IL MAESTRO MAGRO, di Gian Antonio Stella
Il romanzo, narrando la storia di Osto e di Ines, ripercorre i primi anni del secondo dopoguerra, rievoca speranze, delusioni, migrazioni, sviluppo industriale, speculazioni, pregiudizi radicati, nel formarsi del miracolo economico italiano.
Ariosto Aliquò, detto Osto, è un siciliano, figlio di un burattinaio di pupi che involontariamente compie uno sfregio nei confronti di un capomafia e subisce una vendetta che lo rovina completamente. Osto, in possesso di diploma da maestro, non vuol rimanere in quella terra disgraziata, dove il padre, in seguito alla rovina subita, è completamente impazzito e rinchiuso in una manicomio. Decide quindi di emigrare. Come approdo, sceglie la terra più povera d’Italia, più povera anche della Sicilia: il Polesine. Si ricorda di una vecchia legge fascista, che attribuisce uno stipendio a carico dello stato a quei maestri che riescono a raccogliere una classe di adulti analfabeti, e insegna loro a scrivere e far di conto.
Terra e abitanti del Polesine non hanno certo il calore della Sicilia. Fare amicizie non è facile, trovare allievi, pur essendo numerosissimi gli analfabeti, lo è ancor meno. Ma Osto è una persona forte, tenace, non si scoraggia. Sa suonare la fisarmonica, e questo l’aiuta a introdursi nell’ambiente, a vincere le riluttanze.
Ines è una donna dura, sposata ad un soldato disperso in Russia, che le ha lasciato un figlio, Domenico. La sua sorte è quella di tante donne, le mogli dei soldati dispersi al fronte, che non possono rifarsi una vita, e che sono in attesa, più che del marito, della certezza della sua morte.
Osto e Ines si innamorano, ma la situazione non facilita il loro rapporto. Ines viene umiliata, considerata un concubina, e quando rimane incinta di Osto le viene rifiutata pubblicamente la comunione.
A rendere più drammatica e dolorosa la situazione, c’è il ritorno del marito, che ora vive in Danimarca, dove si è fatto un amante, e vuole l’annullamento del matrimonio.
Il divorzio non esiste, la Sacra Rota impiega tempi lunghissimi e accetta l’annullamento solo se Ines si dichiara donna di moralità dubbia (di fatto una prostituta), cosa che, ovviamente, ella rifiuta.
Osto e Ines si trasferiscono a Torino. La città è in fermento. Siamo all’inizio degli anni Sessanta. La Fiat si sta sviluppando, attira immigrati dal meridione, comincia a produrre automobili alla portata anche dei ceti inferiori. Osto trova un posto di maestro di ruolo, Ines fa la segretaria presso uno dei tanti palazzinari che in quel periodo fioriscono sulla speculazione edilizia. Dopo un periodo di precarietà, la coppia trova un’abitazione decente. I due figli, Domenico, nato dal primo marito di Ines, e Grazia crescono, la famiglia sembra assumere una parvenza di normalità: ma i pregiudizi persistono e le umiliazioni per Ines, anche se in modo meno palese e meno violento, continuano.
Il libro qui si sofferma su una serie di piccoli episodi che ci fanno rivivere l’atmosfera di grande attività, ma anche di grandi contraddizioni, delle città industriali del nord. Osto è un bravo maestro, diligente, di tendenze di sinistra, ma attento a non compromettersi eccessivamente; Ines affronta a testa alta la sua condizione, lavora duramente; Domenico, il figlio maggiore, nonostante le pressioni di Osto, decide di non studiare e di fare il meccanico aggiustatore in proprio. Ben presto guadagna tre volte tanto il magro stipendio del maestro. Domenico nel libro assume il ruolo di un ragazzo che sa gestirsi nella situazione di relativa abbondanza del miracolo economico, e alla fine del libro addirittura arriverà a prestare una bella cifra ai genitori. Grazia è meno caratterizzata, e l’immaginiamo come un’adolescente che ama la musica, che legge riviste e fotoromanzi. Una terza bambina si viene ad aggiungere per qualche anno alla famigliola. È Rosetta, la figlia di un cugino di Osto emigrato in Svizzera, Alvaro.
Il libro si conclude con un viaggio in Messico di Ines e Osto. Osto ha ricevuto una strana eredità: una statua olmeca che rappresenta un centurione romano. Sarebbe la dimostrazione che l’America era già stata raggiunta al tempo dell’Impero Romano. Questa statuetta potrebbe fruttare a Osto molti soldi, anzi moltissimi, ma occorre rintracciare il tombarolo messicano che ha dissepolto la statuetta. Di qui il viaggio in Messico, finanziato da Domenico, non solo per rintracciare il tombarolo, ma anche perché i due possano finalmente sposarsi.
Il libro si conclude ironicamente con i due che, contro ogni probabilità riescono a rintracciare il tombarolo, mentre decidono alla fine che il matrimonio che sono venuti a fare non è per loro, ma per gli altri, e alla fine vi rinunciano.
Il libro è scritto con una lingua leggera, sempre sottilmente ironica, nel descrivere questi personaggi che fanno una vita al limite della sopravvivenza, e che sono vivi nell’affrontare paradossi e contraddizioni che a ritmo continuo li cimentano.
E l’ironia diventa sarcasmo quando le contraddizioni di una società ancora arretrata sta aprendo gli occhi allo sviluppo. Per esempio la passione dei Siciliani per le vicende cavalleresche narrate dai pupi, con partecipazione e tifo calcistico per i gloriosi paladini, e l’odio esasperato contro il traditore Gano di Maganza, il cui pupo, spesso e volentieri, veniva colpito da lanci di ortaggi, quando non impallinato da colpi di fucile; il potere della Mafia la bigotteria della povera gente del Polesine, soffocata da un’immane presenza della chiesa e della Democrazia Cristiana; le leggi assurde sul matrimonio e sul reato di adulterio, da una parte; e sul riconoscimento dei figli nati da una relazione adulterina dall’altra, che, a parte la loro assurdità, sono fonte di grandissimo dolore per tante coppie. Il senso di subordinazione del Partito Comunista, che anziché difendere Osto e di apprezzarlo per il suo coraggio di non cedere alla bigotteria, lo riprende e lo minaccia di espulsione; la assurde leggi sull’immigrazione in Svizzera, che vietano alle coppie di immigrati di avere figli, causando situazioni di conflitto, di distacco, di crudeltà, etc; le riunioni di condominio, le liti occasionali, le discussioni su regolamenti senza senso, e così via.
Ma è ben descritta anche la vita che si apre, man mano che un certo benessere si incarica di permettere alle famiglie una vita un po’ piu’ agiata, pur sempre in grandi ristrettezze: l’acquisto della seicento usata, del televisore, del frigorifero, etc.
I dialoghi sono agili, le descrizioni ambientali ridotte al minimo, i personaggi di contorno abbastanza bene caratterizzati. La trama non ha un intreccio vero e proprio, se non nel finale, finemente arguto, che ha come protagonista la statuetta olmeca ricevuta in eredità. Quello che più attrae è la ricostruzione, vista con lieve e bonaria ironia, della società italiana del secondo dopoguerra che da contadina e povera, si avvia a scoprire un nuovo benessere e anche un senso più laico della vita.