DAS RHEINGOLG a Stoccarda (DVD)
È recentemente uscita in DVD l’allestimento del Ring realizzato a Stoccarda nel 2002. Diversamente di ciò che accade generalmente nelle rappresentazioni integrali del ciclo, in questo caso, mentre la direzione orchestrale (Lothar Zagrosek) è unica, le diverse messe in scena sono dovute a quattro registi.
L’anno scorso “arte” ne ha trasmesso la differita, affermando nelle note di presentazione che «dopo il Ring del secolo messo in scena da Patrice Chereau nel 1976-80, nessuna Tetralogia ha destato interesse come questa».
L’oro del Reno.
In questo caso il regista è Joachim Schlöner.
Le caratteristiche della messa in scena sono: una scena unica, una
specie di ambiente chiuso, che potrebbe essere una piazza, un andito, o
qualche cosa del genere; gli abiti dei personaggi che richiamano quelli
degli anni 20-30, diciamo fra le due guerre.
La vicenda viene impostata come una specie di saga familiare.
La scena unica presenta al centro una grande fontana rotonda. Il fondo
è chiuso da un struttura ad arco delimitata da colonne. Sui lati vi
sono diverse porte di cui una conduce in un ascensore. Sul fondo, sopra
lo spazio scenico, vi è una specie di balconata che attraversa
lateralmente tutto il palcoscenico, con una balaustra anteriormente, e
chiusa posteriormente da una grande finestra ad arco. Sulla balconata vi
sono alcuni scrittoi, sempre in stile anni 20.30 e un grande fonografo
tipo quelli dell’etichetta della Voce del padrone.
Spazio inferiore e balconata sono in continuazione (attraverso le varie
porte) e rappresentano di fatto uno spazio unico nel quale si muovono i
personaggi.
Nello sviluppo dell’azione non vi è nulla di eroico, o di mitico, o di
epico. I personaggi si muovono in modo da realizzare le situazioni in
modo piano potremmo quasi dire “di tutti i giorni”, anche se certe
caratteristiche dei personaggi vengono segnate in modo piuttosto
marcato.
Ad esempio Alberich viene disegnato come un esaltato, forse anche un po’
fuori di testa. Wotan e il classico capofamiglia della borghesia,
autoritario ma anche non molto furbo. Fricka è la classica moglie,
avida che cerca di controllare e dominare il marito. Loge è il classico
tipo di impiegato, ossequiente e pronto ad obbedire, ma che conoscendo
le debolezze del padrone mantiene le distanze. I due giganti sono
persone normali, non furbissime, che hanno svolto un lavoro e pretendono
di essere pagati: Fasolt con aspetto più bonaccione, attratto dal
fascino di Freia, Fafner con l’aspetto che fa pensare a un gangster.
Mime ha l’aspetto di un insignificante povero diavolo, perseguitato
dalla sfortuna. Le tre figlie del Reno sono tre belle figliole.
Non ci sono gli “effetti speciali” cui abitualmente si ricorre in questa
opera. Ad esempio l’elmo magico è uno specchio rettangolare con il
quale Alberich si copre la testa. Il Reno, all’inizio, è rappresentato
dalla fontana centrale, piena d’acqua e, sotto l’acqua, di oggetti d’oro
(la fontana, ovviamente priva d’acqua, permane per tutta la durata
dell’opera). Le trasformazioni di Alberich avvengono mediante effetti
mimici molto semplici (la figura viene proiettata sullo sfondo con un
gioco di luci, mentre tiene fra le mani un piccolo oggetto a forma di
drago; il rospo viene mimato coi movimenti del corpo). La copertura di
Freia con il tesoro inizia con un mezzo spogliarello della ragazza
(allusione alla sua vergogna) che poi viene coperta con una specie di
maglia d’oro. Il viaggio di Wotan e Loge nei meandri di Nibelheim è
espresso solo dalla musica, mentre i due personaggi, illuminati contro
la scena oscurata, restano immobili sullo sfondo. E così via.
Possiamo così immaginare che gli eventi dell’Oro del Reno non siano
altro che una esasperazione dei rapporti che si possono verificare in
una società borghese, dove l’inganno, il sotterfugio, l’ambizione,
l’avidità, la fanno da protagonisti. Pensiamo ad es. alla sete di
potere di Alberich (che potrebbe essere un concorrente – non certo più
leale – di Wotan) e al suo smaniare, comandare, sbavare, etc.; alla
subdola ma sterile astuzia di Mime, piccolo e insignificante uomo (una
specie di infimo dipendente di Alberich, che cerca di approfittare e di
fregare il padrone); alla fasulla autorità di Wotan (il grande borghese
per eccellenza) che comanda sempre, ma poi finisce di fare quello che
vogliono gli altri; alla faccia ossequiente, ma falsa di Loge
(intelligente dipendente di Wotan), che tiene in mano i fili di tutta la
vicenda; ai due giganti (che possiamo immaginare come due piccoli
artigiani cui Wotan ha commissionato qualche cosa), di cui uno ingenuo,
affascinato all’idea di poter possedere una donna della borghesia, e
l’altro più concretamente legato agli affari e che non arretra davanti
all’omicidio del socio; alla stessa Freia, terrorizzata all’idea di
finire fra la mani di gente del “volgo”, ma anche lusingata dal vedere
quanto sia desiderata da Fasolt (significativa la sua tardiva tenerezza
al cadavere di Fasolt).
Insomma, sembra dire il regista: questa storia, che Wagner ha collocato
in un tempo mitologico, è una storia di tutti i giorni, che possiamo
trovare in una qualsiasi famiglia borghese e nell’ambiente che la
circonda.
L’esecuzione non mi ha entusiasmato fino in fondo, anche se mi sembra
che l’idea registica sia sviluppata in modo convincente. Forse quello
che tende un po’ a stancare è l’ambiente unico per tutte e quattro le
scene, e il clima piuttosto claustrofobico nel quale si svolge la
vicenda.
La coerenza della regia con la musica di Wagner mi è sembrata buona.
Non ho lamentato contraddizioni, o aspetti di stridente contrasto.
Questo, mi pare lo si deve in parte a una direzione orchestra che ha
evitato i toni enfatici, o eccessivamente solenni che la musica di
Wagner a volte sembra richiedere. Questo tono di “normalità” è
adottato anche dai cantanti, che hanno sempre evitato l’enfasi retorica,
ma hanno ben sottolineato i momenti critici della vicenda.