DAS RHEINGOLD Considerazioni sulla rappresentazione scaligera

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La sera della rappresentazione è stata la sera dell’incontro di calcio più atteso dai milanesi: la finale della coppa dei campioni che vedeva l’Inter contendere il titolo di campione d’Europa al Bayern di Monaco. L’incontro si svolgeva a Madrid, ma in piazza Duomo vi era un gigantesco schermo televisivo che aveva attratto una folla imponente, in modo da rendere il percorso dalla stazione del metro alla Scala piuttosto faticoso.

Come in occasione del Simon Boccanegra, la rappresentazione dell’opera è stata preceduta da una breve manifestazione delle maestranze contro il decreto Bondi, e loro richiesta al pubblico di comprensione e solidarietà . Come allora, il pubblico ha generosamente applaudito, anche se vi è stata qualche contestazione.

La rappresentazione. Innanzitutto credo che sia opportuno osservare che si tratta della prima tappa del progetto scaligero di rappresentare, nel giro di tre-quattro anni tutta la Tetralogia wagneriana sotto la direzione di Daniel Barenboim e con la regia di Guy Cassiers, in collaborazione con la Staatsoper unter den Linden di Berlino. La rappresentazione di Die Walkure aprirà la stagione operistica del 2010-2011, mentre la rappresentazione del Siegfried è prevista per l’ottobre del 2012 e quella del Götterdämmerung per il maggio del 2013.

Indubbiamente l’interesse di questa Tetralogia sta in gran parte nella direzione di Barenboim, considerato oggi uno dei direttori wagneriani più interessanti (si ricorderà la sua precedente direzione integrale del Ring a Bayreuth nel 1992 con la regia di Harry Kupfer), e nella innovativa regia di Cassiers, regista fiammingo, nuovo all’opera ma con un’importante carriera come regista e autore nel teatro di prosa.

L’impostazione registica: la definirei tradizionale nella struttura, ma molto innovativa nella parte che riguarda la costruzione scenica.

Dal punto di vista della struttura, la vicenda è basata sul noto contrasto fra dei, in particolare fra gli elfi luminosi da una parte, i giganti dall’altra e, come terzo incomodo, il nibelungo Alberich. Ovviamente l’elemento sostanziale ne è il potere, quale è raffigurato sia nel Castello, la cui costruzione è stata affidata ai giganti, sia nell’anello ricavato da Alberich dall’oro del Reno con la sua rinuncia all’amore, sia nelle facoltà di Freia, l’unica dea in grado di coltivare i frutti dell’eterna giovinezza. Questo scontro, nel quale Loge funge in certa misura da servo di parte, ma anche da ironico testimone, si concluderà, come è noto con il trionfo degli Elfi luminosi; trionfo transitorio, tuttavia, addirittura illusorio, come lo definisce Loge nell’ultimo monologo, e come avrà profetizzato Erda, la dea che incarna la Natura originale, e che nel suo sonno eterno è estranea alle lotte per il potere.

Dal punto di vista scenico invece, la regia offre soluzioni innovative e secondo me molto interessanti. Gli strumenti su cui fondamentalmente viene costruita sono sostanzialmente tre: i costumi dei protagonisti, lo sfondo scenico e l’uso di un piccolo e fondamentale corpo di ballo.

Anzitutto i costumi: tradizionalmente essi contribuiscono a definire l’epoca o il tempo o anche l’ambiente nel quale si svolge la vicenda. In questa rappresentazione i costumi non danno alcuna indicazione di questo tipo. Sono costumi che hanno più una funzione estetica che quella di definizione ambientale, e, sotto un certo aspetto, anche quella di marcare la differenza dei ruoli. Wotan ha un elegante vestito in doppio petto color grigio, pur avendo sempre con sé la famosa lancia. Gli altri dei, e gli stessi Alberich e Mime, vestono costumi alquanto improbabili: casacche apparentemente impolverate, scolorite e sbrindellate con calzoni più scuri ricoperti parzialmente da cuoio, che non si possono far risalire ad alcuna epoca né ad alcun ambiente in particolare; i giganti indossano vestiti a giacca neri, senza travestimenti in grado di dilatarne statura e dimensioni; le donne, ninfe e dee, hanno costumi ricchi, con gonne ampie e lunghe, che potrebbero far pensare a vestiti di nobildonne di epoche genericamente passate, con pettinature acconce.

Lo sfondo scenico: si tratta di uno spazio sul quale una sorta di proiezione cangiante nel corso della vicenda, offre soluzioni ambientali capaci di accogliere lo svilupparsi degli eventi; ma non è solo quello. Dà anche agli eventi stessi la caratterizzazione che coinvolge gli aspetti più strutturali.

Ad esempio la prima scena vede al centro sul fondo un quadrilatero nel quale una proiezione azzurra continuamente cangiante dà la sensazione delle onde provocate dallo scorrere dell’acqua del Reno. Naturalmente il colore azzurro si cangerà in color d’oro al momento opportuno. Lo spazio scenico, nel quale le ninfe giocano e Alberich le insegue, per tutta la sua ampiezza è in penombra, mentre i personaggi, nel momento in cui cantano si portano in posizione da essere illuminati da una luce radente di tipo caravaggesco. L’aspetto del tutto è molto suggestivo.

La seconda scena viene introdotta, assieme al grande e solenne tema del Walhalla, dall’ingresso del piccolo corpo di ballo che, successivamente, rimando in scena, accompagnerà i cantanti sottolineandone le motivazioni nei vari dialoghi. Lo sfondo qui cambia offrendo proiezioni di immagini irreali, astratte, che potrebbero far pensare a una foresta o a una veduta dall’alto di un grande cañon, o altre immagini che dovrebbero far pensare a luoghi immaginari, mitologici, senza definizioni che li rendano riconoscibili. Su questo sfondo si muovono le ombre proiettate dei protagonisti. Proiezioni che accompagnano le movenze dei protagonisti quasi sostituendosi ad esse nell’offerta visuale agli spetttori, come ad esempio le ombre dei giganti che, di dimensione normale sulla scena, appaiono gigantesche nella proiezione, ciò che caratterizza in questo modo la natura “strutturale” dei personaggi. Analogamente, al contrario, l’ombra di Freia appare di piccolissime dimensioni, ricostituendo in tal modo le proporzioni mitologiche fra rapitori e rapita. La luce, ovviamente gioca in queste proiezioni, un ruolo fondamentale.

La terza scena offre uno sfondo caratterizzato dall’immagine di una officina dove centinaia di ombre indistinte sembrano lavorare sul metallo, con un senso di profondità dato da fessure di color rosso che si dipartono da fasce color grigio. Al centro della scena una specie di edicola calata dall’alto, come un ponte di comando su cui è installato Alberich, è lo spazio in cui si sviluppano i dialoghi fra Mime, Alberich, Wotan e Loge.

L’ultima scena ripete, nello sfondo, le caratteristiche della seconda. Alberich, portato in superficie da Wontan e Loge è legato solo in modo simbolico; il tesoro portato dai Nibelunghi dalle viscere della terra è costituito da personaggi rivestiti da una specie di calzamaglia gialla che, sotto la frusta di strani custodi vestiti da militare, strisciano lungo la scena e vanno ad accumularsi sullo sfondo (chiaro riferimento all’identificazione dell’aspetto materiale del tesoro con la subordinazione del popolo nibelungico, già accennata nella terza scena); Freia, in piedi, viene coperta agli occhi degli spettatori da lastre gialle sovrapposte; Erda, come di tradizione, sorge dalla terra (“Erde” in tedesco significa appunto “Terra”), ma viene proiettata verso l’alto da un piedestallo che si erge sopra tutti gli dei e giganti vari, portando una voce definitiva sul loro destino e sugli effetti della maledizione dell’anello; l’omicidio di Fasolt da parte di Fafner viene rappresentato nelle proiezioni delle loro ombre sullo sfondo; la marcia finale verso il Walhalla viene raffigurata dagli dei rivolti in atteggiamento contemplativo verso uno sfondo rappresentato da un bassorilievo.

Il corpo di ballo svolge un ruolo interessante: non solo interviene negli interludi, e contribuisce ad attivare un movimento nelle scene piuttosto statiche basate sui dialoghi, ma con opportune movenze si dedica a sottolineare gli stati d’animo che i cantanti esprimono nelle diverse circostanze. Un altro ruolo svolto è quello di costruire con opportuni allacciamenti dei ballerini fra loro, oggetti o componenti che potremmo definire di arredamento scenico. Per esempio li vediamo formare un tavolino sul quale è sdraiato Mime nella sua disperazione, oppure, nella terza scena, al centro dell’edicola calata dall’alto, formare una specie di trono sul quale siede Alberich monarca dei Nibelunghi, oppure ancora avvolgersi attorno a lui quando indossa l’elmo magico (del tutto virtuale) in modo da farlo scomparire alla visione del pubblico, oppure ancora tramutarsi nella gesticolante figura del drago e in quella del rospo, etc.

In conclusione, mi è parsa una regia molto intelligente dal punto di vista dell’offerta scenografica, che pur rispettando la struttura drammaturgica della mitologia germanica, l’ha espressa in modo nuovo ed esteticamente elegante. In questo essa si differenzia nettamente da altre rappresentazioni moderne, nella quali la regia si basa su interpretazioni molto lontane dalla classica “mitologia”: vedi ad esempio la rappresentazione del Rheingold di Stoccarda del 2002 diretta da Lothar Zagrosek con la regia di Joachim Schlömer.

L’orchestra: Barenboim si è confermato un direttore wagneriano di tutto rispetto. La sua direzione ha saputo sottolineare con forza la funzione narrativa dei leitmotiv, ma in diverse occasioni, soprattutto quando i leitmotiv si intrecciano per commentare in modo appropriato le diverse vicende, è riuscito a far risaltare, laddove era possibile e naturale, la derivazione di un motivo dall’altro, come, per esempio, già nella prima scena, il motivo dell’Anello scaturisce con chiarezza dal triste e drammatico motivo della Rinuncia d’amore.

L’orchestra sotto la sua direzione ha dato il meglio, sia dal punto di vista timbrico che da quello dinamico, dando voce credibile e comprensibile alle diverse situazioni e ai diversi stati d’animo che dalle situazioni nei personaggi emergono.

I cantanti sono stati tutti all’altezza della situazione, con una particolare segnalazione a quelli che possono essere considerati un po’ i protagonisti dell’opera, per il ruolo che ricoprono: Loge (Stephan Rügamer) e Alberich (Johannes Martin Kränzle). Non solo hanno offerto un’ottima prestazione vocale, ma anche un’ottima interpretazione di personaggi, con ricchezza di caratterizzazione: Loge, ironico, sicuro di sé, distaccato, astuto; Alberich rozzo sopraffattore, violento, passionale e sostanzialmente stupido. Wotan era interpretato da René Pape, Mime da Wolfgang Ablinger-Sperrhacke, Fasolt e Fafner rispettivamente da Kwangchul Youn e Timo Riihonen, Fricka da Doris Soffel.

Alla fine il pubblico ha applaudito con grande entusiasmo, anche se qua e là si sono sentite critiche alla regia. Qualcuno, ad esempio, lamentava la mancanza del drago.

Alla fine dell’opera circolava fra i presenti la notizia della vittoria dell’Inter. All’uscita la folla dei tifosi, in mezzo a un frastuono immaginabile, aveva invaso ogni spazio libero della Galleria e di Piazza Duomo, rendendo ardua impresa quella di raggiungere la stazione del metro per tornare a casa; cosa finalmente avvenuta dopo mezz’ora di spintoni e tentativi di superare il blocco.

Vedi foto di scena

Leggi l’analisi musicologica di Christian Goubault (da ASO) 

1 Commento a “DAS RHEINGOLD Considerazioni sulla rappresentazione scaligera”

  1. Giovanni Blasich scrive:

    Ho letto stasera il tuo commento a L’Oro del Reno, visto alla Scala l’anno scorso.
    Pezzo di alta qualità per l’analisi completa dello spettacolo, nei suoi vari aspetti. Simpatica la cornice calcistica. Il tutto meritevole di pubblicazione e divulgazione.
    Saluti. Giovanni da Firenze

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