Omar Mukhtar, il leone del Deserto – di Moustapha Akkad

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L’interesse che mi ha suscitato questo film è dovuto principalmente a due fattori: il primo è un film sulla repressione coloniale in Libia effettuata dall’esercito italiano, soprattutto sotto il fascismo; il secondo è che la proiezione di questo film è stata vietata da Andreotti in quanto in esso si configura il vilipendio delle forze armate dello Stato.

Il film è del 1981, ed è stato voluto e finanziato da Geddafi. Il regista, Akkad Moustapha, è un arabo che vive negli USA. Nel film hanno recitato attori di rilievo, americani (Anthony Quinn nella parte di Al Mukhtar, Oliver Reed della parte del generale Graziani, Rod Steiner nella parte di Mussolini) e italiani, come Raf Vallone e Gastone Moschin.

Il film è lunghissimo: dura quasi tre ore.

Il contenuto del film è sconvolgente: la repressione della guerriglia anticoloniale da parte delle truppe italiane è stata feroce, come d’altra parte è immaginabile che sia stata la repressione degli eserciti francese, inglese e spagnolo per reprimere le ribellioni dei beduini, abitanti dell’Africa settentrionale a nord del Sahara.  Nel film vengono impietosamente mostrate immagini di impiccati in fotografia dell’epoca, come simbolo della repressione; vengono riprodotti i campi di concentramento in filmati aerei anch’essi dell’epoca, nei quali venivano ammassati i civili abitanti nelle zone dell’interno e sospettati di sostenere e approvvigionare i guerriglieri che si battevano contro l’occupazione italiana. Siamo negli anni che vanno dal 1929 al 1931.

Il film inizia mostrando Mussolini che incarica il generale Graziani di affrontare e reprimere la guerriglia beduina che fin dal lontano 1911 si oppone all’autorità coloniale italiana. Graziani assume il comando e mostra fin dall’inizio una grande spietatezza. I guerriglieri libici sono guidati da Omar Mukhtar, insegnante in una scuola coranica, persona colta, mussulmano fervente, e deciso a non soggiacere al colonialismo e a difendere i diritti del proprio popolo ad abitare e possedere la loro terra, in gran parte a loro tolta per essere data ai coloni italiani.

La sfida fra i due leader si prolunga per tutto il film fra attacchi, cariche di cavalleria, dispiegamento di carri armati, imboscate, massacri, tutto l’arsenale cinematografico per descrivere una guerra per bande contro un esercito invasore. Naturalmente gli italiani, impersonati da squadre in camicia nera, marcianti al suono dell’inno “Giovinezza”, guidati da ufficiali feroci ma stupidi, subiscono pesanti perdite. Anche le armi moderne, come aviazione e carri armati hanno un’efficacia limitata contro lo spirito di guerriglieri che lottano per la loro terra. E i massacri si susseguono, con sorti alterne, ma sempre in modo che la repressione, nonostante la ferocia e la crudeltà anche contro la popolazione civile, non riesce ad aver ragione della resistenza, neppure dopo avere costruito campi di concentramento e barriere di filo spinato in modo da isolare i combattenti beduini e di impedire loro di ricevere rifornimenti.

Alla fine Omar viene fatto prigioniero. I beduini, rimasti in pochi e privi di rifornimenti, circondati, cercano di salvarsi disperdendosi. A Omar viene ucciso il cavallo, mentre egli stesso viene ferito a un braccio. Il film si conclude con un incontro scontro verbale fra Graziani e Al Mukhtar, che gli tiene testa, contestandogli il diritto di governare un terra non sua, strappata ai suoi legittimi proprietari, i beduini. Graziani al termine del colloquio, darà l’ordine di processarlo e di impiccarlo. A niente varrà l’accorata difesa dell’avvocato d’ufficio, che sosterrà la tesi del prigioniero di guerra. Omar Mukhtar verrà impiccato davanti a una folla silenziosa. Fra la folla, un bambino in prima fila guarderà con rabbia la scena. Non è difficile immaginare che quel bambino dovrebbe essere lo stesso Gheddafi.

Da una parte il film fa conoscere eventi che vengono pudicamente taciuti nelle nostre scuole ma anche nei giornali e nei mezzi di informazione. L’Italia è stata una potenza coloniale, e il fascismo, che ne ha ricevuto l’eredità, l’ha arricchita di crudeltà particolari, fra le quali, anche l’uso di gas asfissianti. Inoltre ci fa conoscere la lotta di un popolo che si è opposto validamente alla colonizzazione, e le gesta di un leader, Omar Mukhtar che si ammanta di un’atmosfera eroica, al di là dell’esaltazione che il dittatore libico ne fa.

Dall’altra non si può negare che il film è veramente brutto: prolisso, caricaturale quando vuole sottolineare gli aspetti più crudeli della repressione e della ferocia dei comandanti italiani; banale quando mostra scene di battaglia, con inverosimili cariche di cavalleria contro carri armati. Gli stessi personaggi, principali o secondari, appaiono scontati (il tenentino che si ribella e non vuole dare l’ordine per l’esecuzione di una donna; il colonnello rispettoso della correttezza militare che vorrebbe che ad Omar prigioniero fossero riservati gli onori militari e che piange al momento della sua impiccagione; il tenente feroce che uccide alle spalle il tenentino pietoso, che non esita a sparare e a uccidere i feriti, etc.).

Un film sugli orrori del colonialismo, sull’eroismo delle popolazioni autoctone che non si sono piegate, avrebbe meritato ben altra qualità. Non mi è stato possibile non ripensare al romanzo di Le Clèzio come Deserto, di ben altro spessore, dove anche lì un popolo del deserto, i Sahrawi, cercano di sopravviere, mediante interminabili migrazioni alla pressione coloniale francese e spagnola.

2 Commenti a “Omar Mukhtar, il leone del Deserto – di Moustapha Akkad”

  1. ALFERAZZI GIAMBATTISTA scrive:

    “Il Leone del Deserto” (alias Omar el Mukhtar, il leggendario padre della patria Libica) è un film, ben diretto ed interpretato, che narra una delle pagine più vergognose del nostro passato coloniale in Libia con il quale stentiamo a fare i conti fino in fondo, prova ne sia la censura che fino a qualche tempo fa ha impedito la circolazione della pellicola di Moustapha Akkad in Italia, ritenuta “lesiva della dignità nazionale”.
    Il periodo storico nel quale si inquadrano i fatti raccontati nel film è quello dei primi anni 30’, quando il regime fascista, che definiva pomposamente il nostro paese “impero italiano”, affidò al generale Graziani, il compito di liquidare la resistenza libica.
    Questi, ordinando di dare alle fiamme interi villaggi, di bombardare le oasi con attacchi aerei, di impiegare gas letali ed altre armi chimiche, di avvelenare pozzi di acqua potabile, di giustiziare migliaia di resistenti, di trasferire più di 100.000 libici in oltre una decina di campi di concentramento ed altre spietate efferatezze si guadagnò meritatamente il soprannome di “macellaio” e, alla fine, forte di un contingente di 20.000 uomini, nonché di mezzi moderni ed efficienti riforniti con larghezza, sconfisse Omar el Mukhtar che, tuttavia gli diede filo da torcere riuscendo a tenergli testa a lungo con poche migliaia di combattenti e con mezzi bellici inadeguati. L’eroe libico venne catturato e, dopo un processo farsa, assassinato.
    Il film, riproducendo con fedeltà gli avvenimenti narrati che ancora oggi non trovano ospitalità nei libri di storia in uso nelle nostre scuole, fa opera di memoria storica, operazione salutare in un Paese che deve ancora riflettere, studiare, analizzare per superare la paura della sua storia e conquistare maturità.
    Giambattista Alferazzi

  2. Rudy scrive:

    Ti ringrazio del commento e delle precisazioni. Sono assolutamente d’accordo con te sulla vergogna della repressione che il fascismo ha operato contro la popolazione e i movimenti di liberazione libici. Altrettanto atroce e vergognosa è stata l’aggressione che il fascismo ha esercitato contro l’Etiopia nel 1935, e della quale non se ne parla quasi.
    Non sono invece d’accordo con te sulle qualità del film: mi sono sembrate decisamente scadenti. Ribadisco il concetto espresso nell’ultimo capoverso del mio post. L’argomento di cui il film tratta avrebbe meritato ben altro: pensiamo, ad esempio, cosa avrebbe potute realizzare un Ken Loach.

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