NON AVEVO CAPITO NIENTE, di Diego De Silva
Il libro è titolato Non avevo capito niente. Alla fine della lettura mi è sembrata l’unica battuta veramente ironica di tutto il libro. De Silva si confessa: non aveva capito niente; non aveva capito che cos’è un romanzo, perché lo si scrive, che cosa si vuole dire a chi lo legge, come lo si racconta, quale lingua si deve usare…
Ma De Silva è un maestro nelle battute. E tale è questo libro, che non racconta alcuna storia, che non è fatto di personaggi ma solo di marionette che l’io parlante, lo scrittore, fa vivere in forza di una interminabile sequela di battute, in una lingua pseudo-giovanil-moderna, ricca di figure retoriche fra le più usate e abusate.
Qual’è la storia, se esiste. Beh, a cercarlo un nucleo centrale c’è: questo avvocato Malinconico viene chiamato d’urgenza come avvocato d’ufficio per l’interrogatorio di un camorrista da parte di un P.M. Il camorrista apprezza la difesa e in un modo o nell’altro lo costringe a fargli da avvocato, anche se il nostro Malinconico non vorrebbe. La storia si basa soprattutto sulle pressioni che l’avvocato subisce fra minacce e lusinghe, e si conclude con un’apparente vittoria nel processo, che in realtà si dimostra poi essere una sconfitta e a una dimostrazione di ingenuità.
Ma questa storia è diluita da un’interminabile serie di digressioni e di altre microstorie dei diversi personaggi-marionette che popolano il romanzo: per esempio il figlio che vuole studiare il disagio adolescenziale e cerca di infiltrarsi fra i giovani di malaffare, riuscendo a guadagnarsi incredibili pestaggi; per esempio la storia dell’amore dell’avvocato per la sua ex-moglie, che continua a farsi scopare da lui, a dispetto del nuovo compagno, e la virata improvvisa di questo amore quando all’orizzonte si affaccia la solita bellissima, corteggiata da tutti, ma chissà perché disposta a concedersi al Malinconico (non si capisce perché questa bellissima donna sia attratta da questa persona, che sembra comportarsi come un bamboccione privo di consistenza); e poi digressioni più o meno moralistiche, su canzoni (alle canzoni, al loro contenuto anche di parole viene attribuito un potere di influenzare la vita e la cultura giovanile), sull’AIDS, sulla Camorra, sull’amore, sfoderando una filosofia spicciola tutto sommato abbastanza scontata.
Veramente mi sono chiesto che cosa mi ha voluto dire questo De Silva, la verità. Mi ha voluto far conoscere questo avvocato, che il risvolto di copertina definisce un grandioso irresistibile filosofo naturale? Perché? Che cosa dà al lettore il conoscere questo avvocato se non qualche sorriso all’inizio, ben presto soffocato dalla noia di un libro che va a vanti a battute per oltre 300 pagine? Forse, viene da dire, De Silva avrebbe fatto più bella figura a comparire in qualità di comico sul palcoscenico di Zelig, come ad esempio un Giacobazzi, o uno di quei comici che fanno ridere la gente con battute che sottolineano o rivelano le debolezze del genere umano, le sue contraddizioni, la sua incultura, la sua difficoltà ad avere rapporti positivi con gli altri se non addirittura con la vita stessa.
Mi dispiace leggere che molte persone sono rimaste affascinate da questa lettura; qualcuna ha addirittura scomodato Cesare Pavese, lo scrittore fatto prima di tutto di impegno, per giustificare De Silva, che giudicherei, almeno in questo romanzo, fatto soprattutto di disimpegno.
Penso che mi sia difficile attribuire al romanzo un giudizio anche minimamente positivo, visto che questa è stata la mia valutazione del libro di Buttafuoco L’ultima del diavolo che, se non altro, un discorso serio, forse anche impegnato, ha almeno tentato di farlo.
Il libro è entrato nella cinquina finalista del premio Strega 2008. Ma alla finale non ha raccolto che 22 voti. Mi sembra giusto.
13 agosto 2008 alle 13:28
Questa pseudo-recensione muove a sincera pena, non tanto per il contenuto (a chi volete che interessi, se un totale sconosciuto esprime le sue onioni – rigorosamente non richieste – in rete), ma per il tono borioso e saccente che trasuda fin dalle prime righe.
Bisognerebbe che questi presuntuosetti sen’arte nè parte, nè nome nè congome, si rendessero conto di non essere minimamente all’altezza degli atteggiamenti che assumono, e cominciassero, magari, a fare qualcosa nella vita, invece di fare le pulci agli altri.
13 agosto 2008 alle 15:40
Grazie per il commento
Rudy
14 maggio 2009 alle 01:57
Un commento, quello di GE, ad altissimo tasso di acidità. Quell’accenno stizzito alle “opinioni rigorosamente non richieste” dice tutto.