LE DUE VITE DI LAILA, di Jean-Marie Le Clézio
Laila viene rapita ancora bambina e sottratta alla famiglia, in una tribù del Marocco meridionale. Viene venduta a una donna di una certa età, Lalla Asma, che vive in una città del Marocco; mi pare di avere capito, a Rabat.
Le Clézio segue, anzi fa narrare dalla fanciulla stessa, le vicende che si succedono dal rapimento fino alla fine dell’adolescenza e l’ingresso nella vita adulta. Si tratta di vicende esemplari che ci mettono davanti agli aspetti più terribili della vita di un senza famiglia, ma anche alle contraddizioni e alle distorsioni della società: sia essa araba, in Marocco, come avviene nella prima parte, sia essa europea o americana come avviene successivamente.
Lalla Asma è una attempata e malata signora ebrea che compra la fanciulla più per avere una nuova figlia e quindi un affetto che per procurarsi una serva. Laila sente questo affetto che in parte contribuisce ad attenuare il terribile ricordo della violenza del rapimento, e lo ricambia. Lalla Asma, col passar del tempo, si ammala e muore, e di Laila si impossessano suo figlio, che la vorrebbe violentare, e la moglie. Dai due ella viene ridotta al rango di serva e sfruttata al massimo, finché, fattasi coraggio, un bel giorno riesce a fuggire. Inizia così una vita turbolenta, fatta di fughe, di affetti trovati e perduti, di pericoli corsi ed evitati, di lavoro, di promesse non mantenute, di prospettive forse luminose e di baratri che si aprono all’improvviso, e a un certo momento anche di amori.
La prima tappa è un bordello gestito da un’ostetrica specializzata in aborti clandestini. Laila si trova in mezzo a un gruppo di prostitute che la prendono in simpatia. Da loro impara molte cose, e si fa delle vere e proprie amiche. Una di queste è Houryja, giovane donna incinta in fuga da un marito ricco, ma violento che non perde occasione per picchiarla o addirittura torturarla. In questa fase Le Clézio ci offre la vita di un bordello arabo visto con gli occhi di una ragazzina. La descrizione è molto umana, le prostitute viste come “principesse” per la loro “eleganza”, il calore dei loro corpi trasmesso nelle notti in cui Laila si raggomitola nei loro letti. Comincia qui quella che sarà un po’ la costante della poetica di Le Clézio: la testimonianza della vita dei miseri, della gente che non c’è, dei perseguitati.
La vita nel bordello è affascinante, ma anche dura e pericolosa. La polizia fa irruzioni, le ragazze si disperdono, e Laila con la sua amica Houryja prima fuggono in uno squallido villaggio, poi per le difficoltà di trovare di che vivere, fuggono in Europa.
La meta è Parigi. Inizia la vita di clandestina. Laila è nera, quindi sospetta. Cerca dove alloggiare, assieme all’amica. Tutto è complicato. Le camere in subaffitto costano molto, si è circondati da altri clandestini, e non sempre fra i clandestini si manifesta la solidarietà. Camminando per le vie di Parigi bisogna imparare a guardarsi dagli sbirri, ma anche dai delinquenti, francesi o immigrati, non importa, che appena possono cercano di violentarla. Per sopravvivere impara a rubare, e così e costretta a guardarsi due volte dagli sbirri. Per evitare la cattura fugge dalla prima abitazione e si rifugia in un sotterraneo. Le Clézio, sempre per bocca di Laila, ci fa vivere fra i clandestini, quelli che vivono “sottoterra” di giorno e invadono le strade di notte. E come spesso accade, soprattutto alle belle fanciulle, vi sono famiglie normali o anche benestanti che li accolgono per servirsene: qualcuno mostra un affetto reale, qualcun altro nasconde pensieri o ricorre ad azioni malvage.
Laila impara tutto, fa tesoro dell’esperienza, studia, si lega prima a un aspirante pugile, Nono, poi a un giovane studioso, Hakim, che le insegna ad apprezzare Fanon, il filosofo della rivalsa dei neri. Conosce il nonno di Hakim, un vecchio che ha ancora nostalgia dell’Africa e che con lei intraprende un intenso rapporto di affetto. Quando il vecchio muore, le lascerà un passaporto con una identità fasulla, che le consentirà di evitare le difficoltà della clandestinità. Si fa nuove amiche, conosce situazioni familiari disastrose. Giunge persino alle soglie del diploma di media superiore. Subisce un pesantissimo tentativo di stupro, al seguito del quale ella stessa afferma di essere diventata adulta.
Alla fine, su invito di una cantante americana che l’aveva presa in simpatia, riesce ad andare in America, dove si scopre a sua volta doti di cantante e pianista e viene ingaggiata in un night club. Riesce persino ad avere la carta verde, e una identità. L’avventura americana è, come quella parigina, costellata di pericoli, violenze, riscatti, senso di libertà. Il romanzo si conclude con Laila in una stanza di un manicomio, dove uno psichiatra la interroga, ne capisce la sostanziale umanità e l’aiuta a ritrovare la responsabilità di se stessa, per affrontare nuovamente la vita.
Il romanzo è scritto in una lingua piana, semplice, con descrizioni, anche dei fatti più violenti, che non trascendono mai nella retorica o nel desiderio di far inorridire.
Vedi la lezione al Nobel di Le Clézio (dicembre 2008)