CRISTO SI È FERMATO A EBOLI, di Carlo Levi

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«– Noi non siamo cristiani, – essi dicono – Cristo si è fermato a Eboli –. Cristiano vuol dire nel loro linguaggio, uomo; […]. Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in queste terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.»

Che cosa può spiegare meglio il senso di questo libro delle parole che troviamo nel primo capitolo? Non si tratta di un romanzo, ma del racconto, della descrizione di un anno di confino (impostogli dal regime fascista) di Carlo Levi nel 1936 in uno sperduto paese della Basilicata in provincia di Matera: Gagliano.
L’interesse, e l’attualità direi, del libro è la descrizione che Levi fa dell’incontro-scontro di due mondi: quello della piccola borghesia, intrallazzatrice, disposta a essere servitrice del potere (quale che sia: in questo caso il fascismo) per difendere, rafforzare, migliorare, espandere, prolungare i propri meschini interessi: che poi è il mondo che appartiene alla (o che fa la) storia; e quello eterno, eternamente rassegnato, dei contadini, e in particolare dei contadini del meridione; il mondo senza tempo, senza storia, senza aspirazioni, sempre perdente anche quando si ribella, come ogni tanto avviene, ed è avvenuto anche non molto tempo prima col cosiddetto brigantaggio.

Carlo Levi è testimone di tutto ciò, lo registra nella sua mente, vi riflette sopra, mentre descrive gli infiniti episodi che hanno costellato la sua permanenza al confino.
Già nella descrizione dell’arrivo al paese di Gagliano si avverte l’atmosfera di degrado, di lontananza, di solitudine che domina: una strada in mezzo a monti desolati, che segue i saliscendi del terreno, sul cui fianco si allineano case povere, elementari, costeggiata da burroni e frane, una delle quali si è inghiottita la chiesa, un’altra ha dato luogo ad un burrone chiamato la Fossa del Bersagliere, lugubre luogo di feroci assassinî. Da molte di quelle case i contadini si alzano quando ancora il sole non è sorto e si avviano nei campi a lavorare, per tornare alla sera, stanchi e poveri come sempre, per iniziare il giorno successivo un’altra identica giornata.

Impariamo a conoscere anche i personaggi che popolano il paese, quelli della piccola borghesia prima di tutto: il podestà, Don Luigi Magalone, giovane fascista che “ci crede” e crede soprattutto nella propria autorità, e che ha il compito della sorveglianza dei confinati, compito che esegue con un miscuglio di paternalismo e di rigore; i due medici, il dott. Milillo e il dott Ghibisco, diffidenti e gelosi del proprio lavoro, ma sostanzialmente ignoranti del minimo indispensabile; la sorella del podestà, donna Caterina, la cui autorità nessuno, nemmeno il fratello mette in discussione, e che dietro un espressione sorridente cova un odio implacabile per i suoi nemici; il parroco (ma forse abusivo) don Trajetta, accusato di essere sempre ubriaco e disprezzato dalla popolazione e soprattutto da don Luigi. E apprendiamo che, anche in luoghi piccoli e sperduti come questi, si creano i partiti, inimicizie, piccole guerre, odî reciproci. Per esempio da una parte vediamo schierati Don Luigi, la sorella, e vari alleati; dall’altra il dott. Ghibisco e le figlie del farmacista.

Carlo Levi è un medico e un pittore. Non vorrebbe esercitare la professione per non far torto ai due colleghi. Ma già fin dai primi giorni i contadini, col loro fiuto, capiscono la persona e in modo sempre crescente fanno ressa per affidarsi alle sue cure. Di farsi curare dei due “mediciucci”, come li chiamano, non vogliono proprio saperne. Nasce così una simpatia reciproca fra il mondo contadino e lo scrittore, che permetterà a quest’ultimo di capire sempre più a fondo i problemi di un meridione che lo stato sabaudo, centralizzato, burocratico non riesce a capire e tanto meno a risolvere. Basterebbe, per illustrare gli scriteriati interventi governativi, l’imposizione di una tassa sulle capre. La tassa rende troppo oneroso l’allevamento di questi animali, che sono una delle poche fonti di sostentamento dei contadini, che viene così a mancare.

Nell’anno in cui Levi viene mandato al confino, inizia la guerra d’Africa. Tutte le energie delle autorità fasciste (a Gagliano, il podestà Don Luigi) sono mobilitate per arruolare volontari. Ma il risultato è scarso. Le favolose terre che la guerra all’Abissinia si proporrebbe di conquistare a favore dei contadini, agli occhi degli interessati sono una bufala. La loro vita è qui, nelle misere terre che offre Gagliano, e l’unica possibilità di riscossa, se tale si può chiamare, è l’emigrazione verso l’America.
L’emigrazione allontana ancora di più i contadini da una fatiscente Patria, l’Italia, che li ignora e li ricorda solo per poterli sfruttare. Nelle case dei contadini non ci sono fotografie del Re o di Mussolini, ma di Roosvelt e della Madonna Nera di Viggiano. Tutto nella vita dei contadini ha un rapporto con l’emigrazione, anche la povertà.
L’unico volontario per la guerra d’Abissinia di Gagliano è il marito di Donna Concetta, il segretario locale del fascio, che parte per risolvere alcuni pasticci da lui commessi, e fa in modo che donna Caterina assuma il carisma di moglie di eroe.

Fra i tanti personaggi, vale la pena di ricordare il becchino, l’uomo che scava le tombe al cimitero. È un anziano, con tanti ricordi: addirittura pare che abbia conosciuto di persona uno dei briganti più famosi, Nico Nenco, colui che uccise il brigadiere piemontese precipitandolo nel burrone che poi prese il suo nome. Ma è anche uno stregone, capace di addomesticare i lupi, e addirittura di incontrare il diavolo.
Gli episodi apparentemente soprannaturali, nella povertà di paesi come questo, sono molto frequenti e gestiti da donne capaci di evocare stregonerie e che utilizzano parole magiche come Abracadabra e simboli magici, mentre dall’altra parte non è infrequente imbatterci in miracoli della Madonna, soprattutto della Madonna Nera di Viggiano, come il bambino scomparso e ritrovato a distanza di diversi giorni, sano e salvo.
Ci sono leggende su tesori nascosti, interrati da briganti, che se trovati realizzerebbero tanti sogni. Per trovare questi tesori, occorre vincere la ritrosia dei “monachicchi”, gli spiriti dei bambini morti senza il battesimo, che amano fare dispetti ai vivi, e che, se costretti (ma è praticamente impossibile farlo) potrebbero guidare dove i tesori sono sotterrati.

Il problema del sesso è svincolato da tutti i tabù dei quali la società cosiddetta civile lo ammanta. Il sesso è una forza irresistibile della natura, per cui se un uomo e una donna si appartano è inevitabile che arrivino ad accoppiarsi. È per questo che una donna non dovrebbe mai trovarsi a tu per tu con un uomo senza un accompagnamento.
Lo stesso Levi sperimenta questa usanza in più di un’occasione, come la difficoltà di trovare una donna che lo aiuti nelle faccende domestiche; oppure il senso di vergogna di una donna da lui curata e guarita, quando ella ha ritenuto necessario andare a trovarlo per ringraziamento.
Ciò tuttavia non impedisce di accogliere come parte della normale comunità le ragazze madri, i figli cosiddetti illegittimi. Anzi, data la forte emigrazione degli uomini verso l’America, le mogli, rimaste sole, e spesso destinate a restare per sempre sole, non hanno scrupoli ad accoppiarsi con altri uomini dando alla luce figli spesso in grande numero. In questo modo, il paese finisce di appartenere alle donne, che ne scandiscono il ritmo quotidiano della vita.

Gli episodi che rendono il libro così vivo e affascinante sono tantissimi ed è pressoché impossibile rammentarli tutti. Basti ricordare il racconto che la sorella, venuta a trovarlo, gli fa di Matera e dei due quartieri prospicienti il torrente Gravina, chiamati Sassi. Il Sasso Caveoso e il Sasso Barisano, costituiti da case scavate nella roccia, dove in un’unica stanza vive un’intera famiglia di contadini, animali compresi; dove l’acqua utilizzata è quella piovana che viene raccolta in apposite cisterne; dove i servizi igienici sono rappresentati da un contenitore nelle quali vengono raccolte le feci e le urine, per essere poi rovesciate all’esterno al mattino successivo; dove malaria, umidità, e totale mancanza di igiene provocano vere e proprie ecatombe, con una mortalità infantile superiore all’80%. Oggi i Sassi di Matera sono diventati un’attrazione turistica; ma lo stesso Carlo, davanti al racconto della sorelle inorridisce e si rende conto che realtà come quella appena ascoltata superano di gran lunga quella che già si era manifestata come una vita difficile nel paesino di Gagliano.

Un’altra realtà terribile, nel paese di Gagliano come un po’ in tutta la Basilicata, è la malaria, la malattia che colpisce quasi tutta la popolazione, indebolendola al massimo, e quindi contribuendo anch’essa al perpetuarsi della povertà. La malaria non è invincibile: possono esistere tecniche di prevenzione, che tuttavia lo stato non si perita di adottare. Sull’onda anche di suggerimenti di altri colleghi, Levi invia alla prefettura di Matera un piano per attuare una politica di prevenzione. Il risultato di questo suo intervento è stato drammaticamente l’opposto di quanto ci si aspettava: lo stato burocratico-centralizzato ha colpito ancora, vietando a Levi l’esercizio della professione, pena la galera. Così, questo inopinato provvedimento getta nello sgomento i poveri contadini che avevano fiducia nelle sue arti; in tal modo, se possibile, si sentono ancora di più abbandonati da uno Stato che li cerca solo per estorcere tasse.

Il vero scontro, conclude alla fine Levi, non è tanto fra fascismo e antifascismo, come non lo è fra comunismo e anticomunismo o fra due ismi in conflitto: ma fra l’imperio di uno stato burocratico, centralizzato che vuole tutto uniformare, imponendo soluzioni che non hanno nulla a che vedere con la vita quotidiana del contadino, e la ricca umanità che il mondo contadino, nel suo eterno soffrire, esprime e cerca, vanamente di difendere.

Un periodo nell’ultimo capitolo, quello dedicato da Levi a riflessioni di carattere politico, mi ha colpito, anche per la sua attualità:
«Non possiamo oggi prevedere (siamo nel 1944) quali forme politiche si preparino per il futuro: ma in un paese di piccola borghesia come l’Italia, e nel quale le ideologie piccolo borghesi sono andate contagiando anche le classi popolari cittadine, purtroppo è probabile che le nuove istituzioni che seguiranno al fascismo, per una evoluzione lenta o per opera di violenza, e anche le più estreme e apparentemente rivoluzionarie fra esse, saranno riportate a riaffermare, in modi diversi, quelle ideologie; ricreeranno uno stato altrettanto e forse più lontano dalla vita, idolatrico e astratto, perpetueranno e peggioreranno, sotto nuovi nomi e nuove bandiere, l’eterno fascismo italiano.»
Come non si può non sottoscrivere queste affermazioni, guardando sgomenti il trionfo elettorale di Berlusconi nel 2008, l’espressione più retriva di una piccola borghesia che la mentalità fascista la porta nel sangue e nelle ossa, e che si vede incarnata nel “ghe pensi mi” dell’aspirante futuro piccolo duce?

4 Commenti a “CRISTO SI È FERMATO A EBOLI, di Carlo Levi”

  1. sabrina scrive:

    Questo meraviglioso romanzo… ogni volta che sono andata o ho pensato alla Basilicata, mi è venuto in mente.
    Il quadro grottesco della realtà descritta e lo stile diretto e fulminante lo rendono indelebile; anche se piano piano si dimenticano i singoli episodi, rimane sempre l’impressione che la lettura di queste pagine ha segnato in noi.

  2. Rudy scrive:

    Grazie del commento. Concordo pienamente con quello che scrivi.

  3. rocco scrive:

    Ma Don Luigi Magalone, don Giuseppe Trajella sono personaggi veri o inventati?

  4. Natasja Hovén scrive:

    Penso veri ma naturamente eseggerati, come fanno tutto gli artisti e scrittori.. Anche per me un libro bellissimo.

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