Paul Bunyan di Benjamin Britten su 3sat
Ieri sera mi sono preso la soddisfazione di guardare su 3sat “Paul Bunyan”, la prima opera di Benjamin Britten. Era una diretta differita dal Bregenzer Festspielen. Il direttore era Steuart Bedford, la messa in scena di Nicholas Broadhurst. Nel cast, Helmut Kraus nel ruolo di Paul Bunyan (che è un ruolo recitante) e poi Roberto Gionfriddo, Gilian Keith, Juan Carlos Falcon, etc.
Né direttore né regista, e ancor meno i componenti del cast mi erano noti in precedenza.
L’opera, che si compone di numeri cantati (solistici, d’assieme e corali) alternati a episodi recitati, porta sulla scena una leggenda che si riferisce all’epopea della nascita dell’America, quando dice il testo di Auden, “It is America, but not yet”. Il territorio è ricoperto da immense foreste, che vivono la loro vita lentamente, stabilmente, immutabilmente. Il prologo dell’opera presenta un nuovo fermento, una specie di rivoluzione. Gli alberi non sono destinati solo a sopravvivere, ma d’ora in poi gli alberi, ovvero la materia di cui son fatti, sono destinati a partecipare alla costruzione di una civiltà, sotto forma di vascelli, di costruzioni, di arredi e quant’altro. E tutto questo sarà opera dell’avvento di un uomo: un uomo gigantesco, più grande dell’Empire State Building, Paul Bunyan. L’uomo, questa ignota e misteriosa forma di vita, che cosa è?: “a form of life”, ci dicono le oche annunciatrici, “that dreams in order to act, and acts in order to dream”.
E così Paul Bunyan sarà alla testa della prima grande epopea della nascita della nazione: il taglio dei boschi. Ma da essa nasceranno altre grandi attività, come ad esempio l’agricoltura, la nascita della famiglia, e così via. L’opera ci fa entrare nella leggenda dei pionieri in parte raccontando, in parte mettendo sulla scena piccoli episodi, come la ricerca di un caposquadra dei tagliaboschi, la ricerca di un contabile, la ricerca di cuochi per dar da mangiare ai boscaioli, la ricerca di una sposa da parte di Paul Bunyan e il suo matrimonio, la nascita della figlia, le liti per la supremazia, la nascita dell’amicizia, la nascita dell’amore che porterà alla nascita della famiglia, la creazione del gruppo degli agricoltori, e alla fine il compimento dell’opera e il banchetto d’addio. Paul Bunyan, eseguito il compito se ne andrà altrove a compiere altre imprese, non si sa dove e non si sa che cosa. Ciò che è stato fatto si svilupperà, progredirà, sarà, appunto, l’America. Alla fine da parte di qualcuno gli viene chiesto “Paul, who are you?” E Paul risponde “Where the night becomes the day, where the dream becomes the fact, I am the Eternal Guest, I am Way, I am Act.”
La struttura drammaturgica si basa su un prologo, nel quale è protagonista la foresta millenaria che apprende da tre oche di passaggio che un nuovo destino sta per verificarsi, e due atti. Nel primo atto vengono narrati gli episodi relativi ai boscaioli e al loro lavoro di taglialegna. Nel secondo l’epopea si avvia a divenire sempre più complessa: nasce l’agricoltura, si sviluppano lotte per la supremazia, e termina la funzione di Paul Bunyan. Nel corso dell’opera, per sottolineare appunto la sua natura leggendaria, vi sono tre ballate intermezzo, cantate da un cantastorie con accompagnamento di chitarra.
La musica ha aspetti molto interessanti dal punto di vista orchestrale. I timbri sono molto coloriti, con suoni onomatopeici che richiamano la foresta, o descrittivi della vita semplice e rozza dei boscaioli. Le linee del canto sono per lo più melodie semplici, costruite su versi molto ritmati e cadenzati. Il tutto configura una leggerezza e una piacevolezza d’ascolto. Siamo ben lontani dal tormento, drammaturgico, ma anche musicale, di opere di Britten anche di poco successive, come il Peter Grimes composto meno di quattro anni dopo. E certamente siamo ben lontani anche dall’emozione che le opere della maturità del compositore sanno suscitare. La durata complessiva di oltre due ore, alla fine, almeno a me, ha generato anche una qualche sensazione di sazietà, se non proprio di noia.
L’esecuzione mi è sembrata buona. Senz’altro molto carina, fedelissima al libretto e originale nell’aspetto visivo della scenografia, la messa in scena. La foresta è rappresentata da una grande tronco stilizzato posto al centro, che a volte, come nel prologo si apre per fare vedere gli alberi, rappresentati da un coro disposto compattamente, a piramide, e i cui personaggi sono vestiti di tuniche bianche percorse dalle linee caratteristiche dei tronchi. L’accampamento mostra una tenda, un fuoco acceso, delle strutture che fanno pensare a tronchi tagliati. Le luci hanno un compito importantissimo nel disegnare l’aria di solitudine e grandiosità della foresta. Il cantastorie è vestito da cowboy hollywoodiano, con lunghe frange sulla maniche della giacca e sui calzoni. Chiaramente fa pensare ai cantastorie di paese che con i loro racconti divertivano e tenevano desta l’attenzione di pionieri. I tagliaboschi sono abbigliati nel modo come ci si può aspettare da quel tipo di lavoratore: camicie a scacchi, calzonacci, cuffia e ascia in mano. Nel secondo atto, la sostituzione della cuffia con un cappello a larga tesa li trasforma automaticamente in agricoltori. Le oche del prologo sono delle hostes con tanto di troller; il cane, una ragazzina con dei guantoni da pugile; i gatti, Moppet e Poppet, due fanciulle che tengono in mano vaporosi piumini.
Paul Bunyan non compare mai, e la sua voce amplificata sembra provenire da un altro mondo.
La cosa più discutibile di questa messa in scena è che viene utilizzata, sia nella parti cantate che in quelle recitate, la traduzione tedesca.
Nulla da rilevare per quanto riguarda la direzione orchestrale e le voci: in entrambi i casi non mi sembra che si sia trattato comunque di un compito proibitivo.
In conclusione, se c’è stato un movente di interesse a guadare quest’opera, occorre anche rilevare che essa non è stata in grado di offrirmi un coinvolgimento se non a tratti e comunque più che altro in singoli episodi, soprattutto orchestrali. Diciamo che ho avuto la possibilità di osservare un Britten a me ancora sconosciuto, ma che mi è apparso già padrone dell’orchestra e attento alla costruzione drammaturgica.
24 maggio 2011 alle 18:07
Sto traducendo dall’inglese in italiano la James Cair Society Newsletter May 2004.
In particolare sono arrivato ad un articolo che comenta il libro contenente i diari di William Bakewell, il marinaio imbarcato da Shackleton a Buenos Aires prima del compiersi dell’epica spedizione e salvataggio.
Viene citata l’opera di Britten Paul Bunyan, mai sentita prima nominare. Ho conosciuto Britten tramite Billy Budd e poi altre sue opere. Da ultimo il War Requiem, ascoltato al Teatro Comunale di Firenze, domenica scorsa 22.05.2011. Ho digitato su Google ed ho trovato questo articolo. Fantastico! Tramite Shackleton e Bakewell ritrovo Britten, tutti personaggi da me ammirati.
Per inciso soggiungo che sono l’unico socio italiano della James Caird Society che ha sede a Londra, dove cerco di andare due volte all’anno, agli incontri dei soci.
Saluti. Blasich Giovanni, Firenze
24 maggio 2011 alle 18:53
Sono contento che ti sia imbattuto in questa opera, che è la prima di BB. Io ho registrato il DVD. Se ti interessa no puoi fare altro che avvertirmi, e te ne farò avere una coppia.
A proposito, ignoranza per ignoranza, io ignoro che cosa sia la James Caird Society. Mi puoi dare qualche ragguaglio?
Ciao e grazie per il commento.