ACCANTO ALLA TIGRE, di Lorenzo Pavolini
Per uno della mia generazione che ha vissuto in età ancora infantile (sono nato nel 1935) gli ultimi momenti del regime fascista e la breve vita della Repubblica Sociale Italiana, “fascismo” è sempre stato, senza discussioni, sinonimo di periodo oscuro della storia italiana, di dittatura imposta, di ideologia perversa. L’accusa di “fascista” è sempre stata un’accusa che più che insulto, voleva significare disprezzo. Fascista era definita una persona che cercava di imporre la propria volontà agli altri, pur essendo priva di idee.
Ma è stato sempre e solo così? In fin dei conti, il regime fascista ha coperto ben venti anni della storia italiana. L’unica cosa che non si può dire è che non sia esistito, che non abbia cercato di imporre dei valori, magari distorti, magari non condivisibili, magari portatori di una fine tragica, ma, tutto sommato, valori.
Credo che sia giusto, al di là di quello che possono essere rivendicazioni revansciste da parte di superstiti o loro discendenti dello scomparso regime, cercare di capire un po’ più a fondo quali siano state le idee, le aspirazioni, i progetti portati avanti da quel movimento e poi regime, e quale siano state la logica che hanno spinto le persone che li hanno incarnati, al di là degli arrivismi che ne hanno caratterizzato la storia, arrivismi peraltro tutt’altro che scomparsi anche nei successivi (e forse precedenti) regimi democratici.
In questi ultimi anni alcuni scrittori si sono cimentati con fatti, eventi, persone di quel periodo, cercando di andare un po’ più a fondo di quanto le propagande, sia quella antifascista, sia quella neofascista hanno fatto o stanno facendo.
Uno di questi scrittori è stato Antonio Pennacchi, con i suoi libri, soprattutto Fasciocomunismo e attualmente Canale Mussolini. Un altro è Lorenzo Pavolini, col suo libro Accanto alla tigre.
Alessandro Pavolini è stato fra i gerarchi fascisti forse il più odiato. Il suo nome è legato più che al regime fascista, nel quale, sotto la protezione di Galeazzo Ciano, è arrivato a ricoprire prima il ruolo di Federale di Firenze, poi di ministro dell’Educazione popolare, a quello della Repubblica Sociale, nella quale ha rivestito il ruolo di segretario generale del Partito Fascista Repubblicano. In questa veste viene ricordato soprattutto per essere stato il fondatore delle Brigate Nere, una specie di discendenza dello squadrismo della prima ora e portatrice della cosiddetta “Idea originaria”; per essere stato il probabile ispiratore della strage di Ferrara nella quale vennero trucidati 11 civili antifascisti come rappresaglia per l’uccisione del federale Igino Ghisellini (fra l’altro ucciso dai suoi stessi commilitoni); per essersi opposto a ogni tentativo di risolvere la guerra civile mediante la riappacificazione col movimento antifascista; per aver giudicato come traditori e meritevoli di morte i firmatari dell’ordine del giorno Grandi che ha portato il 25 luglio ‘43 alla destituzione di Mussolini e al suo arresto; per essersi opposto a che venisse inoltrata a Mussolini la richiesta di grazia di Galeazzo Ciano dopo la sua condanna a morte al processo di Verona del gennaio del ’44, contribuendo così in modo decisivo alla sua fucilazione, nonostante ne fosse stato grande amico e ne fosse debitore di una folgorante carriera in seno al regime.
Alessandro Pavolini è stato arrestato dai partigiani dopo un movimentato inseguimento il 27 aprile del 1945 a Dongo e fucilato, assieme ad altri gerarchi, il giorno 28. Il giorno successivo è stato appeso per i piedi a un distributore di Benzina di Piazzale Loreto a Milano, assieme a Mussolini e alla Petacci e gli altri gerarchi.
Lorenzo Pavolini, l’autore del libro Accanto alla tigre, ne è il nipote: un nipote che per lungo tempo ha ignorato l’importanza del nonno nel passato regime fascista, dal momento che la famiglia gli ha taciuto la storia della sua vita e della sua morte. Scoprirà la verità quando in un libro scolastico di storia vede la foto di piazzale Loreto, i cadaveri appesi e la scritta con il nome sopra il cadavere di quello che si rivela essere il nonno. Inizia così nella memoria di Lorenzo un lavorio al fine di cercare di ricostruire chi era quella persona conosciuta in quel modo inatteso e rocambolesco. E il punto di partenza, ci dice lo stesso scrittore, è la ricerca della formazione della coscienza di persone nate all’inizio del secolo che hanno pienamente aderito al fascismo.
Questa ricerca è alla base del romanzo: un romanzo che Lorenzo non avrebbe mai voluto scrivere e che, alla fine, lo ha fatto cedendo alle insistenze di amici scrittori, come Enzo Siciliano, Antonio Pennacchi etc.
La ricostruzione della personalità del nonno non avviene attraverso i ricordi trasmessi dalla famiglia, che con lui è stata sempre reticente. Lorenzo, anzi, definisce questo suo libro il romanzo della reticenza. Egli non sa nulla di questo nonno, e deve ricostruirne la personalità ricorrendo a materiale “esterno” alla famiglia. Alessandro proviene da una famiglia di intellettuali. Il padre è un professore universitario di sanscrito ed è stato il primo traduttore del Mahabarata. Alessandro stesso è un intellettuale, e come tale scrittore, e autore di romanzi. Proprio nella lettura di questi Lorenzo trova materiale utilmente necessario per la sua ricostruzione: Giro d’Italia, scritto nel 1927, all’età di 24 anni, Disperata (1937) e la raccolta di racconti Scomparsa di Angela – fra cui quello forse più significativo in merito ai suoi rapporti con Galeazzo Ciano, Cento metri – (1940). Essi forniscono al nipote il contesto nel quale si è formata la coscienza che ha portato il nonno ad aderire al fascismo.
Altre fonti utilizzate sono state racconti di scrittori che hanno studiato il problema dal punto di vista storico, articoli di giornale attuali, e del tempo, scritti da giornalisti ricercatori, ma anche scritti dallo stesso Alessandro e dal fratello Corrado. Vengono ad esempio integralmente riportati due loro articoli di un periodico del 1927, L’assalto, in cui entrambi esprimono le loro considerazioni e i loro proponimenti per il futuro. Per Alessandro è un punto d’onore l’essere considerato uno squadrista. Questo suo orgoglio proviene dalla sua fede nell’idea che il movimento esprime e nella sua capacità di trasformare questa fede in azione, tanto più necessaria quanto più è violenta.
Ma la violenza come tale non è inerente al carattere dell’uomo. Una testimonianza interessante ci è offerta da Elsa de’ Giorgi, integralmente riportata. L’attrice, durante la guerra, si fa ricevere da Alessandro quando egli era Ministro della Cultura Popolare, e lo rimprovera rinfacciandogli un vergognoso trattamento di mutilati e moribondi. Alessandro non reagisce alle minacciose affermazioni della giovane, ma con voce triste replica: «Ha ragione. Ha ragione. È assurdo quello che facciamo», e prosegue «Non è solo questo. Sono tante le cose come queste che non tengono conto di quello che pensano gli altri. E siamo soli, sempre più soli, noi lo sentiamo bene.»
Un’altra testimonianza si trova nel libro Amici, di Romano Bilenchi. Vengono riportati alcuni episodi nei quali Pavolini, sia come Federale di Firenze, sia come Ministro, appare disponibile ad aiutare un amico in difficoltà anche se il problemi dell’amico provengono da un suo dichiarato antifascismo. Altre testimonianze provengono dalla storia della famiglia, la moglie e i figli, riparati in Austria a Zürs assieme alle famiglie degli altri gerarchi, e soprattutto all’ultima lettera che Alessandro le scrive, che esprime gioia e speranza per una favorevole evoluzione della guerra.
Lorenzo, seguendo una forma che può essere giudicata ibrida, intreccia documenti, racconti, testimonianze del passato, con la realtà attuale. Un problema che emerge negli interessi dello scrittore è dato dagli stimoli che la figura di Alessandro desta ancora, soprattutto fra le persone, i giovani, che non hanno vissuto la guerra civile come scontro sanguinoso costato la vita a un gran numero di persone, ma solo come scontro di ideologie. Lorenzo girando per Milano, nel cosiddetto triangolo delle Bermuda, l’area compresa fra la libreria San Martino ai monti, la casa di Pound in via napoleone III e colle Oppio, dove è posta la sede di azione giovani e dove dominano i ragazzi della destra sociale, trova scritte sui muri che inneggiano al fascismo, ma un fascismo rivisitato in chiave post-moderna, come ideologia piuttosto che come realtà storica. Fra esse, persino una che inneggia ad Alessandro Pavolini eroe. E ugualmente lo stimolo alla memoria proviene dalla visita al cosiddetto Campo X, al Cimitero Maggiore (Musocco). In questo campo sono sepolti 1.432 considerati militanti della RSI e per questo uccisi. Le loro tombe sono segnate da fredde croci bianche, con indicati il nome, la data della morte e il numero. In alcune sono segnalate le decorazioni, in altre è presente una piccola foto. Fra essi c’è la tomba di Alessandro Pavolini, segnata dal numero 1330. Poco lontano le tombe di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, due famosi attori al tempo del fascismo, fucilati in quanto aderenti alla RSI e accusati di crimini di guerra.
Lorenzo si rende conto del significato di queste riappropriazioni ideologiche, e le osserva non tanto come il desiderio di un ritorno al passato, quanto piuttosto come la necessità di concretizzare attorno a miti l’ideologia. Questo può valere per Alessandro Pavolini, come per Che Guevara, assunti a simboli di un eroismo che porta ad ignorare le morti e i lutti di cui essi, come persone, sono stati portatori e protagonisti.
Quale siano state le pulsioni, oltre alla fede nell’Idea, che hanno spinto Alessandro ad assumere un ruolo tristemente positivo durante la Repubblica Sociale Italiana è uno dei punti di interesse del libro. Chiaramente, esse originano dalla constatazione che il 25 luglio del 1943, la caduta di Mussolini e del fascismo, ha trascinato con sé la massa delle persone che fino al giorno prima si dichiaravano fasciste e sostenevano il regime, e che ora, dichiarandosi antifasciste, non hanno avuto alcun pudore ad abbattere i simboli di un regime che loro stessi avevano sostenuto e approvato. Da Alessandro Pavolini questo improvviso voltafaccia, completato dalla fuga del re e del governo provvisorio di Badoglio nelle aree occupate dagli alleati, è stato giudicato vergognoso e manifestazione di un tradimento vigliacco che insozzava l’onore della patria. A questo suo giudizio si deve l’intransigenza con cui ha aderito e lavorato per ricostruire il partito fascista, prima dall’esilio in Germania, poi nella RSI, del quale è diventato segretario. E ulteriormente, sempre a questo giudizio si deve l’intransigenza a pretendere la coscrizione obbligatoria (che, come conseguenza negativa, ha contribuito a fornire la massa umana principale alle formazioni partigiane), la formazione di una milizia di partito, e poi, in ultimo, la resistenza ad oltranza con alcune migliaia di fedelissimi in una valle alpina, presumibilmente la Valtellina, diventata nota come RAR (Ridotto Alpino Repubblicano).
La fine, come è noto, è avvenuta in tutt’altro modo, sulla strada che costeggia il lago di Como, a Dongo, mentre con altri gerarchi Alessandro cercava di rifugiarsi probabilmente in Germania.
Il libro mi ha dato degli spunti di riflessione di grandissimo interesse, aiutandomi a ricostruire nella mia mente, almeno in parte, aspetti del regime fascista che, al di là dei giudizi di valore, hanno contribuito a scrivere la storia del nostro Paese. Il libro ha il pregio di non cadere nella banalità di una semplice rivalutazione del personaggio, e neppure nella banalità di una ricostruzione storica (lasciata più appropriatamente agli storici di professione), e ancora meno di non lasciarsi tentare dall’esprimere giudizi sul suo operato, ma solo di cercare di capirne la personalità e le contraddizioni che si sostanziano nel suo modo di agire. Purtroppo occorre rilevare che la scrittura non è semplice. Quella che è stata definita una scrittura ibrida, crea nella mente del lettore continui salti che non giovano alla chiarezza. Molte considerazioni personali che lo scrittore senta la necessità di fare, non sempre risultano convincenti e in alcuni casi inducano il lettore alla confusione. In complesso, se ho apprezzato il libro per lo stimolo che mi ha dato, non posso estendere l’apprezzamento per la struttura e la lingua che, sinceramente non posso dire che mi abbiano aiutato.
1 febbraio 2012 alle 19:41
perche’ oggi se si possa parlare di sedicenti fascisti,o camerati,… non appena parli della germania e dei suoi capi .prendono le distanze e si comportano come badogliani? io a mio giudizio anche se non ho vissuto quei periodi mi sento fascista ed amico della germania nazional socialista ……….non mi sento almeno psicologicamente di essere fascista fino al 1940 o giu di li. grazie e spero in un riscontro. giovanni bertocco
1 febbraio 2012 alle 20:37
Anzitutto ti ringrazio del tuo commento. La mia età mi ha permesso di vivere, anche nel ricordo personale, gli ultimi due anni del fascismo e in particolare della repubblica di Salò. Ti dico subito che, sia per i miei ricordi, sia per quello che mi hanno riferito persone che il fascismo lo hanno vissuto in modo più completo, fra i quali diversi miei parenti, compreso mio padre, sia per le letture in epoche successive, io non sono fascista e appartengo alle persone che hanno definito il fascismo una dittatura e un’esperienza da non ripetere nel modo più assolto. Poi sono d’accordo che nel fascismo occorre distinguere due fasi: la prima, quella del fascismo come movimento che si è sviluppato all’interno di una nazione, assorbendone, anche se solo in parte la cultura; questa è durata fino al 1938-43; la seconda quella del fascismo della repubblica di Salò, totalmente subordinato al potere della Germania nazista.
Come ho scritto nel commento al libro di Pavolini (figlio) io credo che uno degli errori più gravi della democrazia post-fascista sia stato quello di aver cercato di cancellare gli eventi del famoso ventennio, lasciando così in mano alle generazioni successive la sensazione di una spaccatura destinata a non risanarsi. Hai ragione quando ti chiedi se si possa parlare di sedicenti fascisti, etc. Il fascismo è un’esperienza morta. Si tratta, invece di cercare di conoscere meglio i valori (positivi o negativi) che ne hanno mosso la politica, e capire meglio il rapporto che quel regime ha avuto con la società italiana. Per finire, se io ammiro profondamente il popolo tedesco, il popolo che ha dato forse i più grandi uomini nell’arte, nella scienza, nella cultura, pur tuttavia non posso che considerare il nazismo come una deformazione tragica, della quale oggi, la grandissima maggioranza dei tedeschi si vergogna profondamente. Ciao