A UN CERBIATTO ASSOMIGLIA IL MIO AMORE, di David Grossman

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Questa è la recensione che Mariella Canaletti ha scritto sul periodico online NOTAM dell’11 maggio 2009, n° 329. Riporto questa, invece di scriverne una io, perché l’ho trovata perfetta. I miei tentativi sono finora miserevolmente naufragati davanti alla complessità di questo capolavoro. Posso aggiungere una sola cosa: Grossman for Nobel Award!!!

DOVE LA NORMALITÀ È UN MIRACOLOSO INTERVALLO

Ho sentito parlare in TV, qualche settimana fa lo scrittore israeliano David Grossman, di cui conosciamo l’impegno, come scrittore, nel processo di pacificazione fra il popolo di Israele e i palestinesi, come pure ci è nota la sua personale tragedia con la morte del figlio Uri, nelle ultime ore della seconda guerra del Libano.

È stata questa l’occasione per affrontare il suo ultimo libro, dal titolo in italiano tratto dal Cantico dei Cantici, A un cerbiatto assomiglia il mio amore (Mondadori, 2008, pag. 781, euro 22,00), superando una certa reticenza dovuta alla mole consistente, e all’alone di grande tristezza che lo accompagnava; ma il discorso udito direttamente dall’autore, espresso con un linguaggio limpido, fluente, ricco, mi ha davvero affascinato, e spinto a conoscere il suo racconto, che nel titolo originale ebraico suona più o meno come una donna in fuga dall’annuncio. Cerco quindi di dire quello che ho provato leggendo, senza la pretesa di esaurire le tante riflessioni che il testo può suscitare.

Sicuramente la lettura del libro di Grossman richiede una grande concentrazione, come del resto anche altri suoi scritti; ma in questo la vastità dello scenario e la ricchezza della trama sembrano toccare temi che riguardano l’intero mondo.

L’inizio è senz’altro cupo, quasi scoraggiante: durante la guerra dei sei giorni, in un piccolo ospedale di Gerusalemme, sono rimasti soli, in isolamento, tre sedicenni: Orah, ragazza bella e non comune, chiusa in se stessa dopo la morte improvvisa dell’unica grande amica; Avram, che fa dimenticare la sua bruttezza con straordinarie doti di sensibilità, intelligenza e fantasia, e Ilan, diversissimo dal compagno per aspetto e carattere, serio, riflessivo, sognatore. Fra i giovani, nel buio e nella sofferenza della malattia, si crea un legame forte, indistruttibile, che segnerà tutto il loro futuro.

Parecchi anni dopo, troviamo Orah ormai matura, madre di due figli, sposata a Ilan e inaspettatamente da lui abbandonata; e mentre il marito vaga lontano, insieme al primo figlio Adam, e la donna si prepara, pur nella sofferenza della solitudine, a festeggiare la fine del servizio di leva del secondo figlio Ofer, questi si offre volontario per una missione in Cisgiordania.

In preda a un atroce presentimento, Orah fugge da casa, per non ricevere dagli ufficiali dell’esercito, come da protocollo, una notizia di morte; cerca Avram, distrutto anni prima nel fisico e nello spirito da un anno di prigionia in Egitto, al quale è rimasta in ogni circostanza legata da amicizia e grande affetto, e con lui inizia un cammino che si snoda in molte strade, e ripercorre, nel ricordo e nell’emozione, gli eventi più significativi della loro storia. Il viaggio terminerà, e nulla è esplicitamente detto.

Simbolo di una maternità assoluta e totalizzante, Orah è il personaggio centrale attorno al quale si sviluppano alcuni dei temi fondamentali del libro: la guerra, che non consente una vita normale, porta a infrangere anche il principio supremo di non sparare ai ragazzini, mai, e inquina ogni rapporto con gli arabi, fino a rompere anche la più consolidata amicizia e a guardarsi di sottecchi, tremanti, astiosi; la passione e l’amore, che si sviluppano nei modi più impensati, al punto di chiedersi come si possa utilizzare la stessa parola per descrivere sentimenti tanto diversi; il legame con la terra, elemento essenziale di sopravvivenza, perché solo qui, in questo paesaggio, tra queste rocce, questi ciclamini, sotto questo sole e parlando in ebraico, la vita aveva senso; e soprattutto l’amore per i figli, assoluto appunto, ma non scevro da clamorosi errori e irrazionalità.

Alla fine, è rimasta, persistente, la sensazione di essermi accostata a un libro raro, che nel racconto è capace di mettere a nudo ogni aspetto, ogni sfumatura delle diverse personalità e situazioni, proiettando il tutto nel clima esasperato in cui la normalità è vissuta come miracoloso intervallo. Rimane, al termine della lettura, la consapevolezza di essere diventata una persona diversa.

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