IL VAGELO SECONDO IL FIGLIO, di Norman Mailer
La giovinezza di Gesù trascorre nel suo apprendistato alla professione di falegname sotto gli insegnamenti di Giuseppe. È molto istruito nelle cose della religione. Conosce la Torah e gli scritti dei profeti, e una volta è addirittura successo che si sia attardato nel tempio di Gerusalemme a discutere con i dottori, destando in loro grande meraviglia.
L’origine della sua nascita per lungo tempo gli rimane sconosciuta. Solo all’età di 12 anni Giuseppe stesso lo mette al corrente: la storia dell’Angelo e dell’annunciazione a Maria, la gravidanza insorta fuori del matrimonio, la decisione di Giuseppe di sposarla per evitarle ciò che si poteva configurare come un peccato, e infine la notizia più sconvolgente, Gesù è figlio di Dio. Gesù viene anche a sapere delle circostanze seguite alla sua nascita: la visita dei pastori, i tre re magi, la strage degli innocenti perpetrata da Erode.
Nel frattempo anche una cugina di Maria, Elisabetta, ha un figlio, più vecchio di sei mesi di Gesù: Giovanni. Giovanni è un moralista, un audace predicatore che critica pesantemente i costumi corrotti, soprattutto quando si annidano nella casa reale, e annuncia l’avvento del Messia. E identifica il Messia proprio in Gesù, che, in uno dei loro pochissimi incontri, battezzerà sulle rive del Giordano.
Alla morte di Giuseppe, Gesù decide di fare il predicatore. Dio gli comanda di andare nel deserto e di digiunare 40 giorni. Al termine compare Satana con le sue tentazioni. Satana è suadente, ma la voce di Dio è forte e chiara, e Gesù resiste.
Gesù comincia così la sua vita, fra le preoccupazioni materne che, sì, lo vorrebbe un bravo ragazzo impegnato nello studio della religione, ma paventa per la sua incolumità quando percorre le strade del paese.
La sua prima uscita pubblica avviene in presenza della madre, a un banchetto di nozze: il vino finisce troppo presto, e Maria chiede al figlio di provvedere. Gesù compie così il suo primo miracolo, quello dell’acqua tramutata in vino.
A questo miracolo ne seguiranno molto altri. E qui affiora quello che, secondo me, è un po’ la chiave di lettura del libro. Gesù parla con Dio, sa di essere suo figlio, sa che i suoi poteri provengono da lui, anche se ne impegnano pesantemente le risorse fisiche. Ma ogni volta che si trova davanti al problema di una guarigione miracolosa in lui insorgono dubbi. Come è possibile che Dio si serva di lui, uomo sotto tutti gli aspetti, per convincere gli altri uomini ad adempiere alla Sua volontà? Certamente i miracoli ne sono uno strumento, ma in che modo funzionano? E poi funzionano? Forse per la gente semplice, per la gente malata. E la turba di miserabili, di malati che lo segue, che vuole essere risanata cresce in continuazione, buttandolo nello sconforto peggiore. Ma per gli scribi e i Farisei? È questo il modo con il quale si deve convincere la gente a fare la volontà di Dio? È così che si può arrivare alla redenzione dei peccati?
Nascono discussioni in continuazione. Gli scribi, i Farisei gli contestano i suoi poteri, gli rinfacciano di esercitare guarigioni anche durante il sabato, violando così platealmente la stessa volontà di Dio.
Gesù continua la sua predicazione nell’alta Galilea, presso il lago di Tiberiade: qui vengono operati i miracoli che tutti conoscono: la moltiplicazione dei pani e dei pesci, il camminare sulle acque, la resurrezione di Lazzaro. Qui le turbe che lo seguono sono sempre più numerose, e qui avviene anche il discorso della Montagna, che tutti ascoltano con attenzione, ma che non tutti apprezzano, ritenendolo frutto più di fanatismo che di sana religiosità. Come si può offrire l’altra guancia a chi ti ha colpito? Sempre in questi luoghi, a Nazareth avviene l’incontro con Maria di Magdala, condannata alla lapidazione per adulterio. Ma Gesù la salva. Davanti agli scribi, che vorrebbero incastrarlo facendogli dire qualche cosa che dimostri il suo disprezzo per la legge divina, Gesù, in modo quasi indifferente, non nega la legge che vorrebbe che l’adultera sia lapidata, ma pronuncia la famosa frase: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra!».
È ora di portare la predicazione in un luogo più coinvolgente: Gerusalemme. Si approssima il tempo pasquale, quando si celebra la liberazione degli ebrei dalla schiavitù d’Egitto sotto la guida di Mosè. Gesù va al tempio, che trova occupato da mercanti di ogni tipo. Qui si svolge uno degli episodi più noti dei Vangeli: la cacciata dei mercanti dal tempio. Da una parte ciò rappresenta una forma concreta di predicazione: non si può adorare Dio e insieme adorare Mammona; e questo gli favorisce le simpatie della gente umile. Dall’altra gli aliena tuttavia quelle dei potenti. Come si permette questo tipo, di interferire in questo modo con la vita normale?
Gesù si rende conto che l’ostilità contro di lui va crescendo, e che la sua fine si avvicina. I suoi stessi discepoli manifestano dei dubbi, anche se a parole si dichiarano fedelissimi. Le discussioni con gli Scribi e i Farisei si moltiplicano, e i tranelli con i quali i dotti cercano di fargli pronunciare delle bestemmie si succedono in continuazione. Gesù sa destreggiarsi, ma non è esente da paura. Organizzerà la cena pasquale con i suoi discepoli, che sono dodici come le tribù di Israele, e in quella cena lascerà il suo testamento. I discepoli credono, ma si chiedono come potranno a loro volta diffondere la Parola, se non hanno i poteri di compiere i miracoli.
Fra i discepoli, il più intelligente, forse quello che Gesù stima di più, lo tradirà, e lo denuncerà. Gesù verrà trascinato davanti al Sommo Sacerdote e, attraverso false testimonianze e nuovi tranelli verbali, sarà giudicato colpevole di blasfemia e condannato a morire sulla croce. Qui entra in gioco Ponzio Pilato, il governatore romano. Ponzio Pilato non capisce l’animosità contro una persona che ritiene tuttosommato innocua, ma il suo compito è quello di mantenere la pace. «Nella pace non c’è verità, e nella verità non c’è pace» afferma. Se i notabili lo vogliono morto, e la gente non è un granché preoccupata, ebbene, lo si condanni pure. Anzi, per ottemperare a una tradizione di liberare un prigioniero per il giorno di Pasqua, si fa liberare Barabba, un assassino.
Il libro prosegue con la Via Crucis, le torture, le derisioni, la salita al Golgota e la crocefissione di Gesù, in modo molto coerente con la narrazione degli evangelisti. E così si arriva al momento di cedimento di Gesù, che chiede al Padre un miracolo: «Mio Signore, mi hai abbandonato?», ma che subito si rende conto essere questa l’ultima tentazione, alla quale occorre resistere per fare la volontà del Padre.
Il finale si conclude con la richiesta di sorveglianza della tomba da parte delle autorità ebraiche, che tuttavia non impediscono la resurrezione. Gesù appare un ultima volta ai suoi discepoli, e a fatica viene riconosciuto, mentre il solito Tommaso vuole verificare di persona i segni della crocefissione.
Il suo sacrificio portò ai risultati sperati? Certamente molta gente divenne seguace della predicazione di Gesù, ma fa i credenti ebrei il popolo si divise, e si aprì una discussione millenaria che prosegue ancora.
Ma l’uomo è diventato meno peccatore? La conclusione di Gesù è che la partita fra Dio e Mammona si è chiusa in parità: «Penso va detto che molti di quelli che ora si definiscono cristiani sono ricchi e bigotti, e temo che non siano meglio dei Farisei. Anzi spesso sono ancora più ipocriti di coloro che mi avevano condannato.»
Il libro non mi ha convinto. L’aderenza al racconto degli evangelisti è palese, ma il rovello di Gesù, nella sua permanente discussione col padre, nel suo ricercare la fede che deve trasmettere agli altri, passa troppo attraverso i miracoli, e troppo poco attraverso la natura della predicazione. Gesù sembra non essere mai convinto fino in fondo dalla sua divina missione. Il suo punto interrogativo sulla natura dei miracoli, non trova quella risposta, che secondo me dovrebbe essere ovvia, nei contenuti della predicazione e in particolare all’impulso all’amore per il prossimo (il porgere l’altra guancia). Il taglio mi sembra molto americano, dove la concretezza dei fatti prevale sulla forza dei sentimenti. Il miracolo è un fatto. L’amore è un sentimento. Nel collegamento fra le due cose, nel libro quello che appare è che la base è il miracolo, il fatto, e la conseguenza è l’amore, il sentimento. Mentre la predicazione vera dovrebbe offrire il contrario: è il sentimento, l’amore, che, eventualmente provoca i miracoli. E i discepoli, secondo il vangelo, lo potranno realizzare solo il giorno delle pentecoste, con la discesa su di loro della Spirito Santo.
Se dovessi fare un paragone col libro di Saramago, Il Vangelo secondo Gesù Cristo, devo ammettere che la distanza fra le due ricostruzioni è enorme, e tutta a vantaggio di Saramago.