RIGOLETTO, alla Scala
Neve, gelo, caos sulle strade, alle stazioni, sui treni, nella metropolitana… Tutto questo per andare e sentire il Rigoletto e dare il bentornato a Chailly. Ciliegina sulla torta: L’opera inizia con trequarti d’ora di ritardo. Colpa del tempaccio e, dicono loro, di pubblico ritardatario. La solita bugia. Il pubblico c’era tutto; e comunque da quando in qua la direzione scaligera si preoccupa del pubblico? In realtà in ritardo erano loro. Sarebbe stato più onesto (e più gradito dal pubblico) se avessero detto le cose come stavano realmente.
Il Rigoletto (credo di non dire una cosa originale) è un’opera
bellissima. Bella la musica, bella la drammaturgia, bella la linearità
dello sviluppo, la compattezza della vicenda, la commozione che suscita
il povero gobbo, vittima della maledizione.
La Scala ha ripresentato la messa in scena di Deflo del ’94 (allora
dirigeva Muti). Si tratta di una messa in scena molto fedele alla
didascalia, sontuosa e affascinante, non tanto e non solo per la
ricchezza della scenografia (luminoso e sfolgorante il palazzo, quanto
cupa e degradata l’osteria dell’ultimo atto) e dei costumi (pieno
cinquecento, com’è l’ambientazione originale di Hugo-Verdi) ma
soprattutto perché vengono accuratamente evitate tutte le banalità nelle
quali, in queste opere, si tende a cadere facilmente.
Chailly è stato bravissimo. Il pubblico lo ha accolto con un prolungato
applauso, quasi a volergli significare un calorosissimo “bentornato,
maestro!”. La sua direzione è stata molto ricca di sfumature, di
attenzioni ai cantanti, ma anche di espressività orchestrale. Direi che
è stata la parte più positiva della serata.
I cantanti.
Nel primo atto la voce di Nucci sembrava un po’ appannata. In realtà,
come si è visto nel secondo, egli ha furbamente scelto di risparmiarsi
per esplodere nella sua grande aria, il “Cortigiani vil razza dannata“,
cantata in modo magistrale, con grande espressione, pathos e trascinando
il pubblico (per tutta l’opera molto parco) in un applauso entusiasta.
Lo stesso Chailly si è unito all’applauso, scambiandosi con Nucci dei
simpatici segni di intesa. Nucci ci ha poi gratificato di una pure
formidabile stretta nel duetto finale dell’atto (“Sì, vendetta, tremenda
vendetta!“). Grande Nucci!
Di livello molto inferiore Andrea Rost nel ruolo di Gilda. La sua voce,
rispetto al ’94 è apparsa molto logorata, gli acuti difficoltosi,
l’agilità persa praticamente del tutto. Peccato. Non che nel ’94 fosse
il non plus ultra, ma ora chiaramente non è stata all’altezza del ruolo.
Il tenore non lo conoscevo: un certo Piotr Beczala, che ha sostituito
Marcelo Alvarez, presenta alla Prima. Voce non brutta, discretamente
limpida, ma modo di cantare, a mio avviso, molto scolastico, senza la
”pruderie” che ci si può aspettare dal duca di Mantova (alias Francesco
I di Francia). Il pubblico, giustamente, non ha mostrato di apprezzarlo
molto. Una sua scivolata nell’acuto della “Donna è mobile”, comunque,
gli è stata perdonata (per fortuna!).
Tutto sommato, un Rigoletto non eccezionale, ma che valeva la pena se
non altro per la grande scena di Nucci nel secondo atto e il ritrovato
Chailly.