IL MISTERO DI OBERWALD (Michelangelo Antonioni, 1980)

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Dopo Deserto rosso, a distanza di 16 anni, Monica Vitti torna ad essere interprete di un film di Antonioni. Il film è tratto da un lavoro teatrale di Jean Cocteau, L’aquila a due teste. Purtroppo, rispetto ai film precedenti, questo Mistero di Oberwald mi è parsa una realizzazione modesta e, francamente, non mi è piaciuta. Si tratta di una storia ambientata nell’ambito della Corte dell’Impero Austro-ungarico, anche se i personaggi, pur facendo riferimento a personaggi reali, sono inventati, così come i fatti e le situazioni loro ascritte.

Il film comincia con una caccia all’uomo in un bosco nel corso di un temporale. Siamo nel parco del castello di Oberwald. L’uomo (Franco Branciaroli), pur ferito, riesce a sfuggire ai suoi inseguitori, una pattuglia della polizia imperiale. Raggiungerà le mura del castello e con grande fatica riuscirà ad arrampicarsi e a entrare.

Nel castello è da poco arrivata la regina (Monica Vitti), rimasta vedova il giorno stesso delle nozze. Il marito, il re, è stato ucciso nella carrozza imperiale da un anarchico. La tragedia ha lasciato nella donna un indelebile rifiuto alla vita di corte. Ella si rifugia, con frequenti spostamenti, nei vari castelli dell’impero, evitando di incontrare o anche solo di farsi vedere da altre persone che non siano la sua lettrice, che funge anche da ancella, e da Tony, un servo fedelissimo cui sono affidati gli incarichi più segreti della sovrana. Fin dall’inizio si capisce tuttavia che la regina, pur nella sua regale libertà, è controllata in modo discreto, ma molto stringente da due personaggi: l’arciduchessa, ossia la madre del defunto re (che nel film non compare mai), e dal ministro di polizia conte di Föhn. L’ancella che fa da lettrice di fatto è la spia di questi, e con subdoli consigli di apparente saggezza cerca di indurre la regina a sottostare alla loro volontà.

Mentre la regina compie un rito che di prammatica compie quando giunge in un nuovo castello, cioè pranzare da sola nella sua stanza con il fantasma del marito nel tavolo di fronte, e in presenza del suo ritratto, l’uomo sfuggito i poliziotti entra dalla finestra. Immediatamente dopo sviene. La regina lo soccorre, lo aiuta, lo nasconde. Nel castello c’è un grande subbuglio. Tutti parlano dell’uomo sfuggito. L’ancella rivela alla sovrana che è stato accertato che l’uomo che la polizia sta inseguendo ha in programma di ucciderla, ripetendo il gesto fatto a suo tempo con suo marito. La regina non si impressiona. Rimasta nuovamente sola, cerca un contatto con l’uomo che, se in un primo momento si rifiuta di aprirsi, successivamente le rivela il suo nome, Sebastian, e le sue intenzioni, purtroppo fallite a causa della ferita subita. Fra i due nasce un’intesa ben presto trasformatasi in amore vero e propio. La regina sembra riacquistare amore alla vita, e decide di fidarsi di Sebastian, che, oltretutto assomiglia straordinariamente al defunto re. È necessario cercar di capire le intenzioni del ministro di polizia, il conte Föhn, ben presto giunto al castello per sovrintendere alla cattura di Sebastian. Sebastian sembra capire i problemi della regina e sembra disposto ad aiutarla. Le consiglia di svincolarsi dall’assurda solitudine che la donna si è autoimposta, di recarsi alla capitale, di cominciare a regnare, liberandosi da tutti quei collaboratori che vorrebbero tenersela in pugno.

Il ministro, che ha distribuito nel castello varie spie, capisce che il fuggiasco è nascosto e protetto dalla regina e ne immagina il compito. Così corre ai ripari: lo chiama ad un colloquio, cerca di strapparlo al rapporto con la sovrana e gli chiede di collaborare al progetto di tenere la regina in uno stato di subordine. In tal modo sarà affidato all’arciduchessa, e indirettamente a lui, il compito di governare e quindi il vero potere. L’alternativa, se non accetta la collaborazione, è l’arresto, il processo e quindi la condanna a morte. Sebastian rifiuta e avverte la regina. Ella deve partire subito per la capitale, far arrestare il conte Föhn, e assumere il potere. Egli non la seguirà, ma fuggirà sulle montagne. Questo tuttavia non è più possibile. Il castello è circondato. Egli verrebbe catturato e processato con grande danno morale per la regina. Decide quindi di uccidersi e inghiotte il veleno che agisce a scoppio ritardato. Quando la regina, in procinto di partire lo viene a sapere, innamorata com’è si dispera. Ricorda a Sebastian un patto che i due hanno stretto la sera del loro primo incontro. Egli avrebbe dovuto ucciderla se la donna non avesse avuto l’ardire di ucciderlo lei stessa. Era giunto il momento di eseguire il patto. La regina rinuncia a regnare e alla stessa vita. Impone al giovane di ucciderla. L’uomo, quindi, impugnando la pistola spara alla regina nello stesso momento in cui il veleno agisce e anche l’uomo muore.

Dal punto di vista cinematografico, vi sono belle fotografie, soprattutto all’inizio, nel bosco in preda a un temporale; vi sono belle rappresentazioni della sale del castello, ma non molto altro. Inoltre Antonioni, in questo film, sperimenta alcuni effetti elettronici sul colore, che, per sottolineare la drammaticità di certi momenti si sovrappongono ai colori naturali. Ma tutto sommato non mi sembra che questo dia al film la spinta che in un film di Antonioni ci si dovrebbe aspettare. Anche l’interpretazione di Monica Vitti mi è sembrata piuttosto fiacca, ben lontana da quella dei film precedenti, dove l’intensità dello sguardo e dell’espressione era più eloquente di qualsiasi parola. In conclusione, ho trovato un Antonioni molto sotto tono rispetto agli altri suoi bellissimi film.

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