I CANI DI RIGA, di Henning Mankell
Un canotto alla deriva viene avvistato da Holmgren, un contrabbandiere che fa la spola fra la costa svedese della Scania e la costa settentrionale della ex-DDR. Nel canotto ci sono due cadaveri. Holmgren non vuole pasticci, e quindi non denuncerà il ritrovamento, ma farà in modo che i due cadaveri vengano ritrovati dalla polizia svedese.
A questo punto parte l’inchiesta di Kurt Wallander. I due cadaveri non sono svedesi, ma vari indizi attribuiscono la loro provenienza a paesi dell’Est, probabilmente da qualcuno degli stati baltici, in particolare la Lettonia. A questo proposito verrà inviato a Ystad, sede del commissario Wallander che condurrà le indagini, un poliziotto lettone, il maggiore Karlis Liepa. Si tratta di un poliziotto dall’apparenza modesta, ma dalla grande capacità investigativa. Egli riconosce immediatamente che i due cadaveri appartengono alla mafia russa dedita al traffico di droga, e che probabilmente sono stati uccisi per ritorsione.
Siamo nei primi mesi del 1991. L’Impero sovietico si sta dissolvendo. Negli stati baltici si manifestano sempre più spesso manifestazioni in favore dell’indipendenza e della libertà, in contrasto con la minoranza russa che detiene il potere e che vorrebbe che fossero mantenuti i legami con l’Unione Sovietica e soprattutto i loro privilegi. Karlis Liepa si rende conto che la mafia russa si è inserita nel gioco mortale fra dittatura e privilegi da una parte e lotta per la libertà dall’altra. Si tratta quindi di sapere chi ha ucciso i due individui e i motivi per cui l’ha fatto. Ma queste indagini non si possono svolgere in Svezia. Occorre riprendere le indagini a Riga. Karlis Liepa rientra in patria, ma poche ore dopo il suo arrivo viene assassinato. A questo punto la polizia lettone chiede la cooperazione di Wallander. A Riga il commissario si rende subito conto che la situazione è complicata. Anzitutto la polizia è diretta de due ambigui colonnelli, Putnis e Murniers che, si vede subito, sono ostili l’uno all’altro. In secondo luogo egli viene affidato alle cura di un sergente, il sergente Zids. Non si capisce quanto la sua presenza gli sia di aiuto, e quanto di sorveglianza. In terzo luogo non riesce a capire il senso della sua presenza a Riga. Di una cosa tuttavia il commissario si accorge: che nella lotta fra le opposte fazioni, Liepa era legato alla fazione indipendentista, e stava conducendo indagini per incastrare alti funzionari e politici della fazione filosovietica, che erano in combutta con la malavita. Di fatto, Liepa aveva scoperto un complotto criminale. Quella è la direzione verso la quale occorre indagare. Ma i suoi poteri non glielo consentono. Anzi, la polizia arresta una persona (un indipendentista noto a Wallander) che confessa di essere l’assassino di Liepa. Il caso sembra chiuso, e Wallander, senza aver dato alcun contributo ufficialmente, ritorna in patria. Ma prima della partenza la fazione indipendentista, capeggiata dalla moglie di Liepa, Baiba, gli chiede di ritornare in incognito. Karlis Liepa probabilmente ha nascosto dei documenti che incastrano alte personalità che si oppongono all’indipendenza della Patria. Occorre trovarli e magari farli pubblicare all’estero per smascherare i corrotti.
Con l’aiuto di un’organizzazione clandestina di fuoriusciti lettoni, Wallander ritorna a Riga, e a seguito di varie peripezie porta naturalmente a termine la propria missione, come era da aspettarsi.
Pregi e difetti del libro.
Pregi
La scelta dell’ambiente. Almeno per me avvicinarsi a una società del tutto sconosciuta come quella degli stati baltici ha rivestito un certo interesse. Per esempio il fatto che la minoranza russa fosse fatta emigrare a forza per creare un testa di ponte al potere sovietico, assomiglia molto alla migrazione di popolazione italiana in Alto Adige avvenuta durante il fascismo. Come dire che tutto il mondo è paese. Oppure il fatto che il processo di indipendenza degli stati baltici dall’URSSS, iniziato sotto Gorbačëv, abbia avuto tensioni altissime (la strage provocata dai baschi neri nel 1990), che sia andato a rischio di una vera e propria guerra civile, ma che poi si sia risolto negli ultimi mesi del 1991, se non pacificamente, quasi. Naturalmente del quadro fanno parte il grigiore e la povertà di una società quale si era concretizzata negli stati soggetti all’Impero Sovieticon nei lunghi anni del secondo dopoguerra.
La caratterizzazione di alcuni personaggi. Sicuramente Wallander, appare come un commissario di polizia molto umano, che fa una vita di lavoro, senza eroismi, con competenza, ma senza strafare, e con qualche errore, non sempre veniale. Non siamo certo a livello di un Maigret, ma anche Wallander diventa simpatico al lettore. Degli altri personaggi, un disegno abbastanza convincente ci raffigura Karlis Liepa. Gli altri sono poco più che ombre. Un personaggio completamente fallito è la moglie di Liepa, Baiba, che vorrebbe essere un personaggio ammirevole, mentre si dimostra solo un misto di orgoglio, fragilità, indifferenza etc. senza che ne esca un carattere compiuto.
I difetti.
La trama. Molto complicata e non sempre coerente in ogni parte. Partire da due cadaveri di malavitosi per arrivare all’indipendenza della Lettonia costringe a un percorso molto complicato, e non sempre lucido. Malavita, vicende politiche, delitti vari si collegano attraverso scorciatoie e identificazione di personaggi che finiscono per avere il difetto di banalizzare, oltre che semplificare, quello che certamente è stato un processo di grande difficoltà e di grandi coinvolgimenti quale l’indipendenza degli stati baltici.
Il finale. Troppi colpi di scena. Vorrebbero aumentare l’inaspettatezza della soluzione, ma finiscono solo per prolungarla senza per questo causare maggiori sorprese. Poi, come molti, troppo finali di gialli o thriller, anche qui, per sciogliere intrighi diventati troppo complessi per sviluppare una soluzione all’interno di situazioni già note, gli aspetti chiavi attorno ai quali ruota la soluzione devono ricorrere all’introduzione di personaggi o situazioni ex novo, che tolgono o attenuano il carattere di sorpresa finale. È il difetto peggiore della grande maggioranza dei thriller o gialli moderni, e fa rimpiangere i gialli della Chistie, o di Wallace, per non parlare dei capolavori di Poe o di Simenon.