costernazione; tutti i dipendenti cercano di imporre a Riviere la cessazione dei voli notturni che si sono rivelati troppo rischiosi. Ma ancora una volta Riviere è inflessibile, e la sua volontà di progresso ha ragione delle resistenze, facendo partire un nuovo volo notturno verso l’Europa.
Dal punto di vista letterario il libretto è brutto, rozzo, semplicistico, di scarso interesse, e soprattutto ambiguo per quanto riguarda il significato morale. A differenza del romanzo di Saint-Exupery, il libretto sembra prestarsi ad una affermazione sulla funzione puramente gerarchica dei ruoli, ad una esaltazione dell’eroismo fine e se stesso, ad una valorizzazione della volontà inflessibile come espressione di virilità. In questo modo l’opera fu interpretata dai fascisti, contraddicendo tuttavia sia i significati della fonte letteraria, sia le intenzioni della stesso Dallapiccola, il quale, anzi, scrisse l’opera come reazione al fascismo, per esaltare lo spirito di ricerca dell’uomo, la sua ansia per il progresso dell’umanità. Insomma il Riviere di Dallapiccola non dovrebbe essere interpretato come una incarnazione di Mussolini, ma piuttosto come una rappresentazione di Ulisse.
Nonostante il mediocre livello letterario del libretto e le sue ambiguità interpretative, vi è da osservare invece un’architettura drammaturgica molto efficace. Non solo sono perfettamente rispettate le clausole aristoteliche di unità di tempo, luogo e azione, ma l’opera, che si snoda in sei scene, è strutturata in modo da offrire un crescendo emotivo che raggiungerà il culmine nella quarta scena, nel corso del colloquio fra Riviere e la moglie di Fabien, e successivamente, nella scena seguente, nella quale si consuma la tragedia. In questa quinta scena Dallapiccola ricorre ad un escamotage drammaturgico interessante, facendo parlare Fabien per bocca del radiotelegrafista, il quale (secondo la didascalia) nel riportare le parole del pilota ne deve assumere la personalità: quasi una presenza virtuale sulla scena. Le tappe della catastrofe sono espresse con grande vivacità, dominate dapprima dalla paura e quindi dalla rassegnazione. La sesta scena è l’epilogo della catarsi, con la ribellione del popolo dei dipendenti della società all’audace progetto di Riviere, ma anche con la ferma volontà di Riviere di continuare, pur consapevole di diventare il capro espiatorio di tutti i sacrifici che il progetto comporterà.
L’architettura drammaturgica ha un preciso corrispettivo in quella musicale. Come già Berg aveva fatto nel Wozzeck, Dallapiccola attribuisce forme tradizionali (pur con musica atonale) ai momenti salienti dell’opera. Questa articolazione è molto ben descritta nell’analisi di Jean-François Boukobza in Avant-Scene Opera (analisi che mi ha aiutato a capire un’opera certamente non semplice).
L’introduzione orchestrale (bellissima!!!) è definita musica notturna; poi ci sono un blues e una passacaglia come ritratti psicologici e affettivi di Riviere; uno studio ritmico che descrive l’intransigenza di Riviere con se stesso; una invenzione su due motivi opposti (uno melodico e uno ritmico) che accompagna il dialogo di Riviere con la signora Fabien; un Corale, Variazioni e Finale sul materiale dell’introduzione nella tragica scena della morte del pilota; un coro e un inno come catarsi (la ribellione della gente); e alla fine una ripresa della musica dell’introduzione nel dibattito interiore di Riviere.
La musica è atonale, con alcuni interventi di tipo seriale. La serie principale si sente già all’inizio, nella musica notturna, che si apre con un accordo di si maggiore sul quale la viola disegna il contorno della serie. È un momento emozionante, bellissimo. La serie è costruita in modo melodico. Le viole, con il loro suono caldo, triste ci portano subito in una aspettativa di tragedia.
Il canto è molto variegato: si va dal parlato all’arioso, passando attraverso il parlato ritmico, il recitativo, etc. L’orchestra è timbricamente ricca, a volte descrittiva, come ad esempio nella scena delle nere previsioni meteorologiche, dove l’orchestra disegna le folate di vento, il turbine dei cicloni etc. A volte si tratta di commento agli stati d’animo, come nella dialogo Riviere-Signora Fabien, o come nel corso del racconto allucinato del pilota del primo volo che ha sorvolato le Ande immaginando visioni spaventose. A volte si tratta di echi da un mondo esterno, come il blues che accompagna le meditazioni di Riviere sulla propria solitudine all’inizio.
Un ruolo importante hanno i cori: ce ne sono due. Uno all’inizio, in concomitanza con l’atterraggio del primo aereo, quello che proviene dal Cile. È un coro liberatorio. L’impresa voluta da Riviere sembra avere successo, l’aereo è giunto sano e salvo. Il secondo alla fine, quando la gente si ribella a seguito della notizia della morte del pilota. Qui la concitazione giunge al massimo con ripetizioni continue di frasi di accusa a Riviere.
Un momento delicato dell’opera è il collegamento radio con Fabien. La scena inizia con accordi dissonanti che accompagnano la meditazione di Riviere commosso dall’angoscia della moglie del pilota: “Quanta felicità si può distruggere in un istante!”. Poi comincia il collegamento radio. All’inizio la musica descrive la paura del pilota che non riesce più ad orientarsi, con un tono delicato ma pieno di ansia. Poi, man mano che le parole del pilota descrivono l’imminenza del pericolo, la musica si fa più concitata, gli accordi si fanno sempre più dissonanti, il ritmo più irregolare. Quando ormai è chiaro che il pilota è stato spinto verso il mare e non potrà più salvarsi, la musica cambia registro e la concitazione fa posto ad una musica dolce, irreale, quasi come una nebbia dalla quale non si può uscire. Una voce femminile senza parole si sovrappone al recitato del pilota, tutto diventa ovattato, fino alle ultime parole “Non abbiamo più essenza”. Sablich fa giustamente notare il doppio significato della parola “essenza”, che può essere interpretato come un francesismo per “benzina”, oppure la consapevolezza del pilota della sua imminente morte.
La messa in scena di Daniele Abbado è sobria ed elegante. Un unico ambiente con alcune scrivanie, e sopra uno specchio che riflette gli avvenimenti (potremmo dire i movimenti) che si succedono sul palcoscenico. Lo specchio è anche una superficie dove si proiettano immagini che illustrano le fasi salienti. Ad esempio, paesaggi andini, cieli aperti percorsi da nuvole, cruscotti di aerei in volo, carrelli di aerei in decollo, mappe geografiche, quadranti con numeri che scorrono, etc. Le proiezioni nella scena della morte diventano figure astratte che alla fine vengono sostituite da uno sfondo luminoso.
I movimenti dei cantanti mi sono piaciuti meno. Li ho trovati scarsamente significativi, con una recitazione scialba e scontata. Evidentemente al regista stava più a cuore la descrizione ambientale, che mi è parsa più curata.
La direzione di Bruno Bartoletti è stata molto bella. Le linee orchestrali che accompagnano le voci, sono molto nitide, eloquenti. Le ho seguite con sufficiente facilità, coinvolto dalla ricchezza timbrica e dalle invenzioni melodiche che la partitura comporta. Un episodio da notare: il blues che accompagna le meditazioni di Riviere sulla propria solitudine viene suonato come se provenisse da un apparecchio radio dell’epoca, mentre sulla scena due ballerini lo illustrano con movenze decisamente erotiche.
Anche i cantanti mi sono sembrati all’altezza della situazione. Riviere (il baritono Carmelo Caruso), sul quale pesa un po’ tutta la vicenda, ha cantato in modo convinto e convincente, anche se di gestualità non particolarmente efficace; al suo fianco ho avvertito un’ottima Rosalind Plowright nella parte della signora Fabien.
Cosa consolante, il teatro era pieno per tre quarti. Il che, per un’opera di Dallapiccola non mi sembra poco. Gli applausi finali sono stati molto calorosi, ed evidentemente il mio entusiasmo per la rappresentazione è stato condiviso da molti.