L’ARMATA PERDUTA, di Valerio Massimo Manfredi

 

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Il libro non è altro che una parafrasi, un po’ romanzata, dell’Anabasi di Senofonte. Si tratta quindi del racconto delle avventure-disavventure dell’esercito di mercenari greci, detto dei Diecimila (in realtà quasi tredicimila), arruolati in appoggio a Ciro e alla sua impresa in terra di Persia per rovesciare il fratello Artaserse II dal trono e prenderne il posto.

L’avventura, nel libro di Manfredi, è raccontata da una fanciulla, Abira, originaria dei cosiddetti “Villaggi della Cintura” ai confini fra Siria e Turchia, e fuggita con Senofonte (o Xeno, nel libro) di cui è diventata l’amante, al passaggio dell’armata per quei luoghi. Alla conclusione della spedizione, Abira torna al suo villaggio, e viene lapidata come grave peccatrice. Ma, miracolosamente salvata da morte, racconta le vicende dalla sua lunga avventura.

L’armata, partita da Sardi, in Lidia, regione della quale Ciro era Satrapo, nel 401 a.C. è composta all’incirca da 100.000 uomini, compresi i mercenari greci. Manfredi sostiene che i Greci, pur non essendo numerosissimi, erano un punto di grandissima forza, data la loro esperienza in imprese belliche. La loro tattica militare si basava su un nutrito stuolo di fanteria pesante (gli opliti) capace di avanzare irresistibilmente contro il nemico in formazione di falange, e un contorno di fanteria leggera (i peltasti) capaci di correre e inseguire all’occorrenza il nemico. Il comandante dei greci era Clearco, coadiuvato da ufficiali a diversi livelli di gerarchia.

L’armata, racconta Abira, si dirige verso la Siria, oltrepassa passi montani angusti, ma non incontra una vera e propria resistenza. Giunti in vista del fiume Eufrate, i Greci, che erano stati arruolati come mercenari a piccoli gruppi con motivazioni diverse, vengono avvertiti del vero scopo della spedizione militare, ciò che crea malcontento fra i ranghi. Ciro, che dispone di grandi ricchezze, li alletta e così l’armata prosegue lungo la riva sinistra del fiume. Nel pressi di Babilonia, a Cunassa, avviene lo scontro decisivo. L’esercito di Artaserse è enorme, diverse volte superiore all’esercito di Ciro. Ciononostante i Greci, all’ala destra dello schieramento, hanno ragione dell’ala sinistra del nemico, e la sbaragliano. Ma al centro le cose vanno diversamente. Ciro tenta di sorprendere il fratello. Fa un’incursione direttamente contro di lui, ma viene ucciso. Con questo, la battaglia è da considerarsi finita con la vittoria di Artaserse.

I Greci, in queste condizioni, dopo avere sbaragliato l’ala sinistra persiana, sono ancora intatti come forza militare, ma non hanno più un punto di riferimento. Artaserse chiede loro di deporre le armi. Se lo faranno forse avranno il perdono. Clearco, con l’appoggio unanime dei soldati, rifiuta. I Diecimila torneranno in patria, se necessario combattendo. La strada scelta per il ritorno non sarà la stessa dell’andata, considerata troppo difficile da percorrere, ma si costeggerà il Tigri.

I Diecimila cominciano la strada del ritorno combattendo: a volte contro l’esercito persiano condotto da Tissaferne, che cercherà in più modi di ostacolarne la marcia; a volte contro popolazioni che di volta in volta incontreranno sul cammino

Prima di giungere alle montagne dell’Armenia, con la scusa di concludere un accordo per favorire il rientro in patria dei Diecimila, Tissaferne invita Clearco e i suoi ufficiali a un incontro. Ma si tratta di una trappola: essi verranno arrestati e giustiziati. L’armata greca resta senza comandanti.

A questo punto due personalità prendono il sopravvento: Chirisofo e lo stesso Senofonte.

Senofonte sappiamo chi è. Non aveva alcun incarico ufficiale. Era nell’armata solo come cronista, per trascrivere gli eventi quotidiani (quello che poi diventerà il racconto della spedizione, l’Anabasi).

Chirisofo è invece un personaggio più complesso. È uno spartano; anzi un ufficiale dell’esercito spartano in incognito. È stato inviato dal governo della città a far parte dell’armata apparentemente senza un incarico ben definito, ma nella sostanza con un compito molto importante. La maggioranza dei Diecimila è costituita da spartani o da cittadini di terre alleate. Per questa loro provenienza si sono fatti una fama di invincibilità che fa sì che i Persiani e gli altri popoli, li trattino con prudenza e rispetto. Essi sono stati arruolati un po’ alla spicciolata, all’insaputa della vera destinazione della spedizione; ma la realtà è che Sparta stessa ha provveduto al loro arruolamento. La vittoria di Sparta contro Atene, nella lunga guerra del Peloponneso appena conclusa (404 a.C), è stata resa determinante dall’aiuto persiano, e in particolare da quello economico di Ciro. L’arruolamento dei Diecimila è un po’ un segno di riconoscenza e una proposta di futura alleanza. Ma Sparta è anche molto prudente. Se l’aiuto militare fosse stato fatto ufficialmente, in caso di sconfitta di Ciro le future relazioni con l’impero Persiano sarebbero state compromesse. Quindi il tutto doveva avvenire segretamente. Nessun soldato dei Diecimila sarebbe dovuto risultare un soldato dell’esercito spartano. Chirisofo quindi aveva il segreto compito di esercitare il controllo in merito agli obiettivi del governo spartano, e orientare verso quelli l’azione del contingente greco, in caso ve ne fosse necessità.

Durante tutta la fase di avvicinamento Chirisofo viene descritto come un soggetto misterioso, un cavaliere che compariva all’improvviso nelle situazioni più impensate, per sparire subito dopo. Ora, che c’era da riportare in patria il grosso contingente rimasto decapitato dei suoi comandanti, esce allo scoperto e mette a sua disposizione tutta l’esperienza militare di un alto ufficiale spartano. E si allea con Xeno (o Senofonte), che rivela insospettate doti di comando.

Ogni decisione importante viene presa con la partecipazione dei soldati. Gli uomini accettano questi due comandanti. Ben presto tuttavia i contrasti nascono sulla via da seguire. Senofonte, appoggiato da Chirisofo, anziché proseguire in direzione nord, verso il Ponto Eusino (il Mar Nero) vira a est. Abira intuisce la presenza di un mistero legato alla figura del misterioso Chirisofo. L’ufficiale spartano, scopre la donna, deve completare la copertura che Sparta ha dato alla missione, e quindi ha come compito quello di portare l’armata all’annientamento, appunto verso est, verso terre sconosciute e impervie. L’appoggio dato da Sparta a Ciro verrà così sepolto nell’oblio.

Il contrasto viene risolto in un drammatico incontro nel quale il mistero si scioglie, e Chirisofo decide di disobbedire agli ordini ricevuti. Risolta la questione, tutto si rimette in marcia fino allo sconvolgente arrivo in vista del mare. È il punto più famoso dell’Anabasi, il grande grido che esce dalle gole dei soldati quando vedono la distesa azzurra: “Il mare! Il mare!” o in greco “O thalassa! O thalassa!”

Il libro termina narrando le ultime vicissitudini del corpo di spedizione lungo la costa meridionale del Mar Nero fino all’arrivo a Bisanzio, gli ultimi scontri e gli ultimi inganni in Tracia, il lento disfacimento e il ritorno in patria alla spicciolata. I supersiti sono poco più di sei mila, e il lungo viaggio è durato oltre otto mesi.

 

La lettura del libro, con le continue descrizioni, sia dei paesaggi, sia degli scontri militari, sia della ricerca di cibo, sia dei disagi del superamento di valichi o dell’attraversamento di fiumi, sia dei rigori di un inverno in montagna in mezzo alla neve, finisce di essere ripetitivo e dopo un po’ anche non poco noiosa.

Come negli Idi di marzo, ma direi ancora di più, nel romanzo l’invenzione è praticamente assente, sostituita da un tentativo, non sempre riuscito, di rendere racconto quello che sarebbe stato solo un resoconto, mediante l’introduzione di personaggi di invenzione, come Abira che oltre ad essere la voce narrante, l’amante di Xeno è un po’ anche la protagonista, Melissa donna raffinata, ex amante di Ciro, fuggita nuda dalla tenda al momento della morte del principe, poi amante di alti ufficiali greci, e altri personaggi minori, come una ragazza incinta, prostitute, conduttori di bestie da soma, etc.

Accanto alle vicende di questi personaggi, che appaiono essere solo riempitivi di contorno, Manfredi, per arricchire la narrazione, ricorre a quella specie di thriller rappresentato dai misteriosi compiti di Chirisophos, dall’indagine di Abira, dalle sue scoperte, dalla retromarcia dell’alto ufficiale spartano che alla fine sceglie la salvezza degli uomini, ma anche la propria morte, assassinato (avvelenato) dagli emissari del governo spartano che vedono violati i loro ordini.

L’introduzione di elementi romanzeschi nel contesto della narrazione, tuttavia, non l’ha alleggerita. Come negli Idi di di Marzo essi appaiono estranei e posticci, senza rendere la vicenda narrata più avvincente.

1 Commento a “L’ARMATA PERDUTA, di Valerio Massimo Manfredi”

  1. Joannes scrive:

    Ho letto il libro dal titolo l’armata perduta, straordinario capolavoro e nel contempo, commovente nel finale tra Senofonte e Abira.

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