IL LAMENTO DEL PREPUZIO, di Shalom Auslander

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Libro satirico sulle numerose e minuziose regole alla base dei comportamenti nella vita secondo la religione ebraica in comunità rigidamente ortodosse.

Auslander  è nato e cresciuto in un quartiere di New York, Monsey, abitato in grande maggioranza da ebrei. La sua infanzia viene impostata fin dai primissimi anni dai genitori, e successivamente dalla scuola, al timore di Dio: di un Dio che esercita sull’uomo un potere fatto principalmente di divieti, e che verso l’uomo non dimostra alcuna amicizia, ma è pronto a punire ogni infrazione alla sua legge. Il piccolo Shalom si crea così un’immagine del Padre Eterno, come di un essere autoritario, orgoglioso e con caratteristiche e difetti tipici degli uomini di potere: capriccioso, dispettoso, quasi in permanente conflitto con chi cerca una realizzazione personale al di fuori del suo dominio.

L’immagine di questo Dio perseguita il bambino, e Auslander nel libro scenderà in molti dettagli nella descrizione di un conflitto che coinvolge, nelle regole da osservare o da violare, un gran numero di comportamenti quotidiani, ma si prolungherà anche nella vita adulta, quasi fosse un imprinting dal quale lo scrittore non riuscirà più liberarsi.

Il racconto diventa così una specie di terreno sul quale ironicamente Auslander fa emergere il gran numero di contraddizioni con le quali le regole minuziose del vivere quotidiano soffocano le libere scelte della persona: adulta o, anche più semplicemente, ancora bambina. Libere scelte il cui impedimento non sembra apportare grandi miglioramenti alla possibile convivenza della comunità, ma sofferenza alla singola persona.

Una di queste restrizioni, ad esempio, riguarda l’alimentazione. L’ebreo non può nutrirsi liberamente, ma deve nutrirsi solamente di alimenti kosher. E qui inizia già una casistica di cibi permessi o vietati: e naturalmente quelli vietati sono i più appetitosi, soprattutto per un bambino. Shalom si trova così a cercare di eludere non solo la sorveglianza dei genitori o dei rabbini della scuola, per riuscire ad addentare un cheeseburger, o mangiare una merendina proibita, ma anche quella dello stesso Dio, che per la trasgressione potrebbe punirlo. Naturalmente c’è sempre la speranza che il carattere capriccioso di Dio possa ignorare la mancanza ed evitare la punizione. Quindi la trasgressione non è impossibile, se fatta con la giusta prudenza.

Un’alimentazione kosher è obbligatoria, ma non sufficiente. Occorre, quando si mangia, recitare le benedizioni. Ogni cibo ha le sue opportune benedizioni; quelle di base sono sei: per il pane, per il frumento, per il vino, per quello che cresce sugli alberi, per quello che cresce nella terra e per tutto il resto. Occorre conoscerle e recitarle. Ma, poiché i cibi sono spesso composti da più di una delle sei categorie, le benedizioni da recitare sono diverse, e occorre sapere per ogni cibo complesso quali sono quelle idonee e in quale ordine vanno recitate.

Tutto questo già ci introduce in un comportamento di vita complicato e di difficile comprensione.

Ma le complicazioni investono molti altri campi: un altro di questi è l’osservanza dello Shabbat. Vi è tutta una ritualità per la preparazione della giornata di riposo, che certamente è un invito alla riflessione. Ma accanto a ciò che può essere comprensibilmente un fattore di fede, come la preghiera, vi è l’elenco delle azioni vietate, che sono 39 e che, per analogie o per derivazioni di varia natura creano una casistica complicata e che solleva fra gli esperti discussioni a non finire. Shalom cerca di sgaiattolare nell’osservanza di queste regole, con tutte le paure che l’immanenza di un Dio che ha la vocazione a punire può provocare in un bambino. Poi, un rabbino gli suggerisce come risolvere a proprio vantaggio la situazione. Non solo violare lo Shabbat è come violare i 613 comandamenti della Thorà, ma anche osservare lo Shabbat è come osservarli tutti e 613. Diventa così sufficiente osservare lo Shabbat una settimana sì e una no. La compensazione.

Un altro campo ricco di imposizioni è quello dell’abbigliamento. Lo yarmulke, i tzitzis, devono essere obbligatoriamente indossati, con gli inevitabili tentativi del bambino Shalom di nasconderli mettendoseli in tasca, o infilandoli nei calzoni quando si trova con amici o ragazze o situazioni che non richiedono quel tipo di abbigliamento. Altre mancanze punibili, quindi.

E ancora dominano le imposizioni di natura sessuale, come il considerare la masturbazione, e la conseguente dispersione del seme, una grave mancanza, o il cercare e peggio ancora avere rapporti con ragazzine non ebree, etc. Tutte cose che Shalom, con tutte le paure del caso, non esita tuttavia a compiere, come fanno un po’ tutti i bambini.

Tutta la vita dell’autore, nell’infanzia, viene condizionata da queste regole imposte dalla religione, e soprattutto dalla famiglia, dalla scuola, dalla comunità, e dai suoi tentativi di sfuggirvi, di contrattare con Dio le possibili o eventuali punizioni, magari di dirottarle su qualcun altro, come quando trova riviste porno, alcune anche nella camera del padre, le brucia ed è convinto con questo di aver ottenuto dei meriti che Dio dovrebbe riconoscergli.

Auslander diventa adulto. Dopo essere stato responsabile di un furto ai grandi magazzini, viene condannato a lavori socialmente utili, conosce una fanciulla, anch’essa condannata come lui, si immagina una relazione peccaminosa da raccontare agli amici. Finisce di scontare la sua pena accettando di fare un viaggio di studio in Israele. Porta bigliettini contenenti preghiere al Muro del Pianto.

Giunto all’età opportuna, trova un lavoro come guardiano di morti: un’occupazione che gli rende meriti (si tratta di una forma di compagnia all’anima del defunto, che subito dopo la morte, fino al momento della sepoltura, si aggira smarrita), ma anche denaro. Trova la donna giusta, si sposa, si trasferisce, incomincia una vita autonoma e ha un figlio.

Ma l’incombente presenza di Dio, iniziata nell’infanzia, permane minacciosa. La nascita del figlio comporta la necessità della circoncisione. Andrebbe fatta in modo rituale, l’ottavo giorno, col succhiamento del sangue, da una persona esperta e a ciò dedicata. Ma questo non avviene. All’ospedale i medici attuano direttamente l’operazione al di fuori da ogni ritualità. In aggiunta al bambino viene dato un nome non ebreo. Tutto ciò esprime mancanza di identità, che si riflette nella freddezza dei rapporti di Shalom con la comunità d’origine e con i genitori: si ricorda il caso di un vecchio profugo dalla Russia in Israele, che, pur essendo ateo, accettò di essere circonciso perché questo gli avrebbe restituito l’identità.  

Auslander intraprende l’attività di scrittore e decide di scrivere un libro proprio sull’argomento Dio. Questo gli fa sorgere timori a non finire. Le punizioni più terribili sembrano sempre dietro l’angolo: la possibile morte della moglie, quella del figlio, tutte le possibili complicazioni del parto, e infinite altre disgrazie. Si rivolge a uno psicanalista, ma senza alcun risultato. Alla fine la presenza di Dio nella sua vita viene sintetizzata nella grande avventura di Mosè che porta il popolo di Israele dalla schiavitù egiziana alla Terra Promessa. Ma per un peccato commesso in gioventù Mosé non può accedervi. Muore sulla soglia. Come dice la ironica citazione del Deteuronomio che apre il libro: «E Dio disse a Mosé: “Ecco il paese che io ti ho promesso; ma tu non ci entrerai. Tié!”. E Mosé morì.»

Preghiera finale: «Dio, ti prego, non uccidere mia moglie a causa di questo libro. Non uccidere mio figlio, e non uccidere i miei cani. Se devi per forza uccidere qualcuno uccidi Geoff Kloske l’editore di Riverhead Books, Uccidi […], ma non uccidere me. E non uccidere Orli. E non uccidere nostro figlio. Dopotutto è solo un libro, cazzo. Scusa.»

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