«L’arbitrio di una forza esterna che irrompe con violenza nella vita di un uomo, di un’anima, è il tema ricorrente in quasi ogni mio libro. In Vedi alla voce: amore era il nazismo». Con queste parole David Grossman fornisce la chiave di lettura di un romanzo complesso, di rara intensità, che ha come argomento l’olocausto. Nella prefazione, Paolo Mauri scrive: «L’enorme letteratura sull’Olocausto si può dividere, molto approssimativamente, in due grandi filoni: quello che mostra la Cosa e quello che, la Cosa, la interroga. Nel primo caso l’esibizione (ben diversa dalla fredda documentazione che, per esempio, si può vedere oggi in quelli che furono i lager) è simile alla pornografia. Si mostra l’orrore come si mostra la carne e il lettore si trasforma in un voyeur dell’orrore. […] Il secondo filone, [è] quello che la Cosa la interroga, senza tacerne i dettagli significativi, ma senza sentire il bisogno di mostrarla». In questo filone «la Cosa viene esplorata nella facce della gente, nelle parole: anch’esse così normali da far più orrore di un mostro vero e proprio; viene ricostruita nei ricordi dei superstiti (vittime e assassini), anch’essi così comuni e pieni – parlo delle vittime – di dolore e di lacrime da far pensare: ma come è potuto accadere così normalmente?»
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