DISEGNO DI LEGGE sul Testamento Biologico
DISEGNO DI LEGGE
26 gennaio 2009
Introduzione del senatore Raffaele Calabrò.
«Ma se l’impatto della scienza e della tecnica nella nostra vita ha destato nuovi interrogativi a cui non è facile dare soluzioni, è pur vero che una storia millenaria ci insegna che il diritto alla vita, in quanto espressione del diritto naturale, è sempre stato garantito in tutte le società, trattandosi di un principio profondamente laico, comune a tutte le tradizioni e civiltà.»
Affermazione sostanzialmente falsa. Il diritto alla vita nella storia millenaria è stato sempre violato (si va dal diritto di vita e morte sugli schiavi in atto fino a metà del XIX sec., al diritto dello stato di emettere ed eseguire sentenze di morte, per non parlare di situazioni nelle quali molte religioni, compresa la cattolica, in modo ufficiale e riconosciuto, hanno fatto scempio di questo diritto: l’elenco è lungo, ma ben noto in ognuno di noi).
Il diritto alla vita come diritto naturale è riconosciuto, anche se in modo spesso zoppicante sono in diversi stati, e solo da alcuni decenni.
Il diritto alla vita è sacro e inviolabile. Su questo non posso che esprimermi in termini categorici. Ma vorrei sottolineare che questo diritto è un fatto attivo e positivo, non negativo. Ovvero, il diritto alla vita presuppone, pretende che nessuno possa attentare alla vita di un’altra persona, per nessun motivo: cioè è il diritto di vivere e di vedere protetto e difeso questo diritto. Chiunque attentasse alla altrui vita, lederebbe profondamente questo diritto personale.
Ciò non significa affatto che lo stato debba impedire al cittadino di fare della propria vita la scelta che si ritenga più opportuna. In questo modo lo stato non tutela il diritto alla vita, ma impedisce al cittadino di esercitare un suo diritto, legittimo in quanto non lede un qualsiasi diritto altrui. Lo stato che esercitasse questo impedimento non sarebbe uno stato di diritto.
«Si ravvisa, dunque, la necessità di elaborare una legge che contemperi il rispetto dell’esercizio della libertà del soggetto con la tutela della dignità di ogni uomo e del valore dell’inviolabilità della vita»
Mi chiedo, leggendo queste righe, se sogno o sono desto. Di leggi sulla tutela della dignità e sull’inviolabilità della vita il nostro ordinamento è pieno! Quello che manca è l’espressa affermazione che lo stato deve tutelare il diritto di ogni persona, e quindi accertare la veridicità delle affermazioni della persona nel caso che voglia decidere di non proseguire oltre la propria vita in condizioni che egli giudichi non confacenti con la propria dignità.
«In ossequio a quanto sancito nella Costituzione italiana che riconosce al principio dell’autodeterminazione del paziente il valore di diritto fondamentale, si vuole riconoscere al cittadino siffatto potere decisionale anche per il momento in cui dovrebbe eventualmente trovarsi privo delle capacità di intendere e di volere, attraverso le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento.»
Questo è sacrosanto.
L’introduzione di Calabrò continua: il medico curante non potrebbe «inoltre non tenere in debita considerazione che le dichiarazioni anticipate sono sì espressione della libertà del soggetto di esprimere i propri orientamenti circa i trattamenti sanitari di fine vita cui essere sottoposto, nell’eventualità di trovarsi in condizioni di incapacità di intendere e di volere, ma di contro lo privano della possibilità di contestualizzare e attualizzare la sua scelta in virtù di eventuali cambiamenti scientifici intervenuti.»
Ipotesi semplicemente ridicola. Visto il complesso sistema di verifica e conferma (almeno ogni tre anni) del DAT, quando mai si può pensare a una scoperta scientifica così improvvisa e determinante da cambiare in modo radicale la scelta effettuata? Questo è il tipico modo ipocrita per mettere in discussione la scelta, non per rispettarla.
Le affermazioni che seguono confermano questo sospetto: si parla infatti, qualora lo stato non possa interferire sulla scelta espressa nella DAT, di «costrizione tirannica che può esplicare i suoi effetti contro gli interessi della persona stessa»; di «presunzione fatale di poter determinare una volta per tutte il proprio destino»; e si dà al medico, in virtù di un’alleanza presunta, che la legge dovrebbe prevedere, ma della quale si ignora tutto, di poter alla fine decidere lui, “sempre in applicazione del principio della tutela della salute e della vita umana, secondo principi di precauzione, proporzionalità e prudenza”. Alla faccia dei diritti del malato!!!
Naturalmente si ripete, ipocritamente che «il presente disegno di legge nel pieno rispetto del diritto positivo e in primis della Costituzione italiana, intende riaffermare il valore inviolabile dell’indisponibilità della vita.» Ecco già una pesante attenuazione: non il diritto alla vita, che è alla base della Costituzione, ma un non meglio precisato valore inviolabile dell’indisponibilità della vita, cioè valore presumibilmente inviolabile anche dallo stesso titolare della vita. Ma questo valore dov’è nella Costituzione?
Infatti subito dopo: «Si ritiene, infatti, che il soggetto nella DAT non possa in alcun modo esprimere desideri che siano contrari alle norme giuridiche vigenti nel nostro paese, chiedendo ed ottenendo interventi eutanasici o che possano configurarsi come suicidio assistito.»
Alla faccia del pieno rispetto della Costituzione! Forse è opportuno ricordare che solo la Costituzione è inviolabile.
Si ricorre a un’altra ipocrisia: ci si richiama alla «Convenzione europea sui diritti umani e la biomedicina, nota come Convenzione di Oviedo» che, nei fatti, si limita a sancire «che nel caso che il paziente non sia in grado di esprimere i propri desideri, si deve tener conto di quelli espressi precedentemente», per imporre una serie di divieti ai desideri del paziente fra cui quello dell’eutanasia, che sempre ipocritamente, viene distinta in eutanasia attiva e eutanasia passiva. La prima verrebbe esercitata mediante un atto che porrebbe termine alla vita, la seconda secondo un’omissione di «atti eticamente e deontologicamente dovuti, in quanto forme di sostegno vitale, necessari e fisiologicamente indirizzati ad alleviare le sofferenze del soggetto in stato terminale».
Cosa significa? La risposta la sappiamo, almeno nelle intenzioni di chi propone la legge: l’alimentazione e l’idratazione. E perché non la respirazione? Non è essa una forma di sostegno vitale? L’uomo per vivere ha necessità di alimenti, acqua e aria. A queste necessità si può ricorrere autonomamente, oppure vi si deve ricorrere mediante atti che, mi risulta, vengono impostati da medici che ne definiscono tempi, composizione, modi, collateralità, o addirittura da loro messi in atto.
Ma tutto questo è una discussione che lascia il tempo che trova, davanti alla più grave violazione del diritto individuale e, quindi, della stato di diritto configurata in questa affermazioni.
Nella legge, lo stato di diritto viene pesantemente violato:
Art 2: il divieto all’eutanasia attiva o passiva, in riferimento al Codice Penale, art 575 (l’omicidio), 579 e 580, che si riferiscono al suicidio, soprattutto a chi lo istiga e a chi lo aiuta.
Art. 2
1. Ogni forma di eutanasia, anche attraverso condotte omissive, e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio sono vietate ai sensi degli articoli 575, 579, 580 del codice penale.
2. L’attività medica, in quanto esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e della salute, nonché all’alleviamento della sofferenza non può in nessun caso essere orientata al prodursi o consentirsi della morte del paziente, attraverso la non attivazione o disattivazione di trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della sua vita o della sua salute, da cui in scienza e coscienza si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente.
Ma l’eutanasia (passiva o attiva?) è da assimilarsi al suicidio? Le leggi non devono seguire l’evolversi della cultura? Non è successo così per eventi prima proibiti e quindi entrati nella legittimità come divorzio e aborto?
Art 5: i commi 5 e 6 che di fatto pongono divieti alle scelte del paziente e ne ledono quindi il suo diritto.
Art. 5
5. Nella DAT il soggetto non può inserire indicazioni finalizzate all’eutanasia attiva o omissiva.
6. Alimentazione ed idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze e non possono formare oggetto di Dichiarazione Anticipata di Trattamento.
Appare evidente anche l’approssimazione che la premura ha imposto, sotto la pressione del caso di Eluana Englaro.
Vi possono essere infinite forme nelle quali la sospensione del trattamento, oltre all’alimentazione e idratazione, determinano con certezza la morte del paziente a breve termine: per esempio la sospensione dell’insulina se il paziente è diabetico; la sospensione di trattamenti cosiddetti salvavita (anticoagulanti in pazienti infartuati, ipotensivi in pazienti ipertesi, questo solo per citare le evenienze più frequenti); e prima di tutto, la respirazione assistita. Sono anche queste forme fisiologiche di sostegno vitale?
In secondo luogo è ridicolo parlare di alimentazione e idratazione “finalizzate ad alleviare le sofferenze” quando, in certe condizioni l’effetto ottenuto è proprio quello di prolungarle.
Insomma, le legge e i motivi che la ispirano denotano una profonda ignoranza.
Ma quello che a me sembra più grave in assoluto è la violazione pesante dello stato di diritto, attraverso una forma sbagliata di intendere l’etica, come portatrice di valori assoluti ai cui dettami, validi evidentemente per la maggioranza, si devono sottoporre tutti, anche quelli per cui questi valori non hanno riscontro. Ciò in generale, ma tanto più in una società in cui l’immigrazione apre la strada a una multiculturalità.
Questo mi ricorda molto da vicino le critiche alle quali, molte di quelle stesse persone che propongono questa legge, sottopongono i paesi islamici: cioè accusare i paesi islamici di giudicare i valori della propria fede valori cui tutti devono sottostare.
Ho scritto al Corriere la seguente nota:
Lo stato di diritto
Lo stato di diritto, ahimé!, non lo vuole la maggioranza politica, ma sembra che non lo voglia neppure la maggioranza dei cittadini.
Vorrei ricordare ancora una volta che lo stato di diritto è lo stato che rispetta i diritti delle minoranze fino a quello dei singoli cittadini.
Questa legge lede pesantemente lo stato di diritto imponendo divieti all’esercizio di un vero diritto di singoli o di minoranze. Non si tratta della violazione di quello che qualcuno chiama sprezzantemente “il diritto di morire”. Si tratta della violazione di un diritto, qualsiasi diritto legittimo. E diritto legittimo è quello che non violi il diritto altrui.
Io posso volere o non volere l’eutanasia, o l’accanimento terapeutico, o qualsiasi altra cosa che riguarda la mia persona. Lo posso esprimere se sono cosciente o, se non lo sono più, posso averlo espresso in modo chiaro quando cosciente lo ero. Questo è un mio diritto, e questo diritto non può essere soppresso dalla volontà di una maggioranza, che ha, certo, il compito di governare, ma non quello di impedire l’esercizio dei diritti legittimi. E, ripeto, sono legittimi tutti i diritti che non violino il diritto altrui.
Qui non ci possono essere né compromessi né accordi.
Mi auguro che lo stato di diritto sia espressione della nostra Costituzione, e che la sua violazione, come questa legge di fatto fa, sia anticostituzionale. Credo che con queste premesse il referendum potrebbe essere inutile.
27 marzo 2009 alle 16:19
che coglione che è calabrò… è una vergogna essere rappresentati da una persona così!!
27 marzo 2009 alle 16:59
La cosa drammatica che proviene dal testo approvato al Senato è che il testamento biologico non è vincolante. Cioè tu puoi esprimere le tue volontà in modo esplicito. Ma se il medico curante, nel momento in cui le tue volontà dovrebbero essere rispettate, non fosse d’accordo e ritenesse di agire diversamente, le tue volontà vanno a farsi fottere.