NAPOLI FERROVIA, di Ermanno Rea

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Rea, ormai ottantenne, torna a Napoli dopo lunghi anni di assenza; anzi, dopo aver trascorso quasi tutta la vita lontano dalla sua città, nella quale ha vissuto solo dieci anni. Ma Rea sostiene che sono stati proprio i dieci anni in cui si è formata la sua personalità, che hanno creato le basi della sua cultura, in cui si sono tracciati i percorsi dei valori che lo avranno poi guidato nella vita. Tornare a Napoli per lui è rivisitare le proprie radici. E questa rivisitazione avviene in compagnia di uno strano individuo, Caracas.

Rea ce lo presenta fin dall’inizio come l’uomo che conosce alla perfezione Napoli e che a sua volta è conosciutissimo, ma chi sia Caracas emerge gradatamente nel corso del libro e delle visite alla Napoli vera, quella del quartiere Ferrovia, il quartiere degradato attorno alla stazione ferroviaria, che va da Piazza del Mercato fino alla Duchessa, quartiere popolato da disperati, stranieri, sopravvissuti ecc. o anche quella del quartiere Sanità, che parte da Via dei Vergini, la strada nella quale, ci informa Rea, sono avvenuti più delitti che in qualsiasi altro posto, per andare fino alla collina di Capodimonte.

Caracas è un naziskin, anzi lo è stato in passato. Non è un napoletano verace. È nato in Venezuela, da genitori napoletani emigrati dopo la guerra: da questo il suo soprannome. Ed è approdato a Napoli all’età di 15 anni. Ama il nazismo, e ha frequentato gruppi estremisti di estrema destra; ma non ama il fascismo. Il suo modo di essere nazista è tuttavia molto atipico: si trova sempre schierato dalla parte dei più deboli, e non esita a darsi da fare in loro aiuto. È passionale, impregnato di ideologia, odia il mondo dei privilegi e delle sopraffazioni (per questo odia l’America, ma anche gli Ebrei), sente solidarietà per i diseredati, ed è capace anche di grandi sacrifici. Insomma è una persona agli antipodi di Rea, persona di sinistra, che ha militato nel partito comunista, razionale, dedito alle analisi delle situazioni alla ricerca di possibili soluzioni, etc. Eppure i due sono molto amici. Si tratta di un’amicizia piena di contraddizioni, di scontri, a volte di liti, ma un’amicizia vera che aiuta Rea a scoprire il mondo delle sue radici, sepolto dagli interessi di una vita trascorsa lontano. Come le contraddizioni interne ad una persona possono essere uno strumento di arricchimento, così anche le contraddizioni in un’amicizia non solo non la impediscono, ma anzi l’arricchiscono, come avviene per il rapporto Rea-Caracas.

Nel corso del libro, nelle discussioni che rappresentano un po’ il crinale del racconto, si ha la sensazione non superficiale che in realtà Caracas sia l’alter ego di Rea, come se le contraddizioni di quella amicizia non fossero altro che le contraddizioni interne allo scrittore. D’altra parte questa sensazione la convalida lo stesso scrittore in un’intervista. Non che Caracas come persona (con altro nome ovviamente) non esista. Esiste, certamente, ma nella descrizione dei fatti, nello svilupparsi delle discussioni, nel corso delle peregrinazioni, la fantasia, ci dice ancora Rea, tende a prevalere sulla realtà di partenza. Caracas allora assume un ruolo che lo porta ad evocare sentimenti struggenti di amicizie andate perdute. Come ad esempio, quella di Luigi Incoronato, compagno di partito, scrittore, appassionatamente innamorato della sua città, e da essa profondamente deluso, ingenuamente generoso, autore di un libro, la Scala di San Potito, che Rea definisce “il libro forse più amaro e buio mai scritto su Napoli”, morto tragicamente suicida.

Anche Caracas vive una passione simile nell’amore per Napoli, nella generosità ingenua, ma a differenza di Luigi Incoronato egli cerca e trova una via d’uscita: la conversione all’Islam e forse il suo viaggio e trasferimento in un paese del NordAfrica.

Nel corso delle peregrinazioni notturne dei due amici, vengono rievocati ricordi, effettuati confronti, lamentati rimpianti su una città gravemente ferita nella sua stessa natura. Napoli, città commerciale, al centro del Mediterraneo, legata al mare come la essenziale via di comunicazione per i suoi commerci, alla fine della seconda guerra mondiale viene catturata dalla logica della guerra fredda; da centro commerciale, diventa strumento di una logica arida ed estranea alla sua natura: una base navale militare. Il fiorente commercio, il cui simbolo è piazza del Mercato, e del quale faceva parte anche la sua famiglia, si è via via spento, con fallimenti, incendi, emigrazioni. Il mare, il grande tesoro che teneva desta la vocazione mercantile, ha perso la sua funzione, inglobato nella logica militare. E per sottolineare come il mare abbia cessato di appartenere ai napoletani, fra la città e il mare sono sorti mostruosi palazzi, come autentiche cortine che addirittura ne hanno sottratto la vista agli abitanti. Questa è Napoli ora, e in questa città per l’io narrante, lo scrittore, non è più possibile vivere. Quello che avrebbe potuto essere un desiderio naturale, tornare sul luogo delle radici, non solo per rivisitarlo, ma per fermarvisi, non è più possibile, perché le radici si sono rivelate solo un ricordo, e non più la realtà. E Napoli Ferrovia è così diventato “il libro-congedo dedicato alla città,”

Un simbolo tragico ma fortemente rivelatore è il racconto, che occupa una parte importante del libro, dell’amore di Caracas per Rosa La Rosa, la sua donna, bellissima, piena di vita, innamorata ma, purtroppo per lei e per Caracas, dedita all’eroina in modo sempre più irreversibile. Questa assuefazione mina il rapporto di coppia, che Caracas cerca disperatamente, ma inutilmente, di salvare, spesso con sacrifici personali che l’amore e la sua inclinazione alla generosità lo inducono a compiere. Le rotture saranno diverse nel corso di una lunga storia durata anni, ma tutte in un modo o nell’altro ricuperate, fino all’ultima, la rottura definitiva, quando Rosa La Rosa, una mattina, dopo una festa andata a male, dopo un’ulteriore dose di eroina, gli appare in uno stato catatonico che gli sembra non più ricuperabile e lo induce ad andarsene per sempre.
Non si può, in questa tragica evoluzione dell’amore di Caracas per Rosa La Rosa, non identificare l’evoluzione dell’amore dei napoletani per la loro città, che, in preda a logiche non sue, come la guerra fredda, la speculazione edilizia, la camorra, l’inefficienza e spesso la corruzione della classe dirigente, perde le sue caratteristiche rotolando verso un decadimento irreversibile, nonostante l’amore e la generosità dei suoi abitanti che alla fine sono costretti ad andarsene.

Il libro è scritto in un linguaggio semplice, efficace, molto elegante e ben levigato. Le parole sono scelte con cura, i periodi hanno la scansione del racconto, con periodi principali e subordinati ben equilibrati, in modo da non richiedere mai al lettore sforzi interpretativi.
La struttura del libro è basata principalmente sulle peregrinazioni notturne dei due lungo le strade della città, sull’atmosfera di amicizia, sui dialoghi dai quali scaturiscono i ricordi, o i giudizi, o i contrasti, o le speranze. Il tutto è condotto con grande semplicità, con rispetto e, addirittura, sentimento di amicizia nei riguardi del lettore, che sembra quasi essere una terza persona che accompagna i due, e che con curiosità ascolta i loro discorsi, in modo quasi indiscreto.
In questo Rea può essere definito uno scrittore che sta al di sopra delle mode, e la cui unica preoccupazione è quella di tenere aperto col lettore un dialogo permanente.

Ascolta l’intervista a Ermanno Rea su Radio3 Fahrenheit

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