Come tu mi vuoi
Come tu mi vuoi (c.a 1929), il titolo di questo lavoro di Pirandello me ne richiama un altro, precedente: Così è (se vi pare) (1918). Anche il tema di fondo è molto simile. Riguarda l’identità della persona.
Diverso è invece il punto di osservazione e l’esplorazione del rapporto fra identità e persona. In Così è (se vi pare) il problema viene posto in modo prevalentemente oggettivo.
Il movente è la curiosità, e quindi la ricerca della “verità” da parte del mondo dei benpensanti, in merito a un rapporto giudicato strano e con aspetti di mistero che coinvolge tre persone: un dipendente comunale, la moglie e la suocera. La conclusione è che, pur dopo tutti gli interrogatori cui vengono sottoposte le persone, le contrastanti versioni dei protagonisti e l’analisi dei fatti che da tutto ciò sembrano venire alla luce, la verità come conoscenza assoluta non esiste, o non è raggiungibile. L’identità della moglie, che è appunto l’aspetto più misterioso e sconcertante e dal quale derivano tutti gli altri, è, alla fine, quella che ciascuno degli indagatori, dal proprio punto di vista, ritiene che debba essere o che sia – Così è (se vi pare), appunto, è il titolo; o “per me, io sono quella che mi si crede” dice la moglie nell’ultima scena, – in quanto gli equilibri che riguardano la vita delle persone e le loro relazioni, sono più importanti, e quindi più “veri”, del freddo, oggettivo accertamento dei “fatti“.
Come tu mi vuoi indaga invece il rapporto fra l’identità di una persona e se stessa come depositaria del proprio passato, dei propri ricordi, dei propri sentimenti, e il mondo relazionale che tutto ciò comporta.
Lo spunto per il lavoro nasce da una complessa vicenda realmente avvenuta e che ha coinvolto l’opinione pubblica del nostro paese, quella nota come la storia dello smemorato di Collegno.
La vicenda: nel marzo del 1926 viene arrestato un individuo sorpreso a commettere un furto in un cimitero. La persona mostra di essere affetta da gravi turbe psichiche e, apparentemente, non è in grado né di dichiarare la propria identità né di far riferimento a episodi della sua vita passata. Viene trasferito nel manicomio di Collegno dove nell’arco di un anno ricupera la propria salute mentale, ma non la memoria. La sua identità, ovviamente, resta sconosciuta.
Nel tentativo di trovare qualche elemento che aiuti a ricostruirne identità e passato, nel febbraio 1927 viene pubblicata su un giornale la sua fotografia.
Fra le diverse persone, che affermano di riconoscere nella foto un loro congiunto, i parenti di un professore universitario, il prof. Giulio Cannella, scomparso nel corso di un episodio bellico della prima Guerra Mondiale, sono così convincenti che lo smemorato viene consegnato loro e riportato in quella che si pensa essere la sua famiglia d’origine e la sua casa.
Tuttavia, pochi giorni dopo è divulgata, in modo anonimo, ma plateale, un’informazione sconcertante: lo smemorato di Collegno non è affatto il Prof. Cannella, ma un impostore, un certo Mario Bruneri, non nuovo a truffe e furti nei cimiteri.
Si apre così un contenzioso senza fine. In attesa che la magistratura dia una risposta definitiva, lo smemorato viene ricondotto a Collegno, dove rimane fino alla fine di dicembre 1927 (in tutto altri nove mesi), quando la magistratura, non ritenendosi in grado di esprimere un giudizio certo sull’identificazione dello smemorato, lo dà in affidamento ad un avvocato che, a sua volta, per le solite vie traverse, lo riaffida alla famiglia Cannella, e in particolare alla moglie Giulia, la più accanita nel difendere l’identità dello smemorato come il suo vero marito; e da quel momento non lo lascerà più.
Il contenzioso comunque prosegue, coinvolgendo, oltre alla magistratura chiamata ad esprimersi in tre gradi di giudizio, in una specie di processo mediatico non molto diverso da quelli che periodicamente scuotono l’opinione pubblica, come ad esempio quello attuale del delitto di Cogne. L’intera popolazione italiana si divide in Canelliani e Bruneriani.
La magistratura sulla base di prove inoppugnabili, fra le quali le impronte digitali, giudica alla fine, in modo definitivo, che lo smemorato di Collegno è il mistificatore Mario Bruneri. Ma la signora Giulia, che ormai da anni convive con lo smemorato e dal quale ha avuto altri tre figli in aggiunta ai due avuti in precedenza, mantiene il proprio convincimento, almeno pubblicamente, che egli sia realmente il marito scomparso. La coppia, per evitare ovvie complicazioni di natura legale, si trasferisce in Brasile, dove i convincimenti (veri o falsi che siano) della signora Giulia vengono appoggiati dall’opinione pubblica.
Sciascia, sulla vicenda scrive un breve romanzo, Il tribunale della memoria, che potremmo definire una “non fiction”, nel quale i fatti vengono ricostruiti con grande precisione, e con un incalzare romanzesco. Egli giunge alla conclusione, d’altra parte razionalmente inevitabile, visti gli elementi oggettivi a disposizione, che lo smemorato di Collegno sia effettivamente l’impostore Mario Bruneri.
A Pirandello non deve essere sembrato vero di essere testimone di un vicenda che tanto sembra partecipare del suo modo di essere scettico sulle verità assolute. E ne ha tratto ispirazione per un lavoro teatrale, appunto Come tu mi vuoi.
La protagonista del lavoro è una donna, che nell’economia dei personaggi viene identificata come L’ignota. Essa vive a Berlino, dove al termine di un trascorso non chiaro, ambiguo, forse molto doloroso, di cui ella stessa preferisce non parlare, da alcuni mesi è amante di uno scrittore, Karl Salter.
Salter: Più che non ti conosca tu stessa, io ti conosco.
L’ignota: Fai questo bello sforzo! Non voglio più conoscermi da tanto tempo, io!
Salter: Molto comodo, per non render conto di quello che fai!
L’ignota: Al contrario, caro: indispensabile, per poter sopportare quello che gli altri mi fanno.
Proprio qui a Berlino viene riconosciuta da una certo Boffi come Lucia, una donna, moglie del suo amico italiano Bruno Pieri, che è andata dispersa durante gli eventi bellici della Prima Guerra Mondiale, probabilmente catturata e violentata dalle truppe austriache che avevano invaso la loro casa, e forse sopravvissuta a tanto strazio per viverne forse altrettanto in terra straniera.
Il riconoscimento, vero o falso che sia, apre un conflitto interiore nella donna. Ella in un primo tempo non ammette, o non accetta di essere identificata con Lucia; ma in un colloquio con il sedicente (o vero?) marito, davanti alla passione di questi nel ricordo dei momenti felici trascorsi nell’unico anno di matrimonio prima della sua scomparsa, e alla sua genuina felicità per il ritrovamento, si lascia convincere a ricoprire il ruolo della moglie ritrovata. Forse è così, o forse no. Comunque l’Ignota lascia l’amante, e torna in Italia col presunto marito.
In Italia la donna vive segregata per alcuni mesi, in attesa di un riconoscimento ufficiale da parte della famiglia. Ma, nel corso dell’attesa emerge una questione di interesse che coinvolge la famiglia e che pone tutto nuovamente in discussione: le proprietà di Bruno Peri, che in realtà erano intestate alla moglie, a causa della dichiarazione di morte presunta diventata inevitabile dopo alcuni anni dalla scomparsa, erano passate alla sorella di lei, a sua volta sposata. Il ritrovamento di Lucia, rimette in discussione la dichiarazione di morte presunta e quindi la titolarità delle proprietà.
Tutto questo riapre le perplessità dell’Ignota, che ora è afferrata dal dubbio che il marito l’abbia voluta con sé, non tanto per il ricordo della passata felicità e la speranza di poterla rivivere, quanto, molto più prosaicamente, come strumento per la riappropriazione delle proprietà perdute.
A questa complicazione se ne aggiunge un’altra: l’amante tedesco Karl Salter, ha scoperto in un manicomio di Vienna una demente che potrebbe essere, in base ad alcuni segnali oggettivi, la vera signora Lucia, e, per vendicarsi dell’abbandono da parte dell’Ignota, decide di venire in Italia per presentare alla famiglia questa nuova persona da porsi in alternativa al “ritrovamento” dell’Ignota.
Fin qui si possono notare diversi punti di contatto, ma anche di divergenza, con la storia dello smemorato di Collegno. L’ignota, come lo smemorato, viene riconosciuta come coniuge (rispettivamente moglie e marito) scomparso a seguito di un evento bellico. Lo smemorato sa di non essere Cannella e fa di tutto perché gli altri lo credano tale; l’Ignota non ricorda o non vuole ricordare il suo passato, e quindi forse neppure lei lo conosce; ma alla fine, davanti alle contraddizioni di cui i fatti sono portatori, rifiuta il ruolo di moglie che in un primo tempo aveva accettato.
Degli altri personaggi chiave, sia Bruno Peri, il marito di Lucia (poi forse l’Ignota), che Giulia Cannella, la moglie di Cannella (poi forse lo smemorato-Bruneri), entrambi soffocano ogni eventuale dubbio sulla natura del ritrovato coniuge con l’ostentazione di una certezza che non dà adito a discussioni. Ma entrambi hanno un interesse diretto a questo riconoscimento. Il primo, una questione di proprietà; la seconda una questione di legalità di convivenza e legittimità dei figli.
Nel terzo atto emergono i contrasti.
L’Ignota si trova davanti alla famiglia, e all’ex-amante con la mentecatta trovata nel manicomio di Vienna.
Il riconoscimento: l’Ignota è riconoscibile fisicamente da parte dei diversi parenti come Lucia? Sì, viene affermato, ma l’Ignota obietta: come è possibile che una persona che abbia passato le violenze descritte, dopo tanti anni di una vita sordida, in ambienti ambigui, sia ancora riconoscibile?
Durante il riconoscimento si manifestano poi alcune incertezze da parte di qualcuno, che dimostrano all’Ignota che le certezze del riconoscimento sono più costruite che spontanee.
Ci sono segni obiettivi che sostengono il riconoscimento? Forse sì, si parla di un segno sulla pelle. Ma se si pretende di riconoscerli, allora anche questa è una prova che le certezze manifestate solo sulla rassomiglianza non sono per nulla certezze. Quindi si rientra nel dubbio, che affiora in modo sempre più insistente nell’Ignota. Dubbi ulteriormente rafforzati da alcuni aspetti della mentecatta.
Alla fine ci sono i problemi del ricupero della proprietà. Per quanto dal marito venga negata la loro consistenza, associati assieme a tutti gli altri aspetti potano l’Ignota ad una conclusione definitiva per quanto riguarda i fatti, ma interrogativa per quanto riguarda l’identità.
L’Ignota tornerà a Berlino con l’amante perchè:
Forse lei non è affatto la signora Lucia.
Forse lei è la signora Lucia, ovvero, era la signora che nelle vicende belliche è stata catturata, violentata dalla truppe austriache, che ha vissuto in terra straniera, in ambienti ambigui una vita dolorosa, vittima di vicende sconvolgenti più forti di lei. Ma che rapporto c’è fra quella signora Lucia e quella che oggi chiamiamo l’Ignota? Sono la stessa persona? Potrebbero o potrebbero non esserlo fisicamente. Ma certamente non lo sono all’interno di una identità che, andata perduta, si è ricostituita in un modo tutt’affatto diverso e non identificabile con quella del ricordo struggente di Bruno. In un primo momento questo ricordo l’aveva affascinata, e alla fine convinta. Forse le è sembrato possibile, attraverso un ricordo altrui, sia pure di uno che avrebbe potuto essere suo marito e vivere assieme a lei questo ricordo, che una identità perduta avrebbe potuto essere ricostruita. Ma poi tutto è crollato, davanti ai fatti più banali, ma più reali della vita: le diffidenze dei parenti, gli interessi in gioco, ricordi frammentari ma incongruenti. Il corpo potrebbe anche essere lo stesso di quello di Lucia, ma l’identità no, non più.
Allora, l’Ignota capisce che fra le due identità, quella attuale e quella di un remoto passato forse esistito o forse no, quella che conta, quella reale (e quindi quella vera) è quella di amante dello scrittore tedesco. Con lui quindi torna a Berlino.
In Così è (se vi pare), l’identità della persona, riguarda soprattutto il suo rapporto con gli altri. Non saprete mai chi sono io in realtà, perché voi avete di me una conoscenza che è la vostra, non la mia. Qualunque approfondimento non porterà mai all’identificazione delle due conoscenze.
In Come tu mi vuoi, sono io che non ho una conoscenza di me che possa collegarmi a un passato che potrebbe essere mio, ma che di fatto ormai non lo è più, non può più esserlo e che è del tutto inutile cercare di ricollegarlo con la persona che sono ora.
Voglio? – sì, fuggire da me stessa, voglio – non avere più un ricordo di nulla, di nulla – vuotarmi di tutta la vita – ecco, guardi: corpo – essere soltanto questo corpo – lei dice che è suo? che le somiglia – io non mi sento più – io non mi voglio più – non conosco più nulla non mi conosco – mi batte il cuore e non lo sp – respiro e non lo so – non so più di vivere – un corpo, un corpo senza nome in attesa che qualcuno se lo prenda! – Ebbene, sì: se mi ricrea lui, se gliela ridà lui un’anima, a questo corpo che è della sua Cia – se lo prenda, se lo prenda, e vi metta dentro i suoi ricordi – i suoi – una vita bella, una vita bella – una vita nuova – io sono disperata!
e più avanti
Sì – io, Cia! – io, sono la Cia! – io sola! – io! io! – non quella (indica il ritratto): che fu, e – come – forse non lo seppe nemmeno lei stessa, allora – oggi così, domani come i casi della vita la facevano… Essere? essere è niente! essere è farsi!
La rappresentazione del DVD ha come regista una scrittrice americana, Susan Sontag. Si tratta di una rappresentazione che ha goduto di una certa fortuna. L’Ignota era interpretata da Adriana Asti. Il taglio, in coerenza con le idee della Sontag, è di tipo femminista, e la Asti da questo punto di vista dà una mano importante.
A mio parere la recitazione sua, ma anche dei comprimari è abbastanza sopra le righe. La recitazione ha quasi sempre un tono enfatico, per sottolineare la violenza dei contrasti che si creano attorno alla figura dell’Ignota. Tuttavia non è detto che la violenza si debba necessariamente esprimere con toni esagitati, pesantemente calcati, ecc. Forse lo stile recitativo risente di un’epoca. Io lo immaginerei anche più forte nei significati ma molto meno calcato nei toni. In questo modo mi sembrerebbe più efficace.