CENTO CHIODI, di Ermanno Olmi (2007)

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Nella biblioteca di un’università (Bologna) il custode scopre che decine e decine di libri sono stati tolti dalla scaffalatura, aperti e inchiodati al suolo, come crocifissi. Tutto questo suscita grande scalpore, se ne occupa la polizia, e viene incolpato un professore di filosofia della religione (Raz Degan), giovane, amato e seguito dagli studenti e, nella circostanza, scomparso.

In realtà il professore si reca in riva al Po, getta nell’acqua la giacca con i documenti in modo da far credere al suicidio, e decide di vivere lontano dalla civiltà, dalla cultura ufficiale. Scopre una vecchia casa diroccata nell’alveo del fiume, viene a contatto con la povera gente che vive nei dintorni, e partecipa alla loro vita. La gente lo aiuta a rendere un po’ abitabile la catapecchia; egli va alle loro feste, va a fare la spesa nel loro villaggio, passa le serate a discutere con loro. La figura, del professore che ha una vaga somiglianza con molte delle immagini di Gesù; i frequenti richiami al pane e al vino come alimenti della natura e della verità; il racconto di due parabole significative (le nozze di Cana e il figliol prodigo), il riunirsi delle persone del villaggio lungo una tavola ad ascoltare il professore, hanno un po’ tutte il sapore di simbologie che richiamano il Vangelo e la predicazione di Cristo.

Ma anche se siamo in una zona apparentemente selvaggia, la civiltà non molla l’osso. Lavori edilizi (la costruzione di un porto sul fiume) e burocrazia ben presto invadono la zona. Vengono fatte misurazioni, arrivano bulldozer, motocrossisti recano rumori estranei. I poveri abitanti del luogo si vedono notificare una pesantissima multa. Hanno abusivamente invaso l’alveo del fiume e dovranno sgombrare. Il professore provvederà a saldare egli stesso con la sua carta di credito la multa, ma per questo verrà rintracciato e arrestato.

Durante l’interrogatorio davanti al maresciallo dei carabinieri, ammetterà la propria responsabilità per lo sfregio fatto alla biblioteca, lo definisce un obbligo morale, e alla domanda se appartiene a qualche organizzazione clandestina a scopo eversivo o terroristico risponderà affermativamente: «Ho fatto parte del corpo insegnanti». Poi, continuerà: «Se mi volto indietro vedo solo pagine di libri, una vita tutta di carta. […] Tutti i libri del mondo non valgono un caffé con un amico».

In cella verrà a trovarlo un vecchio sacerdote, quello che in anni e anni di attività ha raccolto i libri, li ha amati, accuditi, curati: l’uomo che più di ogni altro è stato colpito in modo affettivo dal gesto vandalico del professore. «Quei libri io li amavo!» lo accusa il sacerdote. «Lei ama più i suoi libri degli uomini» è la risposta. I libri sono la sapienza del mondo, la parola di Dio, insiste il sacerdote. «È Dio il massacratore del mondo – risponde ancora il professore. – Non ha salvato nemmeno suo figlio dalla croce». Alla reazione del sacerdote per quella che viene giudicata una bestemmia, lo scontro si conclude con una frase di ribellione del professore: «Nel giorno del giudizio sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo».

Il professore sarà alla fine liberato dalla prigione e posto agli arresti domiciliari. I suoi amici sulla riva del Po lo vengono a sapere e preparano tutto per il suo ritorno: si radunano, lo aspettano. C’è chi lo ha visto passare, qualcuno racconta di averlo incontrato. Ma le ore passano e il professore non si vede. Il film termina con questa forte simbologia della resurrezione, posta in termini problematici.

Il film, si dice, sembra essere un commiato di Olmi dal film d’invenzione. Dopo di ciò intende dirigere solo documentari. E questo congedo ha voluto essere un richiamo all’intensità della vita religiosa, fatta di vicinanza alla natura, di semplicità, di amicizia fra gli uomini, contro ogni forma di filosofia che dimentichi l’amore per l’uomo.

Degan riesce in qualche modo a mostrare espressioni che lo avvicinano al modello, ma non mi sembra che possa essere definito un grande attore.

Olmi si conferma un regista di raffinata sensibilità, che riesce a realizzare con il simbolismo un discorso di religione profonda. Il film tuttavia rimane lontano dal suo capolavoro, L’albero degli zoccoli.

2 Commenti a “CENTO CHIODI, di Ermanno Olmi (2007)”

  1. enrico bonaiti scrive:

    Caro Rudy,
    sto dando un’ occhiata al tuo sito… molto interessante, carina la San Sebastiana… ma preferisco il Mantegna ;-)
    Cento Chiodi è piaciuto tanto anche a me, sono stato due volte al cinema a vederlo ed alla fine mi sono comprato il dvd.
    Salutoni dal lago di Como pieno di sole, Enrico

  2. Rudy scrive:

    Anche qui c’è il sole. La primavera sta arrivando!!
    Ti ringrazio per l’apprezzamento

    Rudy

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