LA BOHÈME im Hochhaus a Berna nel settembre 2009 (Diretta TV)
Il 29 settembre del 2009 Felix Breisach ha prodotto una rappresentazione della Bohème in un condominio che si richiama a quella della Traviata nella stazione ferroviaria di Zurigo di un anno prima (settembre 2008).
Anche in questo caso, come nel caso della Traviata, la rappresentazione non era visibile come una rappresentazione teatrale: l’orchestra era sistemata in un settore, mentre i cantanti agivano all’interno e all’esterno di un condominio bernese. Il tutto era assiemato mediante comunicazioni microfoniche radio e proiettato sullo schermo televisivo, in modo che l’opera scorresse in modo uniforme.
Solo in questi giorni ho avuto l’occasione di vederne la registrazione fatta da ARTE.
Rispetto alla Traviata di un anno prima, a mio avviso, questa produzione si è rivelata meno penetrante. Come ho scritto sul mio blog a suo tempo, la Traviata mi aveva convinto, riuscendo a trasformare un ambiente naturale come l’interno di una stazione ferroviaria in un campo-scenico. La vicenda si svolgeva senza perdere nulla della sua intensità e delle emozioni che la stupenda musica di Giuseppe Verdi è in grado di provocare. La storia d’amore di Alfredo e Violetta era perfettamente credibile anche se, invece di avere come sfondo i ricchi saloni del demi-monde parigino dell’Ottocento, si svolgeva in mezzo a una folla di viaggiatori, a treni in partenza, a bar affollati etc.
La rappresentazione della Bohème in un condominio mi è sembrata un po’ la ripetizione di un’idea originale (e quindi non più così originale). Poi, mentre nella Traviata l’ambiente di una stazione, ricco di movimento, di luci, di folla poteva entrare in competizione col ricco ambiente del demi-mond parigino, ciò non si è realizzato nella Bohème. Qui l’ambiente doveva essere necessariamente povero, per rappresentare in modo convincente quello dell’opera, che ha per protagonisti artisti bohemien. Ma nella rappresentazione l’ambiente, più che povero, mi è parso squallido. E questo mi ha dato un senso di fastidio, almeno inizialmente.
A parte l’ambientazione, comunque l’opera è corsa lungo un tragitto abbastanza fedele alle didascalie del libretto. Non è mancato il focherello acceso con le pagine del lavoro teatrale di Rodolfo giù in un locale di servizio, la visita di Benoit (Lionel Peintre, all’occasione nel giardino del condominio anziché in casa, ma poco importa) con quel che segue, la visita di Mimì alla quale si era spenta la candela e che veniva per chiedere un po’ di luce a Rodolfo, la vigilia di Natale da Mamus qui rappresentato da un banale (e squallido) self-service da Supermercato, un po’ di shopping (la cuffietta rosa), anche fuori tema, con Alcindoro (un goffo Bernd Gobhardt) che compra un paio di scarpe a Musetta, i giocattoli di Parpignol (Mariusz Chrzaniowski) con i ragazzini che fanno casino attorno, lo show di Musetta (Eva Liebau) sui tavoli del self-service, il suo improvviso dolore “al piè!”, etc. Tutto corre secondo le regole, anche nel terzo atto, nel quale la trattoria della cinta muraria di Marcello (Robin Adams) e Musetta è sostituita da un bar al pian terreno del condominio, o nel quarto atto, dove si ritorna nello squallido appartamento del condominio che ospita i quattro bohemien e dove si concluderà l’opera con la morte di Mimì.
Tutto negativo, dunque in questa Bohème im Hochhaus? Secondo me no. Il direttore, l’a me sconosciuto Srboljub Dinic, ha saputo compiere l’impresa di tenere assieme orchestra e cantanti in una condizione certamente non facile. La regista Anja Horst ha saputo far funzionare molto bene i cantanti attori che, al di là dello squallore ambientale, al di là di contraddizioni insanabili con il libretto (la candela come fonte di luce in un condominio!!, oppure i doganieri che ovviamente in quell’ambiente non avevano senso), hanno dato una interpretazione molto intensa ai personaggi. E cito soprattutto il Rodolfo di Samir Pirgu (una bellissima voce) e la Mimì di Maya Boog, che hanno esaltato la commuoventissima musica di Puccini nei momenti cruciali del loro amore: la scena del primo atto che comincia con la ricerca della chiave e si sviluppa nelle due arie in successione, il duetto-quartetto finale del terzo atto quando i due si ritrovano dopo un litigio e, finalmente, il finale del quarto atto, dall’ultimo duetto fino alla fine. In quest’ultimo duetto la regista ha voluto compiere una digressione dal testo del libretto. Mimì, pur nelle gravissime condizioni è uscita dal condominio, e Rodolfo corre a cercarla e la trova fra la folla. Dal punto di vista della verosimiglianza la scena non ha molto senso, ma dal punto di vista dell’emozione ne ha tantissimo. Rodolfo e Mimì si aggrappano a questo duetto con una intensità veramente superlativa (come mi accade spesso, durante questo duetto non riesco a trattenere le lacrime, e in questa rappresentazione mi è avvenuto ancor più del solito!), e vengono via via circondati dagli amici, che li accompagnano a un autobus fermo che li aspetta. Mimì morirà seduta sui gradini dell’autobus. Allora l’autobus chiuderà le portiere e si avvierà non si sa dove, lontano, portando con sé il cadavere di Mimì e la disperazione di Rodolfo.
Insomma, se la fredda ragione può trovare motivi di critica a questa rappresentazione, l’emozione, la mia emozione, così intensamente sollecitata, non può che essere espressa senza riserve.