IL SIGNORE DELLE MOSCHE, di William Golding

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Un gruppo di bambini si ritrova su un’isola deserta dl Pacifico a seguito di un grave incidente aereo nel corso di una guerra planetaria. Si sono salvati solo bambini: da piccolissimi (3-4 anni) a più grandicelli, 10-12 anni. Sono numerosi e fra essi emerge fin dall’inizio quello che sarà uno dei protagonisti: Ralph. È un dodicenne che dimostra un certo carattere e ambizione e che, proprio per questo,verrà riconosciuto come capo della piccola comunità. Assieme a Ralph, un altro protagonista della vicenda sarà Piggy, un quasi coetaneo di Ralph, estremamente miope, malaticcio e molto grasso, intelligente e capace di riflettere sugli eventi per cercare soluzioni. Il terzo protagonista, nell’ambito della piccola comunità, è Jack, anch’egli dodicenne, anch’egli dotato di carattere e di ambizione, capo di un coro di bambini organizzati in modo un po’ militare. Ha un carattere irascibile, con tendenza a comandare soprattutto sui più deboli, e mostra fin dall’inizio una forma di antipatia per Ralph che evidentemente vorrebbe sostituire nel ruolo di capo.

La piccola comunità deve sopravvivere e sperare nella salvezza, che presumibilmente arriverà dal mare. Le decisioni, su come organizzarsi vengono prese in assemblea, convocata dal suono di una grande conchiglia trovata sulla spiaggia. Ognuno ha diritto di parola. Vengono istituite delle regole: fare un censimento dei presenti sull’isola, fare un’esplorazione territoriale, costruire dei rifugi per la notte, accendere un fuoco permanente che faccia fumo e che richiami l’attenzione di eventuali navi di passaggio (la salvezza!). Tutti si mettono al lavoro, ma Jack e i bambini del coro si dissociano e si improvvisano cacciatori. Si costruiscono delle lance con bastoni, hanno visto dei maiali che potrebbero essere prede interessanti, e si sparpagliano per l’isola alla loro ricerca.

L’organizzazione della piccola società comincia a trovare degli impedimenti. Il censimento non viene fatto, e almeno un bambino risulta scomparso, senza che tuttavia ciò desti eccessiva preoccupazione; pochi sono bambini che si dedicano alla costruzione dei rifugi notturni, che riescono traballanti; il fuoco presenta difficoltà di accensione (vengono usati gli occhiali di Piggy) e soprattutto di mantenimento; i cacciatori ottengono scarsi risultati, e l’unico cibo disponibile risulta essere la frutta, che tuttavia alla lunga provoca diarrea; i bisogni corporali vengono fatti un po’ dovunque, ciò che contribuisce ad aumentare la sporcizia; e soprattutto, la notte, con il buio, è foriera di paure che i più piccini, con i loro lamenti, contribuiscono a diffondere anche ai più grandi.

A un certo punto si materializza, nelle loro piccole fantasie, la “bestia”. La paura si accresce quando un paracadutista morto scende sull’isola, e il paracadute sul fianco della collina, gonfiandosi e sgonfiandosi a seconda del vento, dà la sensazione che ci sia qualcosa di vivo e di mostruoso che li minaccia.

La tensione con il passar del tempo aumenta. Le assemblee convocate da Ralph sollevano contestazioni crescenti e non risolvono. Il gioco diventa una componente sempre più importante dell’occupazione del tempo da parte dei bambini, ma assieme al gioco cominciano le divisioni, i dispetti reciproci, gli scherni. La situazione degrada rapidamente. I bambini sembrano gradualmente perdere il senso di civiltà proprio della loro classe di provenienza, diventano sempre più sporchi e arrivano a dipingersi il volto come selvaggi.

In questa situazione il fuoco sulla montagna si spegne e nel momento in cui passa una nave in lontananza nell’orizzonte, nessun segnale proviene dall’isola. La tanto sospirata salvezza sfuma.

Ralph come capo si rende conto del grosso guaio, ma i suoi richiami a una riorganizzazione che possa portare alla salvezza non hanno riscontro. La leggerezza, il desiderio di giocare, e l’aggressività recondita che affiora in ogni bambino portano a una nuova forma di organizzazione della piccola comunità attorno a Jack, che a differenza del riflessivo Ralph, stimola alla caccia, alle feste, allo squartamento e al cibarsi dei maiali catturati. I bambini danno così vita a una tribù di selvaggi scatenati. Durante una delle feste un bambino, estraneo all’orgia, viene massacrato. Spedizioni punitive contro Piggy servono per rubargli gli occhiali, e lo stesso Piggy viene ucciso mentre tenta, in modo civile, di farseli restituire. Ralph, ormai trasformato in fuorilegge, deve cercare di sfuggire a una caccia spietata. La sua fine sarebbe inevitabile se il comportamento scriteriato della tribù di bambini-cacciatori, provocando un vasto incendio nella giungla, non avesse allertato una nave di passaggio nelle vicinanze, con l’invio di una scialuppa di salvataggio sull’isola.

 

I personaggi: i bambini che popolano questa feroce avventura sono meravigliosamente descritti. Sono personaggi veri, con una loro logica comportamentale. Ralph ha un complesso di superiorità che all’inizio gli fa disprezzare il più timido Piggy, me che con tempo ne capisce l’intelligenza e il senso di amicizia che lo lega a lui. Egli viene eletto capo della comunità, e ne sente la responsabilità cercando, in ogni occasione, di richiamare alla ragione gli altri quando si rende conto che gli istinti che affiorano sono distruttivi. Piggy è timido; la sua miopia e l’asma dalla quale è affetto ne limita molto la capacità operativa; ma davanti a ogni situazione riflette; la sua costituzione fisica, e la sua tendenza a dare pareri sensati lo rendono un po’ lo zimbello dei bambini più aggressivi, a partire da Jack, che lo odia e lo disprezza. Piggy è molto amico di Ralph e lo appoggia in ogni occasione. Finirà ucciso nel tentativo di ricuperare i propri occhiali senza i quali vede poco e male. Jack è un po’ il personaggio negativo del libro. Piggy ne avverte l’odio non solo rivolto verso se stesso, ma anche verso Ralph: due persone alle quali invidia la capacità di vedere e affrontare i problemi. La sua sete di comando e la sua aggressività si volgono verso la caccia ai maiali, che dopo diversi tentativi riesce a catturare e ammazzare. Gradualmente la sua aggressività, e il gioco della caccia in cui essa si può esprimere, contagia gli altri bambini che cominciano a seguirlo abbandonando il più responsabile Ralph.

Il libro si conclude con un esplosione di violenza collettiva, tanto più orrenda quanto più ci si rende conto che coinvolge bambini di età interiore ai dodici anni. La violenza e l’orrore sono tali per cui l’ultimo episodio oltre ad essere estremamente coinvolgente è capace di creare un vero e proprio stato d’ansia per la sorte di Ralph.

 

Ci sono dei libri che penetrano nell’anima, oserei dire nella carne, come lame di coltelli affilati. L’anno scorso per me è avvenuto con La strada di Cormak McCarthy; ora è avenuto con il libro che ho appena finito di leggere: Il Signore delle mosche di William Golding, premio Nobel per la letteratura nel 1983. Quella che potrebbe essere una differenza di rilievo fra i due libri è che La strada è un romanzo contemporaneo, Il signore delle mosche ha mezzo secolo di vita. Eppure l’ho letto con lo stesso impegno, la stessa ansia, la stessa sofferenza con cui ho letto La strada. Ecco, questo mi pare sia un po’ il senso che definisce un’opera d’arte: portare messaggi che travalicano il tempo in cui sono stati scritti, e si rivolgono all’uomo, alla sue eterne domande, alla sua ansia di cercare delle risposte. E farlo in modo che l’uomo, indipendentemente dal tempo in cui scrive o legge, si senta sempre coinvolto al massimo livello. 
Il libro, dice il risvolto di copertina, al suo apparire solo nei paese di lingua anglosassone, ha venduto 14 milioni di esemplari. Siamo nel 1954. È una cifra mostruosa. In Italia no. In Italia non ci si è quasi accorti né dell’autore né del libro. Il suo successo è molto più recente. Per fortuna, da quanto vedo su Anobii, oggi è letto da moltissima gente, e proprio perché sono iscritto a questo sito ne sono venuto a conoscenza e l’ho letto, e di questo ringrazio. 
Mi piace ricordare qui la frase con cui Golding sintetizza il suo amaro pessimismo: «L’uomo produce il male come le api producono il miele». È una frase violenta, come violento è il libro, soprattutto nel suo svilupparsi verso il finale. Forse troppo violenta; forse non lascia adito a un filo di speranza. Ma ha proprio tutti i torti?

 

Lezione al Nobel di William Golding, 1983 

 

2 Commenti a “IL SIGNORE DELLE MOSCHE, di William Golding”

  1. Alice scrive:

    Mi è piaciuto molto questo libro, ma non mi è piaciuto x il semplice fatto della morte di Piggy e altri ragazzi… :(

  2. Rudy scrive:

    Avresti preferito un lieto fine? Io credo che la forza del libro è travolgente proprio nelle pagine finali.
    Rudy

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