LA CROCE E LA SFINGE, di Pierluigi Panza

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È un romanzo biografico: la biografia romanzata di Giovan Battista Piranesi e della sua vita “scellerata”. Panza è giornalista e docente universitario, esperto di storia dell’arte. Il libro è ricchissimo di informazioni, ripercorre la vita dell’artista, le sue opere, la sua passione di collezionare frammenti dell’antichità, le sue ambizioni, le sue frustrazioni, le sue teorie, le discussioni e i contrasti con altri studiosi dell’epoca. Il romanzo non si ferma con la sua morte, ma prosegue con la vita e l’attività del figlio Francesco.

Purtroppo ciò che non mi è piaciuto è il suo presentarsi come “romanzo”. In una biografia romanzata io mi sarei aspettato di trovarmi di fronte a un personaggio vivo, magari ricostruito ricorrendo anche alla fantasia, ma vivo, protagonista di fatti, eventi, scontri, in cui l’aspetto psicologico, caratteriale emerge come protagonista, come richiamo continuo magari anche per capire meglio la nascita delle sue passioni, le motivazioni profonde (o supposte tali) delle sue ricerche. Cioè una biografia romanzata dovrebbe essere via di ingresso per un profano dove immedesimarsi e capire un periodo di storia dominato dalla figura di cui si intende raccontare la biografia.

Questo mi sembra che non emerga dal romanzo. L’accenno alla vita scellerata, più volte richiamato, non va al di là di affermazioni di persone che hanno con lui qualche rapporto.

La figura di Piranesi emerge piuttosto in quelle che sono state le vicende “pubbliche” della sua vita. Egli ci viene presentato come un artista ambizioso, amante dell’archeologia, degli scavi, collezionista di reperti, misuratore di monumenti antichi, apprezzato incisore e disegnatore di ruderi archeologici, polemista indefesso, ricercatore di reliquie, studioso delle origini dell’architettura latina, etc. Il Piranesi uomo, la sua psicologia profonda, la sua quotidianità che ne influenza pensieri, comportamenti etc., emerge solo a tratti e non aiuta un granché.

 

Gli aspetti del libro che mi sono parsi più interessanti sono sostanzialmente tre, legati fra di loro.

Il primo, è il legame del Piranesi con i cavalieri ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme (quelli che successivamente sono stati definiti i Cavalieri di Rodi e poi di Malta), e la sua appartenenza alla Religione gerosolimitana. Questa sua appartenenza è collegata allo stretto rapporto che il Piranesi, veneziano di origine, aveva con la famiglia Rezzonico, famiglia veneziana imparentata con il papa Clemente XIII, e soprattutto con monsignor Giovanni Battista Rezzonico, priore dei cavalieri.

In secondo luogo, questo rapporto è stato fondamentale per la vita del Piranesi e per le sue ambizioni. La sua ambizione principale era quella di diventare architetto, un po’ come il suo modello preferito, il Borromino. Proprio per intercessione di Gian Battista Rezzonico gli fu possibile mettere mano ad un’opera di una certa importanza: il restauro se non il vero e proprio rifacimento della chiesa di Santa Maria del Priorato, sul colle Aventino. Si trattava di una modesta costruzione alla quale i cavalieri ospitalieri facevano riferimento quando venivano a Roma. Piranesi ne rifece la facciata, ne ampliò le absidi, ne arricchì le cappelle laterali dove dovevano essere tumulati personalità importanti, fra cui lo stesso Giovanni Battista Rezzonico (cosa che però non avvenne). Questa fu la sua unica opera come architetto. La morte di papa Clemente XIII sottrasse un appoggio determinante alla religione gerosolimitana e quindi a lui stesso.

Il terzo aspetto di interesse nella vita di Piranesi, sono le sue teorie sulla genesi dell’architettura latina. A differenza di Winckelmann e di altri studiosi (suo acerrimi avversari) che vedevano l’architettura latina come una derivazione dall’architettura greca, Piranesi sostenne sempre che l’architettura latina aveva una provenienza medio-orientale, e in particolare dal tempio di Salomone di Gerusalemme, le cui dimensioni e i cui rapporti dovevano essere fatti risalire a misure di natura divina. Quindi, da ciò la natura sacra, e rapportabile alla religione gerosolimitana dell’architettura latina e romana nella sua evoluzione.

In rapporto a questo punto di vista, si faceva riferimento alle Crociate e alle reliquie che i cavalieri ospitalieri, come anche i cavalieri templari (ordine affine ai cavalieri ospitalieri), portarono in Italia, a seguito delle guerre contro i musulmani e delle sconfitte subite.

Questo problema delle reliquie, della loro ubicazione, della loro appartenenza, rappresentò una fonte di mistero, al quale anche lo stesso Piranesi prese parte.

Alla sua morte le polemiche si accesero ulteriormente, con riferimento a luoghi segreti della chiesa di Santa Maria del Priorato nei quali Piranesi avrebbe nascosto reliquie.

La storia di Piranesi continua con il figlio Francesco, anch’egli sottoposto alle vicende torbide di una storia che culminò nella rivoluzione francese, nell’avvento al potere di Napoleone, e nella quale il potere e la ricchezza degli ordini cavallereschi (ospitalieri e templari) ben lontano dal favorirli, li condusse allo sterminio, soprattutto i templari.

 

Il libro è molto ben documentato, e per un cultore della materia, sicuramente da conoscere. Molte delle incisioni, dei disegni e delle tavole eseguite dal Piranesi, sono riportate nelle pagine del libro, forse in dimensioni un po’ piccole e non sempre chiarissime. Magari alcune di queste tavole possono poi essere meglio consultate su Internet, dove si può trovare molto del materiale citato nel libro.

Anche l’unica opera architettonica del Piranesi, la chiesa di Santa Maria del Priorato è descritta in modo molto dettagliato, con specifici riferimenti ai lavori eseguiti dal nostro artista.

Detto questo, sento il dovere di aggiungere che per un profano della materia, come me, il libro è pesante, spesso poco chiaro e forse neppure eccessivamente utile alla lettura.

 

2 Commenti a “LA CROCE E LA SFINGE, di Pierluigi Panza”

  1. paolo levarato scrive:

    Penso che la figura del Piranesi meritasse più rispetto dall’autore in quanto , la ricostruzione della vicenda umana ed artistica tende a restituire una immagine fosca e negletta di uno dei più grandi incisori ed innovatori del linguaggio stilistico del suo tempo , precursore di altre stagioni più recenti dell’arte .
    Il gioiello di Santa Maria del Priorato è da tutti considerato come un capolavoro del settecento romano e non una carnevalata come ci fa intenere Panza…..!
    Credo che il libro sia il risultato di una ricerca accademica probabilmente sterile , visto che dietro alla pedanteria dell’autore nello sciorinare date e documenti non si intravede affezione per il protagonista ne slancio letterario.

  2. Rudy scrive:

    Ti ringrazio del commento. Hai dato dei chiarimenti che, certamente utili a me, penso che lo saranno anche per altri che avranno la ventura di leggere il libro e la pazienza di leggere queste note. Grazie ancora
    Rudy

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