LA LUCIA DI LAMMERMOOR, alla Scala
Rivedo dopo 13 anni alla Scala la Lucia di Lammermoor. L’allestimento è lo stesso di Pier’Alli. Il direttore di allora era Stefano Ranzani. Il cast era quello di riserva: Tiziana Fabbricini, Salvatore Fisichella, Alexandru Agache (Invece della Devia, La Scola e Bruson). Già allora non rimasi particolarmente impressionato da questa opera, che mi sembrò povera di drammaturgia, come d’altra parte mi sono apparse in genere le opere di Donizetti (eccezion fatta per il Don Pasquale).
Ieri sera ho confermato e precisato la mia impressione di allora. Il cast era di grande livello, con una punta di grandissimo valore nella Devia. Ma anche Filianoti ha sfoderato un bellissimo timbro di voce, e di ottimo livello mi sono parsi anche Ludovic Tézier e Ildar Abdrazakov. Pur tuttavia in nessun momento ho avvertito un fremito di emozione.
La mia senzazione è che l’opera non sia altro che una lunga, e magari anche piacevole (le arie sono belle, nulla da dire) preparazione alla grande scena del terzo atto: la follia di Lucia. A me è sembrato che tutta l’opera, e quindi la sua esecuzione, tendesse a quel momento, e anche la reazione del pubblico mi sembra che abbia sottolineato questo aspetto: applausi, se non di circostanza, almeno di mero gradimento nelle esibizioni (arie, duetti etc.) dei primi due atti; applausi deliranti e di grande partecipazione alla fine della grande scena della follia.
Per quanto riguarda la scenografia, nonostante alcune critiche (qualcuno l’ha definita “invecchiata”), a me è piaciuta molto, come pure i costumi. Cupa ricostruzione di un ambiente gotico, con i suoi misteri, i suoi intrighi, la sua decadenza, le sue rovine, le sue gelide tombe. Quella che invece ho trovato del tutto appiattita è stata la regia: movimenti rigidi, convenzionali sia nel coro sia nei cantanti. Le scene che avrebbero dovuto essere drammatiche o commuoventi sembravano degne più di una soap opera televisiva che di un dramma che si consuma sulla scena.
Insomma, tutto sembrava organizzato per ridurre l’emozione e sottolineare l’attesa del momento clu, quello attorno al quale è stata costruita l’opera: la follia.
E la Devia non ha deluso. La sua interpretazione è stata superba, abbellita, se possibile dal suono siderale, spazile, lunare, notturno, sognante, rotondo, cristallino non so che altri aggettivi usare, di quel diabolico strumento fatto di bicchieri che ha sostituito il flauto e di cui non ricordo il complicatissimo nome.
Comunque, al di là del valore dell’opera, della sua capacità di creare emozione (pressoché assente) valeva la pena di assistere ai 10 minuti della grande scena del duetto fra la Devia e i bicchieri.