DEATH IN VENICE alla Scala. Considerazioni.
Amore e Morte, Eros e Tanatos: è un po’ il filo conduttore del romanzo breve di Mann La morte a Venezia e dell’omonima opera di Britten. La morte fa la sua comparsa subito, fin dalla scelta del nome di Aschenbach: Gustav, come Gustav Mahler, il tormentato e bevrotico compositore, morto appunto nel 1911, l’anno in cui si immaginano svolgersi i fatti narrati nel romanzo. E la morte, nel romanzo, assume le vesti di quattro personaggi ambigui, che stanno fra il reale e l’irreale: Il viaggiatore, incontrato proprio all’inizio durante la passeggiata in un cimitero, che penetrerà nei suoi pensieri angustiati dalla crisi creativa, e che lo convincerà a viaggiare, ad andare a Venezia, dove la morte trionferà sotto il segno del colera; poi, il finto giovane sul bastimento, che gli apre la via della decadenza fisica e degli illusori ostacoli che invano si tenta di opporle; ma egli stesso, nella grottesca scena finale del barbiere, cadrà nella stessa illusione e nel conseguente disgusto per se stesso; il gondoliere abusivo che lo accompagnerà al lido, richiamandogli alla mente il cupo attraversamento dell’Ade su un’imbarcazione, la gondola, il cui aspetto ricorda da vicino quello di una bara; e alla fine, proprio alla vigilia della morte, nel pieno dell’epidemia del colera, il chitarrista capo dei suonatori ambulanti, che coinvolgerà tutti gli ospiti dell’albergo in una risata irrefrenabile e intensamente allusiva.
La morte, certo, ma anche l’amore, il necessario suo complemento. Mann entra nello spirito della cultura greca del V° secolo a.C., la filosofia di Platone: il platano alle soglie di Atene, la fresca ombra, la tenera erba del prato, il gorgoglio delle acque dell’Ilisso che bagnano i piedi di Socrate e Fedro, il profumo dell’agnocasto… Tadzio, il giovane polacco che incontra nell’albergo, è la bellezza personificata; il paragone spontaneo avviene con la statua dello Spinario. La bellezza di Tadzio viene affrontata come sfida (il confronto fra chi la bellezza produce e chi la bellezza possiede). Aschenbach ne è intellettualmente conquistato. In lui, grande scrittore affermato per la purezza del linguaggio e del pensiero, domina l’equilibrio e la ragione di Apollo. Come dice Socrate nel Fedro, il dio abita nell’animo dell’amante, non certo in quello dell’amato. In realtà gli dei che si installano nella mente e nell’animo di Aschenbach sono due, entrambi in contrasto tra loro: l’eleganza di Apollo si scontra con la lussuria di Dioniso, il “dio straniero”, quello che farà precipitare i sentimenti e poi la vita stessa dello scrittore. L’attrazione per Tadzio diventa sempre più coinvolgente fino a trasformarsi dapprima in amore, poi in vera e propria passione. Questa rivivrà nel sogno del baccanale. Tutto si concluderà con la morte di Aschenbach: certamente, apportata dal colera che infuria a Venezia, ma in modo più sostanziale, come conclusione della vicenda che scaturisce dalla guerra interiore: Tadzio diventerà Hermes psicopompo e guiderà Aschenbah ai bui lidi dell’Ade.
L’opera ricalca in modo abbastanza fedele il romanzo. L’azione, come tale, è scarsa. Potremmo dire che l’azione si svolge soprattutto all’interno delle riflessioni di Aschenbache nelle occasioni che le provocano, in rapporto alla sua crescente e sempre più coinvolta attrazione per Tadzio. Anche nell’opera vi sono i personaggi che nel romanzo rappresentano la morte: il viaggiatore, il finto giovane, il gondoliere abusivo e il chitarrista, ma a questi se ne aggiungono altri due: il direttore dell’albergo e il parrucchiere responsabile del finto ringiovanimento. Britten affida questi sei personaggi alla voce (baritonale) di un unico cantante; in più questo stesso cantante, nel sogno, darà, giustamente, voce a Dioniso.
Dal punto di vista della trama vi sono due importanti differenze: alla fine del primo atto, per far rivivere più intensamente lo spirito di grecità che permea l’opera (e, ovviamente, il romanzo) e sottolineare la natura apollinea, equilibrata e oggettiva, dell’attrazione di Aschenbach per Tadzio, Britten, o meglio ancora Myfanwy Piper, l’autore del libretto, introducono l’episodio dei giochi di Apollo, i classici giochi di Olimpia, che vedono trionfare proprio Tadzio. E poi, l’altra differenza riguarda quello che nel libro è il sogno del baccanale, e che nell’opera diventa esplicitamente il conflitto fra Apollo, cantato da un controtenore, e Dioniso, con la stessa voce dei sei personaggi, coloro che preannunciano l’arrivo del “dio straniero”.
La musica. Io l’ho trovata bellissima. L’orchestra, sia nel brani propri che nell’accompagnamento delle voci, e il coro, presente in numerose occasioni, mi hanno intensamente coinvolto. Intanto voglio citare alcuni brani orchestrali che ho trovato particolarmente avvincenti, toccanti. Fra questi, la musica di Venezia, della laguna, dei viaggi in gondola. Struggente. La si ascolta nella Ouverture subito prima della III scena; ma i suoi temi, i suoi timbri, le sue armonie ricompaiono, magari anche solo come accenni, nelle diverse occasioni in cui Aschenbach, per recarsi a Venezia, attraversa la laguna sulle gondole. Nell’orchestra si apprezzano timbri sempre variabili, e sempre rinnovati: bellissimo l’uso dello xilofono, con il suo timbro cristallino, in numerose occasioni, soprattutto nell’accompagnamento dei ragazzi che giocano sulla spiaggia; il fagotto che spesso accompagna il canto baritonale dei sei personaggi che assediano Aschenbach; il pianoforte che accompagna molti dei declamati nei quali Aschenbach esprime le sue riflessioni; il prevalere dei fiati, soprattutto il timbro fascinoso del flauto e altri legni acuti, che in molte occasioni si alternano alle percussioni con effetti particolarmente stimolanti, accompagnano l’andirivieni dei ricchi borghesi dell’Hotel, o i cittadini di Venezia che assediano con proposte di vario genere il nostro scrittore; e soprattutto il coro, utilizzato con grande ricchezza, con interventi solistici, cori maschili, femminili, misti, etc. Un momento che mi è parso veramente esaltante è il finale del primo atto, proprio nel corso dell’esecuzione dei giochi sulla spiaggia, dove il coro fa da contrappunto agli interventi del controtenore nella veste di Apollo. Musica trascinante, entusiasmante. L’atto finisce con il grido di Aschenbach: la lotta che si è svolta nel suo interiore è terminata con la sconfitta: «I love you». Moltissimi altri sono gli interventi del coro: i ragazzi che partono per Venezia salutando allegramente le loro ragazze e invocando mentre sono sulla nave la Serenissima; il canto soave di giovani che su una barca incrociano la gondola che sta portando Aschenbach al Lido; le invocazioni a Tadziu da parte del coro femminile; le risate alla fine delle esibizione dei cantori ambulanti; il coro dei cittadini che assillano Aschenbach o che leggono i proclami di polizia, etc; tutti momenti in cui coro e solisti arricchiscono le scene musicali di momenti di particolare vitalità.
Nell’opera, come nel romanzo, Tadzio e la madre sono due personaggi muti. Il canto di Aschenbach è prevalentemente un declamato, come anche quello dei sei personaggi che lo attorniano. Ma in questi si deve manifestare un clima timbrico diverso, che ne deve caratterizzare le funzioni: un tono austero nel viaggiatore, un tono goffo e falsettato nel finto giovane, un tono solennemente servile nel direttore dell’hotel, un tono premurosamente servile nel barbiere, un tono irridente e sguaiato nel chitarrista capo dei suonatori ambulanti, un tono oracolare nella voce di bacco contrapposta a quella di Apollo. Quest’ultimo è un controtenore che canta una specie di nenia che finisce per avvoltolarsi su se stessa, lasciando il campo libero agli interventi di Dioniso.
L’esecuzione. La regia della Deborah Warner è stata a dir poco stupenda. La logica registica è quella di seguire il senso drammaturgico della musica con immagini appropriate, sia per quanto riguarda le scene che per quanto riguarda i movimenti corporei dei cantanti, del coro e dei vari personaggi. I cambiamenti di scena sono numerosissimi: nell’opera ne sono elencati 17: essi avvengono con grande economia e semplicità, ma anche con grande efficacia. Basta un sipario sul fondo che si alza per offrire uno scenario nuovo, oppure quinte che si spostano, o proiezioni che offrono vedute della laguna o della città in lontananza. La scena del cimitero è una scena scura che permette di intravvedere strutture rettangolari che potrebbero essere tombe, mentre una grande rete, investita da un raggio luminoso, ripiena di oggetti (libri? le creazioni di Aschenbach?) pende sulla destra del palcoscenico. Ma al momento in cui Aschenbach intraprende il viaggio, la scena si illumina, si alza un sipario dal fondo, compare un enorme fumaiolo, delle sartie che fanno immaginare la nave in partenza; le strutture rettangolari diventano casse di merce viaggiante, e così gli oggetti contenuti nella rete; i giovani in procinto di recarsi a Venezia cantano allegramente indirizzati alle loro compagne che rispondono; marinai, scaricatori vanno e vengono indaffarati; lo stesso Aschembach, che nella prima scena si presentava con un aspetto meditabondo ed era vestito in modo austero, ora compare indossando un abito più leggero e più chiaro che prelude a un clima vacanziero. La regia prosegue in questo modo: cambiamenti di illuminazione, piccoli spostamenti di oggetti, come sedie, poltrone, tavoli etc. sollevamento di sipari posteriori, spostamento di quinte, proiezioni sul fondo, costruiscono le diverse scene. La spiaggia si disegna con silohuette di cabine, disposizione di poltrone a sdraio, il mare in lontananza e un abbagliante sole al centro di un bel cielo azzurro; la hall dell’albergo e la camera sono significate da ampie tende leggere, sventolanti, che lasciano intravvedere un cielo sereno, e qualche mobile qua e là; lo spazio ampio e deserto della laguna è occupato da alcuni gondolieri che manovrano lunghe pale, e con sfondo appaiono volta volta immagini di profili di isole spoglie o l’immagine della skyline della città con i suoi campanili, le sue case le sue cupole. Le scene si trasformano le una nelle altre con quei piccoli artifizi che ho detto, dando l’immagine di una continuità quasi cinematografica. I costumi dei personaggi che richiamano i primi anni del XX secolo, sono essenziali per ricostruire l’ambiente: ricchi borghesi che popolano la hall dell’albergo, ragazzi che giocano sulla spiaggia, camerieri che vanno e vengono, liftboy che portano bagagli, venditori ambulanti e comuni cittadini che popolano gli spazi della città immaginata, mendicanti, saltimbanchi, impiegati come il giovane inglese che rivelerà ad Aschenbach la presenza del colera in città, etc. Sotto certi aspetti l’accuratezza descrittiva ricorda la precisione di Visconti nella ricostruzione operata nel suo film. Tutto questo offre alla spettatore una grande varietà e ricchezza visiva che si accompagna perfettamente con la musica e con la drammaturgia dell’opera.
L’interpretazione: sia quella musicale che quella teatrale, le definirei superbe. L’orchestra ha suonato al meglio. I timbri risaltavano con la dovuta ricchezza, i ritmi variabili e spesso imprevedibili, davano il necessario risalto alle azioni. L’orchestra nelle mani del direttore Edward Garner ha dato veramente il meglio di sé.
Bellissima anche l’interpretazione dei personaggi. Fra tutti mi sembra giusto citare l’Aschenbach di John Graham-Hall, che ha saputo dare al personaggio una valenza efficace, convincente, coinvolgente. Misurato, riflessivo nelle prime scene, si è gradualmente trasformato nell’individuo in preda alla passione fino alla caratteristica di degradato “finto giovane” che precede l’ inevitabile morte. Gli applausi per lui sono stati entusiastici. Altrettanto mi è piaciuto Iestyn Davies nella parte di Apollo: voce che sembra provenire più dall’interno dell’animo che non da un personaggio reale. Un filino al di sotto Peter Coleman-Wright nelle sette parti: per carità, ha cantato e si è mosso benissimo, ma forse immaginavo nei personaggi una maggior variabilità-vivacità sia vocale che di comportamento. In essi io vedrei raffigurate soprattutto le variabilità degli stati d’animo di Aschenbach che sta precipitando nel decadimento che lo porterà alla morte. Comunque giusti applausi sono stati attribuiti anche a lui.
In conclusione, per quanto mi riguarda, questa è stata una delle migliori serate scaligere di questa stagione e anche in assoluto.
25 marzo 2011 alle 20:40
Con lo sfondo della musica di Britten ho letto il commento alla recita scaligera.
Essendo stato presente anch’io a quella serata ho apprezzato maggiormente il tuo scritto che sottoscrivo del tutto.
Complimenti!
Giovanni da Firenze
25 marzo 2011 alle 22:04
Ti ringrazio del commento e dell’apprezzamento.
Rudy