NON È UN PAESE PER VECCHI, di Cormac McCarthy
Non si può non rimanere affascinati dalla scrittura di McCarthy: una scrittura asciutta, essenziale, capace di tenere desta l’attenzione, di farci sentire attratti dalla vicenda e incuriositi dai suoi sviluppi.
La trama del romanzo è concreta, solida: nello sfondo di una vicenda di droga, soldi, guerra per bande, omicidi di ogni tipo, personaggi che sembrano approfittarne, sceriffi che indagano, viene alla ribalta un assassino psicopatico, così almeno viene definito Chigurh; un assassino che uccide secondo una logica distorta, quasi una filosofia, usando una strana arma ad aria compressa collegata ad una bombola che egli porta sempre con sé. È un’arma micidiale, che ne fa riconoscere le tracce: ma nessuno lo ha mai visto in modo da denunciarlo alla legge: perché, ci dice McCarthy, chi lo ha visto non ha avuto la possibilità di descriverlo.
Il linguaggio ha una struttura molto espressiva e coerente con la concretezza della trama: i dialoghi fra i personaggi, stringati, veloci, non sono segnalati da interpunzione, e sono inseriti nel testo raccontato quasi senza soluzione di continuità.
Un altro aspetto delle struttura del romanzo è un montaggio di tipo cinematografico: gli episodi che coinvolgono i diversi attori si succedono in modo che gli eventi tendono a confluire, o ancora a separarsi fino alla conclusione. Che questa struttura abbia favorito la trasposizione cinematografica, lo hanno ben capito i fratelli Coen, che su questo romanzo hanno diretto uno dei loro maggiori capolavori.
Un avvertenza tuttavia mi sembra legittimo fare a chi intenda leggere questo romanzo: leggete il libro prima di guardare il film. Leggere il libro dopo la visione del film, conoscendo quindi lo sviluppo della trama, rischia di togliere alla lettura quel senso di ardente aspettativa che invece è essenziale per gustare appieno il libro.
A me sembra, tuttavia, che al di là della trama avvincente, si possa intravedere la declinazione di una metafora e di un giudizio su una società che marcia rapidamente verso un degrado irreversibile. Non è un paese per vecchi, non tanto perché i vecchi non possano competere con l’aggressività che impregna quella terra, ma perché i vecchi hanno conosciuto valori che oggi non esistono più.
L’emblema di questa persone è lo sceriffo Bell, ormai avanti negli anni, protagonista di una vita trascorsa e impiegata per difendere la gente della propria contea, quella che lo paga. «Quattro anni dopo ero lo sceriffo di questa contea. E non ho mai avuto dubbi su quello che dovevo fare nella vita. Al giorno d’oggi se ti metti a fare discorsi su cos’è giusto e cos’è sbagliato la gente spesso e volentieri si mette a ridere. Ma io su certe cose non ho mai avuto tanti dubbi. Nelle mie idee su certe cose. E spero di non averne mai.»
Ora si trova a dover affrontare omicidi di ogni tipo, ma soprattutto a capire il senso di un assassino che dovunque passa lascia una scia sanguinosa che si sovrappone alla cruenta lotta degli spacciatori di droga. Un senso, per Bell, è impossibile trovarlo: nelle riflessioni che McCarthy fa fare a Bell e che vengono interpolate ogni tanto alla narrazione della vicenda, questa inadeguatezza affiora.
Le certezze restano, ma sono costrette a fare i conti con una realtà che muta rapidamente, che diventa sempre peggiore, e che fa in modo che queste certezze diventino anacronistiche. I problemi più gravi che venivano fuori nelle scuole – riflette Bell – erano «che gli alunni parlavano in classe e correvano nei corridoi. O masticavano la gomma. O copiavano i compiti. Roba così.» Lo stesso sondaggio fatto dopo quarant’anni nelle stesse scuole dava risultati ben diversi. «Beh, ecco le risposte. Stupri, incendi, assassini. Droga. Suicidi. E io ci penso a queste cose…»
Bell non troverà altra soluzione che quella di dare le dimissioni.
L’altro lato della metafora è Chiburh, l’assassino che agisce secondo una logica che il senso comune non riesce a comprendere: è l’incarnazione del male. Per quanto i vari protagonisti del romanzo cerchino di sopraffarlo, non otterranno nulla: anzi sarà proprio il male (quello che essi fanno? o quello che subiscono?) a sopraffarli. Saranno tutti destinati alla morte, buoni e cattivi, onesti e ladri, assassini ed eroi. Tutti quelli insomma che si riconoscono nella logica della violenza.
Alla fine del romanzo solo due persone si salveranno: Bell, perché con le sue dimissioni rifiuterà di accettare la logica restando vincolato ai valori dei suoi anni giovanili, ma la sua sopravvivenza gli costerà l’uscita di scena; e Chiburh perché di questa logica perversa, incomprensibile, ma inesorabile è l’espressione estrema.
Ascolta l’intervista a Tommaso Pincio sul libro di MaCarthy su Radio3 Fahrenheit