IL VIAGGIO A REIMS, alla Scala
Il viaggio a Reims, ovvero il viaggio mai fatto: Avevo visto in passato delle esecuzioni in video dell’opera, e ne ero rimasto affascinato. Ma, ripeto ancora una volta, e credo giusto farlo, non c’è ripresa video, film o DVD che possano simulare, neppure da lontano quello che si prova a teatro, ad avere davanti agli occhi il palcoscenico e cantanti-attori che vi si muovono, che sono davanti a te in carne e ossa. Se dalle riprese televisive mi sentivo affascinato, giovedì sera, davanti al palcoscenico scaligero le mie sensazioni erano di pura gioia. Se è vero, come dicono i filosofi, che la felicità è fatta di attimi, allora gli attimi trascorsi a vedere-ascoltare quest’opera straordinaria, ecco, li ho vissuto come felicità.
È ben noto che Rossini ha composto l’opera come cantata per celebrare l’incoronazione di Carlo X a Reims nel 1825. Dopo di che la partitura ha avuto una vita difficile; circa una metà Rossini l’ha utilizzata per un’altra opera, Le Comte Ory, il resto si è variamente disperso. Dopo l’occasione dell’incoronazione, Il viaggio a Reims non è stato più rappresentato fino al 1984 quando, dopo fruttuose ricerche è stato possibile ricostruirne la partitura e affidarla ad Abbado per il Festival rossiniano di Pesaro e l’anno successivo per la rappresentazione scaligera.
Essendo un’opera di circostanza, non ha una trama vera e propria. Un gruppo di persone di alto lignaggio e di diversa nazionalità si sono riunite nell’albergo del Giglio d’Oro e si stanno preparando a partire per Reims. Intendono partecipare ai festeggiamenti per l’incoronazione di Carlo X. Nell’attesa che vengano approntati i mezzi di trasporto, i diversi personaggi sono coinvolti in piccole beghe che sono un po’ l’asse portante dell’opera: Madama Cortese, la proprietaria del Giglio d’Oro si dà da fare per il buon nome dell’albergo e stimola il personale ad essere efficiente; la contessa di Folleville, francese, patita per la moda, è disperata perché i suoi preziosi abiti non arriveranno, ma si consola davanti al ritrovamento del cappellino; scoppia una lite fra il conte di Libenskof (russo) e don Alvaro (spagnolo) per l’amore della bella marchesa Melibea (polacca); Corinna, poetessa, canta una dolcissima canzone che distende gli animi; Lord Sidney, inglese, si dispera perché è timido e non riesce a dichiarare il proprio amore a Corinna, che a sua volta viene importunata da un bellimbusto, il Cavalier Belfiore, francese, tombeur de femmes, e così via. Altri personaggi di varia natura si intrecciano, come il barone Trombonok (tedesco), che funge un po’ da organizzatore, don Prudenzio, medico approssimativo e ignorante che fa brutte figure, don Profondo, collezionista di oggetti rari, che controlla che nulla manchi alla partenza, eccetera. Alla fine, disastro dei disastri, si viene a sapere che il viaggio a Reims è impossibile. Non ci sono cavalli disponibili. La comitiva dovrà rinunciare. Ma a riportare la gioia nei cuori arriva una lettera che annuncia che le vere feste si faranno a Parigi, dove re Carlo X si recherà subito dopo l’incoronazione. E allora tutto si illumina, e prima di partire per Parigi si farà qui al Giglio d’Oro una grande festa che vedrà ogni dissapore sorto nella giornata, riconciliato. Nella festa, i vari personaggi canteranno inni o canzoni della loro terra: quasi una prefigurazione antelitteram della UE.
È chiaro che con una trama così inesistente, tutta la drammaturgia è affidata alla fantasia della messa in scena: ogni episodio, grande o piccolo, deve trovare una soluzione scenica, tale che illustri una musica estremamente espressiva, frizzante, effervescente, ironica, che più che i personaggi, o la loro psicologia, si appella alle situazioni, ai piccoli dissapori, ai piccoli dispetti, alle piccole preoccupazioni di questa eterogenea folla che deve andare a Reims. Siamo quindi nel teatro più tipico della commedia dell’arte.
I numeri musicali sono 9: dopo l’introduzione orchestrale, che descrive il sorgere del giorno e annuncia il bellissimo e allegro tema del viaggio, vi sono arie per i soprani, di grande virtuosismo e coloratura, con trilli, glissandi, acuti, etc., pur con differenze molto palesi: la gioia dell’aria di madame Cortese fa contrasto con la disperazione dell’aria della Contessa Folleville che ha perso i suoi vestiti alla moda; le arie di Corinna, sono invece improntate alla dolcezza e alla poesia, e accompagnate dal dolce suono dell’arpa; aria disperata per un amore che non si conclude ci viene da Lord Sidney in uno splendido duetto col flauto, mentre un aria tipicamente da buffo è offerta da don Profondo, che esamina i bagagli prima della partenza. Molto belli sono i duetti, il cavalier Belfiore che tenta, senza successo di sedurre Corinna, e il conte Libenskof che si deve far perdonare dalla marchesa Melibea. E infine i due grandi pezzi d’assieme: il sestetto e quello a 14 in cui l’invenzione rossiniana si sbizzarrisce nei modi più fantasiosi, con motivi che comunicano a volte disappunto (si pensi all’introduzione del brano d’assieme a 14, a cappella), a volte minaccia, a volte entusiasmo, a volte pace, a volte con pause improvvise e successivi ricuperi, e che si avviano a concludere con crescendi di grande forza propulsiva. Insomma una musica che per tutta la durata, non dà tregua, rapisce lo spettatore. Poi il finale: il famoso ritornello, con i balletti e quindi le canzoni-inni dei diversi paesi: l’inno tedesco e inglese, le canzoni russa, spagnola e polacca e francese, e infine la splendida aria tirolese, un vero e proprio jodler, di madama Cortese e Don Profondo.
Alla Scala. La messa in scena è quella famosa di Luca Ronconi, quella di Pesaro del 1984 e scaligera del 1985. Ronconi è qui nella sua forma migliore: fantasia e ironia sono le sue armi preferite. La scenografia, di Gae Aulenti, è semplice: sullo sfondo facciate di edifici ottocenteschi, spesso coperti da schermi bianchi (tre per l’esattezza, uno centrale sul fondo e due obliqui laterali) sui quali vengono fatte proiezioni: a volte si vede il corteo reale che procede verso la cerimonia di incoronazione, a volte si vedono i personaggi, come ad esempio la silhouette di Corinna quando, fuori scena, canta la sua prima aria, o anche altre proiezioni. Il piano del palcoscenico è diviso in due: uno più alto e una più basso, uniti da una scalinata; il piano inferiore si continua verso il pubblico con una passerella che di volta in volta funge da ingresso, luogo di fuga o di incontro dei personaggi. Alcuni dei personaggi giungono sul palcoscenico provenienti dalla sala, dando in questo modo la sensazione di una fusione molto divertente fra spazio della scena e spazio del pubblico. I costumi, di Giovanna Buzzi sono molto fantasiosi, arricchendo in questo modo le gestualità, i movimenti che si susseguono sulla scena, la teatralità dei personaggi. I colori si riferiscono spesso alla nazionalità dei protagonisti, spesso gli stessi sono avvolti dalle bandire del paese di appartenenza. Alcune idee sono state particolarmente apprezzate: per esempio l’immagine delle diligenza che si capovolge, rappresentata sullo schermo, oppure i balletti che danno inizio alla scena finale, eseguiti da splendide marionette gestite dall’alto dalla straordinaria Compagnia Marionettistica Carlo Colla e figli, oppure la presenza in scena di solisti come il flautista Davide Formisano e l’arpista Luisa Prandina.
Nel finale dell’opera mentre il coro intona il «Viva la Francia e il Prode Regnatore», dall’ingresso della sala entra il corteo Reale che sullo schermo avevamo visto percorrere la Galleria Vittorio Emanuele e avvicinarsi alla facciata del teatro. L’opera finisce col re incoronato seduto in trono al centro del teatro. Finale ironico come si conviene al clima di tutta l’opera.
L’esecuzione musicale è stata all’altezza. I personaggi dell’opera sono molti: vale la pena di ricordare i principali. Anzitutto il direttore, Ottavio Dantone, che ha diretto l’orchestra con leggerezza, ma che non ha esitato a forzare la mano nei travolgenti crescendo facendo ritrovare agli spettatori il Rossini più esaltante.
I tre soprani: Carmela Remigio (Madama Cortese), Annik Massis (Contessa Folleville) e soprattutto Patrizia Ciofi (Corinna) hanno sciorinato tutto il repertorio del virtuosismo canoro femminile in arie di coloratura di grande impatto emotivo. Alla stessa altezza il mezzosoprano Daniela Barcellona (Marchesa Melibea), con la sua bellissima voce rossiniana e le sua grande bravura tecnica. Anche fra i personaggi maschili: sia i due tenori, Juan Francisco Gatel (voce più morbida, elegante nella parte del Cavalier Belfiore) e Dmitri Korchak (maggior potenza e drammaticità di emissione nella parte del conte Libenskof), sia i due bassi: Nicola Ulivieri (fantastico don Profondo) sia Bruno Praticò (il barone Trombonok) e per finire i due baritoni Fabio Capitanucci Don Alvaro) e Alastair Miles (Lord Sidney). Una menzione particolare al coro della Scala, sempre di altissimo livello, guidato da Bruno Casoni.
Musica e azione teatrale si sono sviluppate in un matrimonio strettissimo che ha avvolto gli spettatori, stregandoli letteralmente. La cosa che mi ha colpito, è stata che gli applausi alla fine dei vari numeri sono stati pochissimi, quasi che il pubblico non volesse disturbare lo svolgersi dell’azione. Ma l’entusiasmo alla fine dell’opera è stato veramente travolgente, testimoniato dagli applaudi fragorosi e ripetute grida di “bravi!”.
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Leggi l’analisi musicale di Marie-Aude Roux su ASO