IL VERBALE, di Jean-Marie Le Clézio
Confesso che quando ho cominciato a leggere questo libro mi sono trovato un po’ in difficoltà. Il protagonista, Adam Pollo, viene descritto su una sdraio davanti a una finestra a prendere il sole in una villa in una cittadina balneare della Costa Azzurra, temporaneamente abbandonata dai proprietari, nella quale si era abusivamente insediato. Si capisce fin dalle prime pagine che Adam è un personaggio un po’ fuori dal comune. Scrive i suoi pensieri in un quaderno come se fossero lettere a una certa Michèle. Non ha amici, ama la solitudine, si concentra sulla natura, rifiuta il consumismo edonistico, osserva con attrazione il sole, il cielo, ne immagina l’azione sulla terra come beneficamente distruttiva. I suoi pensieri si trovano in bilico fra l’essere e il non essere.
Il romanzo racconta la storia di Adam nel corso di alcune giornate alla fine dell’estate. Lo scrittore racconta le escursioni del protagonista sulla spiaggia, i suoi rapporti con Michèle (la sua donna?) e le sue passeggiate con la ragazza, il suo inseguire un cane per le vie della città, il suo ingresso in negozi e fingere acquisti di cose inesistenti, il suo aggirarsi per lo zoo a guardare gli animali in gabbia, il suo finale comizio davanti a un gruppo di persone in ascolto, il suo arresto e la sua reclusione in un manicomio, e il suo interrogatorio da parte di un gruppo di studenti di psichiatria guidati dal loro professore.
La scrittura di Le Clézio è fortemente descrittiva, le immagini tendono a formarsi negli occhi di chi legge, ma ciò che ne deriva è distorto. È la stessa scrittura a renderlo tale. Adam è un personaggio che forse esiste, o forse no. E se esiste, i suoi pensieri, i suoi sguardi, le sue azioni, insomma ciò che lo riguarda sembra più sospeso nell’immaginazione che concretamene svolgentesi nella realtà. Per esempio, i suoi rapporti con Michèle. Michèle è una ragazza reale? Ad un certo punto lui la violenta. O così dice. Ma è vero, visto che Michèle non solo non si ribella, ma diventa la sua ragazza con la quale va lungo la spiaggia, con lei si sdraia sui ciottoli, fa l’amore, etc? Ma poi egli se ne va e la ragazza sparisce, per comparire più avanti in compagnia di un americano che prende a botte il nostro povero Adam che ne pretenderebbe il possesso. Tutto il racconto è intriso di un forte onirismo; il linguaggio è oscillante fra la descrizione realistica e la descrizione fantastica. Gli stessi pensieri di Adam, sono a questo proposito esemplari, quando egli immagina di se stesso il contrario di quella che dovrebbe essere l’evoluzione dell’uomo: da uomo a scimmia, a invertebrato a protozoo, e addirittura immagina una involuzione ulteriore.
La parte finale del libro sembrerebbe spiegare e risolvere tutto ciò che è accaduto in precedenza, con la pazzia, la pazzia clinica, del protagonista. Adam, richiuso in manicomio, è felice. La piccola cella con la finestra protetta da un’inferriata lo protegge, lo isola dal modo. L’inferriata diventa a sua volta una fonte di riflessione. Il colloquio con l’infermiera che lo invita a fare il bravo e ad obbedire è per lui rassicurante. L’interrogatorio davanti agli studenti lo stimola ad esprimere i suoi pensieri ricorrendo alla metafisica e a un discorso sull’essere: “Si è ciò che si è – sì, è così. Essere di essere.”
La difficoltà che ho trovato all’inizio, visto il linguaggio, si è via via dissolta, lasciando il posto ad un interesse sempre maggiore: non tanto per i fatti, di per sé abbastanza banali, e comunque privi di una vera trama, ma proprio per quel misto di onirismo e realtà, forse si potrebbe dire di realtà onirica, che si configura davanti ai nostri occhi di lettori.
Direi che il linguaggio risente molto dell’epoca in cui il libro è stato scritto: 1963. Allora quel tipo di linguaggio usato poteva essere definito “avanguardia”; e non sempre il linguaggio cosiddetto d’avanguardia invitava alla lettura. Ma qui quello che colpisce è l’eleganza delle espressioni, la loro morbidezza, il ritmo dolce e privo di asperità. Francamente, mano a mano che andavo avanti nella lettura, ne ero sempre più attratto. Scrittura e personaggio di Adam sembrano sovrapporsi, identificarsi, e premere con dolcezza all’immaginazione.
Alla fine della lettura ho capito che questo libro necessita di una rilettura per non lasciare in sospeso tutte le implicazioni che la fantasia richiede. E ho anche capito che l’attribuzione del premio Nobel a Le Clézio, senza per questo ricorrere a confronti con altri scrittori altrettanto meritevoli, ha un senso ben preciso.