L’AFRICANO, di Jean-Marie Le Clézio
Le Clézio cerca di ricostruire la vita del padre, che lo scrittore non ha potuto conoscere prima del 1948, quando aveva otto anni, e che con lui ha vissuto, senza amarlo, prima in Nigeria, poi in Francia solo per pochi anni.
Anche se non lunga, la convivenza dello scrittore con il padre era stata difficile. Fino al momento di incontrarlo in Africa il bambino a Nizza aveva goduto di una libertà praticamente sfrenata. Né la mamma e tantomeno la nonna avevano l’intenzione o anche solo la possibilità di porre limiti. L’incontro col padre è stato traumatico: prima di tutto l’estraneità della persona, mai vista prima di quel momento; poi il comportamento del padre, rigido, rispondente alla logica militare, che imponeva divieti di ogni genere, e non di rado ricorreva anche a punizioni fisiche. La permanenza in Africa, in Nigeria è durata fino al 1950, quando il padre è andato in pensione e ha fatto ritorno in Francia.
Nella maturità, parecchio tempo dopo la morte del padre, Le Clézio ha sentito il bisogno di approfondire una figura che, se non ha amato, tuttavia non ha potuto non riconoscerne l’abnegazione e la sofferenza di una vita passata in ambienti difficili e spesso ostili con lo scopo di curare la gente dimenticata dalle numerose malattie associate all’ambiente tropicale.
Raoul Le Clézio, nasce nell’Isola Mauritius nel 1896. In quel tempo l’isola è ancora sotto sovranità francese. Nel 1910 essa passa sotto sovranità Britannica, divenendo parte dell’Impero. Nel 1919, per una ragione non conosciuta, forse dolorosa, la famiglia deve abbandonare l’isola e recarsi in Inghilterra, a Londra, dove Roul studia medicina. Al termine degli studi, si rifiuta di farsi assumere in un ospedale dove il primario si era mostrato arrogante, e si fa assegnare al ministero delle Colonie. Come ufficiale medico viene inviato nel 1926 in Guyana dove rimane 2 anni. Successivamente, nel 1928, viene inviato nel Camerun inglese, a Bamenda e poi, nel 1932, a Banso, oggi Kumbo, sempre nel Camerun britannico.
Durante la permanenza a Bamenda, Raoul si sposa con una cugina la cui famiglia vive in Francia, e dalla quale ha due figli, uno dei quali è appunto lo scrittore.
La vita nel Camerun, pur nell’intensità del lavoro e nella necessità di tutelare la salute di indigeni che abitano una vasta zona, è tutto sommato piacevole. Il Camerun è una terra bella, gli abitanti sono pacifici, i rapporti sono di riconoscenza e anche di amicizia.
Nel 1938 la moglie per partorire torna in Francia presso la sua famiglia. Raoul ottiene un breve permesso nel 1939 per vedere la nascita del primo figlio, poi torna in Africa e viene destinato ad un’area della Nigeria, Ogoja.
Qui le condizioni di vita cambiano bruscamente. Nel 1939 inizia la seconda guerra mondiale. La moglie e i figli rimangono a Nizza e vivono nel terrore della deportazione da parte dei nazisti che hanno invaso la Francia. La vita di Raoul in Nigeria è durissima. Egli soffre di solitudine. La popolazione nigeriana, a differenza di quella del Camerun è bellicosa, di difficile approccio; l’ospedale è isolato, mancano comunicazioni che lo tranquillizzino sulla sorte della famiglia. Un tentativo di correre in Francia attraversando il deserto fallisce.
Alla fine della guerra, nel 1948, la moglie e i figli lo raggiungono a Ogoja, e qui inizia la difficile convivenza del figlio con il padre.
Le Clézio torna nei luoghi che hanno visto il padre impegnarsi in un’opera altamente umanitaria. Ora egli comprende il rigore e la riservatezza che ha sempre dominato la sua vita. Capisce anche da una parte la bellezza dei luoghi percorsi dal padre: non certo l’Africa dei colonialisti, delle loro città moderne sulla costa, dei luoghi di ritrovo, della vita facile e dispendiosa; ma l’Africa dell’interno, delle grandi pianure coperte dal brousse, delle montagne percorse da impervi sentieri, degli indigeni organizzati nei loro villaggi, pastori e agricoltori indaffarati.
Quella che si sente nel libro non è nostalgia, ma apprendimento. Le Clézio cerca di capire e di entrare in un mondo nel quale da bambino ha vissuto qualche anno, nella libertà offerta da spazi che si offrivano infiniti. In questo mondo il padre ha costruito e speso la sua vita assieme e per un’umanità e una civiltà lontana dalla nostra.
Leggi la prolusione al Premio Nobel di Jean-Marie Le Clézio (dicembre, 2008)