PER CHI VOTARE IL 13?
A una ventina di giorni dalle elezioni, mi sento ancora molto indeciso su a chi dare il voto.
Sto assistendo ad una campagna elettorale molto strana. I problemi del Paese ci sono, sono enormi, ma sono praticamente fuori dagli argomenti che animano le discussioni fra i vari raggruppamenti. Si preferisce discutere e litigarsi su problemi, senz’altro importanti, ma di settore: alitalia, aborto, immondizia nel napoletano, ecc. E anche su questi ho l’impressione che si cercano argomenti non per risolverli, ma per indicare eventuali responsabilità cercando di mettere in cattiva luce e in difficoltà l’avversario politico, senza per questo aumentare la propria credibilità.
In realtà, per quanto mi consta i veri problemi dell’Italia, che occorrerebbe mettere in primo piano e dichiarare esplicità volontà di una loro soluzione sono:
1) Il debito pubblico. La parola di per sé non dice nulla, ma se pensiamo che questo debito costa annualmente allo Stato qualche cosa come 70 miliardi di euro solo per pagarne gli interessi, capiamo di cosa si tratta. Si tratta di una valore doppio rispetto alla tanto criticata finanziaria del governo Prodi del 2007. Non solo questi 70 miliardi vengono sottratti all’impiego per migliorare le condizioni di vita di tanta gente che è alle, o ha oltrepassato le soglie della povertà; vengono sottratti ad investimenti che potrebbero aumentare produttività e produzione; vengono sottratti ai servizi di sicurezza, al funzionamento della magistratura, eccetera eccetera eccetetera, cioè alla credibilità di uno Stato che ne sta perdendo pezzi alla volta. Ma, in quanto capitali che vengono ad incrementare le rendite finanziarie, a discapito delle rendite di lavoro, sono soggetti ad una tassazione forfettaria del 12%, la più bassa d’Europa, che è mediamente sul 20%.
Sarà bene vedere l’andamento dell’Economia del nostro paese osservando i parametri fondamentali (spesa pubblica, debito pubblico pressione fiscale etc.) come si sono comportati dal 1996 al 2077, guardando le differenze nei periodi di governo del centro-sinistra rispetto al quinquennio berlusconiano.
Economia italiana: confronto elettorale
2) Mafia, Camorra, Ndrangheta. Tre, forse cinque regioni sfuggono al controllo territoriale dello Stato. Il vero governo di queste regioni è in mano alla cosiddetta “malavita organizzata”, in realtà ad un vero potere criminale che condiziona tutta la vita di queste regioni. E questo avviene perché lo Stato, presso le popolazioni di queste regioni è privo di credibilità. Il potere criminale agisce indisturbato nel richiedere il pizzo, nel distribuire lavoro più o meno nero, nel condizionare appalti, nel punire gli sgarri, eccetera. Il giro d’affari di questo potere è secondo solo al giro d’affari degli interessi sul debito pubblico. Combatterlo solo sul piano militare senza che lo Stato possa ricrearsi una vera credibilità smantellando il mostruoso giro d’affari, è del tutto superfluo. A un boss arrestato ne succede subito un altro, e tutto continua come prima. Risolvere il problema meridionale darebbe un grande contributo alla soluzione dei problemi nazionali.
3) Berlusconi. Il problema Berlusconi ha due aspetti. Il primo è rappresentato dell’uomo; il secondo è rappresentato dalle aspettative di una porzione contingente della popolazione.
L’uomo: nei sette anni in cui ha governato l’Italia ha dimostrato di occuparsi prevalentemente, se non solo, dei propri problemi, aziendali e giudiziali. È stato sottoposto a numerosissimi processi, riuscendo a scamparla a furia di leggi fatte approvare da un parlamento in mano sua. Che abbia commesso reati, anche gravi, non c’è nessuno che non ne sia convinto. E nessuno vorrebbe avere come presidente del consiglio un Vallanzasca. Ma per Berlusconi la cosa è diversa. Ci sono gli aspetti aziendali. E il suo parlamento ha approvato leggi che hanno consentito, in una situazione in cui la maggioranza delle imprese, grandi e piccole, versava in gravi difficoltà, a Mediaset di realizzare uno sviluppo spettacolare.
Questo è l’uomo.
Ma quello che più importa è l’altro corno del dilemma: le aspettative di una porzione contingente (diciamo dal 35 al 40%) della popolazione italiana. In sostanza sembra proprio che non siamo usciti dalla logica dominante il ventennio fascista. Le attese di questa consistente porzione, sono ancora per l’uomo messianico, l’uomo forte, l’uomo che risolverà i suoi problemi. E Berlusconi, il mago, l’uomo della provvidenza, l’uomo dalle grandi promesse, anche grazie a una sua indubbia capacità di comunicazione, facilitata dal possesso di tre reti televisive, è riuscito ad incarnare questa veste messianica. E il popolo che ha votato per lui una volta, non lo ha votato perché convinto dai suoi programmi, ma perché convinto dalla sua persona, dal “ghe pensi mi”. Quali che siano i suoi interessi, i suoi crimini, le sue malefatte, tutto ciò non scuote una fiducia profonda che questa porzione di italiani gli attribuisce. Chi lo ha votato lo rivoterà, qualunque cosa dica, qualunque cosa faccia.
Ecco, questi sono i veri tre grandi problemi della società italiana, che nella campagna elettorale non trovano voce a sufficienza.
Al di là dello schieramento di Berlusconi, che conserva intatti i suoi voti e che per questo rischia di vincere ancora una volta le elezioni, gli altri schieramenti, grandi come il PD o piccoli come il PSI, si trovano in serie difficoltà. Sanno che sono destinati alla sconfitta, e cercano affannosamente qualche argomento che li tiri fuori dal pantano in cui li costringe Berlusconi. Qui non esiste un popolo che ha cieca fiducia. Qui c’è un popolo che vuol sapere, vuol giudicare, e vuole votare in modo consapevole. E a tutt’oggi questi schieramenti, sotto la pressione berlusconiana, non riescono a dare una risposta credibile alla tante domande. Per questo gli indecisi sono ancora tanti, e fra loro mi annovero anch’io. Alle passate elezioni sembrava sufficiente una grande coalizione che avesse come elemento cementante di unità l’obiettivo di liberare il paese da questa ingombrante figura. Ma non è stato possibile a causa dell’esito delle votazioni e della grandissima debolezza della maggioranza al senato. Non riuscendo in questo, sono emerse tutte le divisioni interne allo schieramento, ciò che alla fine a portato alla crisi.
Veltroni ha fatto un gesto coraggioso (e obbligato): si è reso conto che occorre costruire uno schieramento che offra al paese la sicurezza di un governo capace di governare, armato di sano pragmatismo, che sappia porsi obiettivi credibili, e che sia costituito da gente credibile. Per un certo periodo ha tenuto fede a questi principi, e ha costretto Berlusconi a un maquillage che lo assicurasse presso il proprio popolo. Ma col passar del tempo la grinta iniziale si è andata corrodendo. Tutta la vicenda della polemica con Pannella e i Radicali ha dimostrato la paura di Veltroni di perdere voti nell’area cattolica (ma i Ciellini, non lo voteranno comunque: sono i soldati di Formigoni, che a sua volta è un ufficiale di Berlusconi). Eppure Pannella è stato uno degli uomini politici che più ha contribuito al progresso civile della nostra società, e accoglierlo nel PD con la sua effigie, il suo simbolo, era un dovere. Analogamente si può dire del rifiuto a Boselli e al Partito Socialista, che a sua volta trova corrispondenza nell’ambiguo comportamento del PD nei confronti del Partito Socialista Europeo.
Votare il PD? Secondo me votarlo ora sembrerebbe aderire, da parte mia più alla logica dell’antiberlusconismo che a quella di una piena condivisione della politica del PD. In fin dei conti, io mi sento ancora un uomo che crede nei valori della sinistra, e nel PD non mi sembra che questi valori siano in primo piano.
Quale alternativa? Per ora l’unica percorribile, se proprio non voglio disperdere il voto è il voto alla sinistra arcobaleno. E’ un voto di protesta, me ne rendo conto. La sinistra arcobaleno ha dimostrato di non essere interessata ad un programma di governo, ma solo ad una agitazione generica, che parte dalla povertà della gente per chiederne un miglioramento della vita; che parte dai problemi ambientali per bloccare ogni tipo di sviluppo e nella sostanza peggiorandoli. Basterebbe pensare che nella sinistra arcobaleno milita un personaggio come Pecoraro Scanio per giustificare coloro che non intendono votarla. Ma oggi occorre guardare un po’ al di là dei problemi contingenti e dare un segnale positivo: e questo secondo me, a questo punto, è quello di dare un voto alla sinistra arcobaleno valorizzandone la posizione di sinistra. Senz’altro alla camera. Al Senato la cosa è ancora discutibile.
31 marzo 2008 alle 12:26
Mi piace riportare un commento di Ugo Basso sulla sua dichiarazione di voto. Condivido e sottoscrivo
“Partito democratico, certo.
Ho cercato, in queste settimane, di far passare il messaggio, non so con quanto successo, fra gli amici. Ho cercato di far passare il messaggio non facendo girare barzellette su Berlusconi per un sorriso ormai scarso sulle labbra di chi comunque non lo vota, ma ricordando i mali operati dall’uomo e dai suoi sostenitori, che il poeta chiama squadristi. Mali probabilmente presenti a tutti, ma da ripassare di tanto in tanto per ripetersi che sono la causa del disagio che stiamo vivendo, che hanno inquinato i fondamenti della nostra convivenza, che mettono in discussione il concetto stesso di democrazia e ci rendono talvolta faticoso parlare perfino con gli amici.
Li ricordo con grande semplificazione anche qui: utilizzo del parlamento, affollato di corrotti inquisiti e condannati, a tutela degli interessi personali; controllo dell’informazione; asservimento della chiesa mediante favori economici con riduzione della laicità dello stato e conseguente rigurgiti di anticlericalismo; devastazione delle istituzioni e marginalizzazione della costituzione; partecipazione a una guerra che tutto il mondo ritiene folle con morti e costi altissimi anche per noi; spazio alle mafie e incoraggiamento all’evasione fiscale attraverso i condoni; volgarità di linguaggio e di comportamento pubblico; menzogne sistematiche attribuite agli altri. Tutto questo è stato quando l’uomo si presentava di centro: dopo la svolta a destra, aggiungo il timore per la presenza fascista dichiarata nel nuovo partito e di conseguenza nel futuro governo.
Di fronte a questo, inoppugnabile, la scelta di voto per me è sicura per la forza politica che, con un atteggiamento indiscutibilmente diverso, può avanzare qualche speranza, temo debolissima, di fronteggiare il mostro, dilagante con il sostegno degli italiani, più suggestionati che informati, più indotti al tifo calcistico che alla riflessione politica. Questo cerco di dire agli amici.
Mi piacerebbe continuare delineando il profilo del partito del mio cuore –secondo la nota espressione di Nando Fabro- che non è il PD di Veltroni, che già mi disturba chiamare così. Credo che occorra essere grati a Veltroni che si spende in una campagna coraggiosa, in cui afferma uno stile sicuramente apprezzabile, che cerca di incoraggiare, ma non amo i partiti personali, non amo i leader carismatici, neppure quando ne condivido le posizioni. Mi auguro comunque che Veltroni abbia successo non solo nelle elezioni, ma nel costruire un’Italia diversa, benché accanto a lui ci siano gli uomini che hanno governato in anni passati recenti o lontani, quindi con poca credibilità, tanto da lasciar temere che anche le dichiarazioni programmatiche resteranno non stracciate, ma disattese. Le difficoltà sono enormi, le strutture della politica sono feroci nel difendere i propri privilegi, le risorse sono limitate e le mediazioni ardue fino all’impossibilità, come ha dimostrato l’ottimo Prodi, che resta l’esperienza di governo più interessante e costruttiva da moltissimi anni. Mi auguro che fra i candidati scelti per il nuovo parlamento, operai o scienziati, precari o imprenditori, parlamentari di vecchia data o new entry della politica, ce ne siano con una storia personale di impegno per la riduzione delle spese della politica, per una giustizia efficiente, per un servizio pubblico di informazione non ossequiente.
Mi auguro davvero una volta o l’altra di riparlare, magari anche da qui, del partito del mio cuore: ma ora non c’è spazio per incertezze, non c’è spazio per astensioni o per voti di bandiera, come richiamano questi inquietanti versi di Giovanni Roboni, il poeta scomparso nel 2004, che scriveva così in tempi non elettorali:
si distrugge la giustizia, il decoro
della convivenza civile.
E intanto l’imprenditore del nulla,
il venditore di aria fritta,
forte coi miserabili
delle sue inindagabili ricchezze,
sorride a tutto schermo
negando ogni evidenza, promettendo
il già invano promesso e l’impossibile,
spacciando per paterno
il suo osceno frasario da piazzista.”
[…] a noi…è toccata, con il danno, la beffa,
una farsa in aggiunta alla sventura.
(Ultimi versi, Garzanti 2006)