UN RICORDO DI MARIA CALLAS, di Giampaolo Lomi (pubblicato su IAMC il 17/3/2000)

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C’è un vecchio proverbio  che mi è sempre piaciuto. Uno di quei 
proverbi che esprimono la millenaria saggezza  del  popolo, del nostro 
popolo,  al quale  per secoli è stato insegnato che la vita è 
sofferenza e riscatto. Popolo, sempre rassegnato al peggio, con 
sapienza, filosofia, fantasia e poesia, abilissimo ad assimilare e 
carpire quel lato oscuro della vita che può essere il bene nel male. 
Questo proverbio lo conosciamo tutti, o se non lo conosciamo l’abbiamo 
nel DNA e non ci sembrerà sconosciuto. “Tutto il male non vien per 
nuocere”.

Ne ho avuta l’ultima riprova in questi giorni. 
Fare un trasloco è un mezzo trauma per chi, ad esempio, pigro come 
sono io, attaccato alle mie cose, ai miei spazi, mi vedo di colpo proiettato dopo molti anni, in altri spazi dove faccio fatica a 
ritrovarmi. Ebbene, in questo immane trasando, fatto di noiosi 
problemi giornalieri, di cose che non funzionano, di perdite di tempo 
irrecuperabili, ho scoperto un aspetto piacevole. Un aspetto che mi ha 
fatto rivivere uno spaccato della mia vita, fra la fine degli anni 50 
e l’inizio degli anni 60. Ho trovato in fondo a uno scatolone un pacco 
di foto che credevo perdute da sempre, insieme a un mare di ricordi 
musicali di ogni genere. I programmi dei primi concerti della mia 
vita, da Cortot a Backaus, a Kempe, e tutti gli altri che mi son 
passati davanti agli occhi uno dopo l’altro. Una foto, fra le tante, 
mi ha fatto cadere la lacrimuccia.

È una foto scattata in casa di 
Roberto Bauer, il rappresentante a Milano del mitico  Mr.Bing, il manager più famoso del Metropolitan, di origine austriaca e 
naturalizzato inglese. Lo stesso che scrisse un interessantissimo 
libro, “5000 notti all’opera”, che ho avuto per molti anni e che 
ahimè è andato irrimediabilmente perduto. 
In casa di Bauer, oltre al maestro Muller, l’accompagnatore per anni 
delle audizioni ai più famosi cantanti, c’era, quella sera, anche Maria Callas. Era ancora la signora Meneghini e abitava a Milano nella 
villetta di via Buonarroti. Bauer ha scoperto tanti cantanti, ne ha 
capito per tempo il valore e li ha avviati con successo verso il 
vecchio Met vellutato di rosso, nella Broadway di quegli anni. Da Corelli, approdato a New York nel 1961, a Fernandi,  Cappuccilli, e 
naturalmente la Callas per le stagioni 56/58. 


Quella sera, era una specie di serata d’addio. La Maria sarebbe 
partita per gli Stati Uniti il giorno dopo per i concerti da tenere a 
Los Angeles. Strana donna. Per niente altezzosa o viziata come è 
stata più volte dipinta. Si abbandonava a risate sonore, amava 
ascoltare e parlava malissimo l’italiano.  Usava una specie di 
dialetto veneto, mal collegato alle espressioni inglesi che le erano 
frequenti. 
Me ne andai a casa contento.

Dal 56, anno in cui approdai a Milano, 
non avevo perso una sua recita alla Scala. Non l’avevo mai avvicinata 
più di tanto, e neppure mi ero mai azzardato a infilarmi nei 
camerini, tentando invano di superare le ferree barriere scaligere. Mi 
venne fatto di pensare, perché mai quella donna fosse così famosa e 
carismatica. Non stava neppure bene a tavola. Si alzava spesso senza 
una ragione. Aveva delle brutte gambe, ma due occhi profondi, ipnotizzanti, che incutevano un certo malessere. Uno sguardo così 
l’ho ritrovato, per incredibile che sembri, pochi mesi fa, ad una cena 
con Franca Valeri, presente anche Pietro Puca, mio ospite in 
quell’occasione.

La Valeri, malgrado l’età, quando fissa qualcuno 
negli occhi, lo mette terribilmente a disagio. Occhi che parlano ed 
esprimo sentimenti, stati d’animo, meglio di un libro stampato. 
La Callas era così, in misura anche maggiore. Era diffcile resistere 
al suo modo di guardare. Eppure era cieca come una talpa, e lo sguardo 
di chi vede male e non vuol usare gli occhiali, raramente è 
penetrante. In lei lo era, come lo era la sua voce, neppur bella, 
quando parlava, ma affascinante. 


Il giorno seguente, me ne stavo tranquillo nel mio ufficio quando mi 
arrivò una concitata telefonata di Bauer. Parlava con forte accento 
tedesco e con voce rauca. Era già colpito dal male che pochi anni 
dopo lo avrebbe travolto. Mi chiese se potevo essere così gentile da andare a prenderlo a casa, con la mia macchina, una 1100 fiat, perché 
la sua “giulietta” si era guastata. Le macchine non abbondavano in 
quel periodo. La Callas doveva andare a Malpensa e lui doveva 
accompagnarla. Pensai,”troppa Callas in poche ore”, e mi precipitai in via Maggiolino, dove lui mi aspettava in ansia. Poi arrivammo a via 
Buonarroti. La Maria era in casa, con un cagnolino e una cameriera che 
ci aprì la porta. Il Meneghini non c’era. Sarebbe andato alla 
Malpensa per conto suo.

E così mi ritrovai la Callas seduta accanto, 
mentre mi avviavo con molta emozione, all’imbocco della strada a due 
corsie, più una centrale per i sorpassi, che in 3 quarti d’ora congiungeva Milano alla Malpensa. Mi ricordo ancora l’aereo. Un super 
Constellation della TWA, ad eliche. Mi ricordo che guidavo e guardavo 
con immensa curiosità il “mito”, seduto al mio fianco. Avrei voluto 
dirlo a tutti quelli che non cedevano il passo, che a bordo c’era la Callas, proprio lei, con la sua grande voce e la sua immensa arte. 
Invece le macchine dei brianzoli, sorpassavano e non si accorgevano di 
nulla.

Arrivammo troppo presto. Durante il viaggio avevo immaginato il 
momento in cui la porta si sarebbe aperta e la Maria sarebbe scesa da 
quella macchina per non salirci mai più. La Malpensa era poco più di 
una baracca in quel tempo. Entrammo tutti con lei e dopo il check in, 
si passo in una saletta d’attesa. Fu allora che la Callas, si accorse 
che il Meneghini non c’era. “Dove ze il mi mario…” sbottò. Ma non 
ebbe tempo di essere tranquillizzata. Il commendatore arrivò col suo 
immancabile soprabito di cammello e il nero cappello di feltro floscio.

Non parlai più con lei. Erano arrivate molte persone e lei 
era ridivenuta la diva. Cambiava, ma non in peggio. La gente le dava 
forza. Recitava, si una parte, ma era sempre se stessa. Poi si avviò 
col suo cane e il marito all’imbarco e non la vidi mai più a distanza 
ravvicinata. Solo molti anni dopo, all’inaugurazione del regio di 
Torino, ebbi la gioia di stringerle ancora la mano, ma lei sicuramente 
non mi riconobbe. Poi ci fu il disastro di Roma e il suo ritorno alla Scala nell’Aprile del 58 con l’immenso trionfo di Anna Bolena e 
l’ultimo addio a Milano con il Pirata, pochi giorni dopo. Fu l’ultima 
volta che la sentii cantare. Quando la incontrai a Torino faceva la 
regista insieme a Di Stefano e si era ormai… messa gli occhiali. 


Ecco, grazie al trasloco, e a questi ricordi, ho passato una giornata 
distesa, anche se malinconica. La stessa malinconia senza fine, che si 
celava sempre dietro il suo incredibile sguardo. 
Avevo voglia di comunicare queste emozioni a qualcuno e così ho 
pensato agli amici del gruppo, e le ho scritte, senza insistere sui MI 
sovracuti, sui filati e sulla voce oscillante, perché so che queste 
cose le sanno meglio di me. Mi piace invece l’dea di mandare queste 
impressioni a quegli  amici  che saranno sempre presenti, qualunque 
cosa possa accadere a IAMC, come Dedo, Coran e Marcelli. Sicuramente 
ci sarà chi arriccerà il naso. Non mi importa. Mi andava di 
scrivere, perché mi ha aiutato a rivivere meglio una frazione di 
tempo lontano. E poi, basta anche un solo amico al quale abbia fatto 
piacere che sarò contento. Sabato partirò e, a parte qualche 
intervallo brevissimo, tornerò a Roma solo dopo Pasqua. Vi leggerò 
da qualche internet cafè, o da qualche albergo. 


Saluti.

Giampaolo 

6 Commenti a “UN RICORDO DI MARIA CALLAS, di Giampaolo Lomi (pubblicato su IAMC il 17/3/2000)”

  1. armando ariostini scrive:

    giampaolo caro,sono le otto del mattino e mai a quest’ora accendo il computer per leggere la posta…si vede che oggi dovevo inziare questa grigia giornata con un ricordo che per me è come un raggio di sole…a parte la bella esperienza che racconti vissuta accanto alla “mitica” riporti alla luce dei personaggi che a me sono stati cari,in primis il maestro Otto Muller che in casa di Bauer una serata di trentaquattro anni fa circa(Bauer non era già più tra i mortali) dove erano presenti personaggi come Viorica Cortez,il maestro Michelangelo Veltri e tanti altri personaggi del mondo lirico ,mi sentirono cantare ad orecchio il “Di Provenza…”(era l’unica romanza che conoscevo a memoria )…a tutti loro devo la mia trentennale carriera perchè dal giorno dopo ,in seguito alle loro incitazioni,io cominciai a studiare canto col maestro Muller che di li a poco ci lasciò..ma ormai credevo in quello che facevo e le cose andarono avanti…solo dopo tre anni il Maestro Veltri mi faceva debuttare il Figaro Rossiniano ad Avignone…..!!Grazie Giampaolo…

  2. Jacopo scrive:

    Maestro… sono esperienze davvero esclusive e non capitano mai a caso. Si percepisce un grande senso di nostalgia, ed è importante ricordarle e renderne partecipi gli appassionati di questo piccolo ma elitario mondo del melodramma. Grazie Giampaolo

  3. Placido Seminara scrive:

    Commento di Placido Seminara al link che riproduce l’articolo:

    GIAMPAOLO LOMI (in arte GIAN PAOLO LOMI, per gli amici Paolo) non ha conosciuto solamente Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi, Aldo Fabbrizi e Turi Ferro, etc. etc. Ma soprattutto nel campo musicale ha conosciuto e spesso frequentato non pochi personaggi il cui fascino é definito intramontabile. Ha poi conosciuto e frequentato alcuni noti uomini di governo ed anche dittatori che la propaganda politica dopo la loro caduta ha descritto ovviamente nel peggiore dei modi.
    Però é difficile convincere Giampaolo a comporre una galleria dei personaggi che hanno popolato il Novecento. Il motivo potrebbe essere una forma di “pigrizia”, perchè Giampaolo ha molti sinceri amici, a lui tutti graditissimi e per i quali non lesina di prodigarsi, ma che inevitabilmente gli assorbono molto tempo. Od ancora potrebbe essere una certa sua ritrosia a queste cose, un suo voler vivere nell’ombra ed esclusivamente per gli intimi che lo circondano, od anche una forma di pudore intellettuale che gli fa evitare di affermare (come invece fanno altri): “Io! Si, io l’ho conosciuto!…”.
    Se Gian Paolo Lomi non vuol scrivere la sua galleria di ritratti, corredata (e perchè no?) da interessanti foto d’epoca, allora sarebbe il caso che qualcuno lo intervistasse. Ad ogni nome proposto dall’intervistatore si aggiungerebbe un inedito ritratto in più, espresso in modo intelligente, che sarebbe tanto più interessante quanto i personaggi proposti saranno meno conosciuti od addirittura oscuri, alternando i miti già esistenti del Novecento a quelli che sorgeranno. Però é anche il caso di dire che neppure ad una persona come Gian Paolo Lomi sarebbe possibile intraprendere una seria critica del Novecento ed il motivo é semplice. Egli lo ha vissuto dall’interno e nel contempo ne é stato spettatore, lo ha tanto amato fino a diventarne complice. Per esempio il ritratto che Gian Paolo Lomi fa di Maria Callas ha il difetto di suscitare una indefinita malinconia, amore e rimpianto per il secolo appena trascorso. A me pare che questo sia come un uomo che si specchia ed inevitabilmente si convince d’esser più bello di quanto s’era creduto… E tutto é molto lontano da una critica si distinta da pietà, ma nel contempo asciutta e distante, severa, che non si limita alla superficie ed é incisiva come una lama. Si obietterà ovviamente che Gian Paolo Lomi non ha inteso fare una critica, ma lasciarci un ricordo della Divina. Rispondo che questo é vero. Ma non rispondo a chi sin da ora si meraviglierà di un giudizio severissimo che prima o poi sarà necessario dare sul barbaro Novecento, il secolo in apparenza appena trascorso, ma che non é trascorso perchè siamo vivi noi uomini del Novecento, che l’abbiamo popolato e non perdiamo occasione per magnificarlo e quindi magnificarci.

  4. cristina gastel scrive:

    Ricevo a Milano il Suo articolo da mio fratello che si trova a Singapore.Così questa dolce e vera immagine di Maria Callas fuori dal palcoscenico,fa ancor oggi il giro del mondo e approda,come in quegli anni ’50 al cuore di un’emozione per sempre vivissima ,e sembra così presente ancora e vicina .una dolce amica piena di sentimenti,gli stessi che passavano uno dietro l’altro,fulminei,in quei suoi bellissimi occhi.
    Grazie

  5. Giampaolo Lomi scrive:

    At 23.21 15/06/2010, you wrote:

    Sono contento che le sia piaciuto. Sono amico di Muni da tanti anni, da quando vivevo a Manila e lui a Jakarta.
    Si ! La Maria riuscì a stregarmi in un modo che ancora sopravvive. Ho amato il suo canto, le sue interpretazioni, il suo aver rinnovato l’ opera come nessun altro. Credo di aver amato anche il suo carattere…che non era facile. Approdai a Milano nel 1956 dal Brasile. Un po’ tardi perchè il meglio di lei lo aveva già dato, ma abbstanza in tempo per non perdere nessuna sua recita alla Scala fino a giorno che se andò per non tornare mai più a cantare. Credo sia stata un miracolo irripetibile ed è bello parlarne ancora, anche se questa volta per caso, solo perchè qualcuno ha ritrovato questo mio vecchio articolo di 10 anni fa.
    La ringrazio ancora e saluto cordialmente

    Giampaolo Lomi

  6. Renzo Mario scrive:

    Abbiamo letto l’articolo di Giampaolo a Capri un un momento in cui la lirica ha invaso i luoghi più significativi in quanto qui si sta svolgendo il “CAPRI OPERA FESTIVAL” il cui direttore artistico è Pasquale Amato nostro caro amico. Oggi è arrivata nell’isola anche Giovanna Lomazzi che vedremo domani sera alla Certosa dove ci sarà il Galà conclusivo di questo festival con la premiazione dei migliori cantanti. Come si vede la lirica è sempre presente nei luoghi più belli a regalare emozioni e speranze per voci che forse si avvicinano al miracolo CALLAS, ma secondo noi senza ripeterne il miracolo di totale rapimento.

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