LA VITA AGRA, di Luciano Bianciardi
Non è stato facile per me leggere questo libro che sotto l’aspetto di un racconto autobiografico è entrato, con un’analisi acuta e penetrante, valida ancor oggi dopo 50 anni dalla sua stesura, sulle contraddizioni, le irrazionalità, le alienazioni di una società che ha fatto del consumo il mito portante, così finendo per dimenticare o trascurare o rinnegare la natura umana. Bianciardi narra in prima persona senza mai tuttavia autonominarsi.
Se ne va dall’abitazione coniugale a Montemassi, dove viveva con la moglie e un figlio, senza tuttavia rompere il matrimonio, per trovare un’occupazione nella grande città, Milano. In realtà lo scopo, nelle sue intenzioni, è di altro genere: quello di vendicare la morte di 40 minatori, facendo saltare in aria il Pirellone, il palazzo dove ha sede della società che gestiva la miniera di carbonella a Montemassi, la miniera che è esplosa a causa del grisou e della mancanza di sistemi di sicurezza che l’azienda si è rifiutata di installare per massimizzare i profitti.
La sua vita a Milano si svolge fin dall’inizio in mezzo a contraddizioni. Da una parte il lavoro: le sue inclinazioni politiche, espressamente antisistema, lo tengono lontano dai posti di maggior responsabilità. Dall’altra le amicizie, soprattutto dell’ambiente dove ha trovato alloggio, in via della Braida: gli amici e i compagni criticano il suo obiettivo, considerato di derivazione anarchica e quindi piccolo borghese, e lo invitano invece a far vita attiva di partito, lavorando nella sezione e partecipando a manifestazioni. In una di queste incontra una fanciulla, Anna, con la quale intraprende un rapporto di convivenza. I due hanno una forte comunanza di interessi e cercano di realizzarsi in una situazione di forte contrasto con i luoghi comuni che dominano la società in cui si trovano a vivere.
Uno di questi è il significato del sesso: il sesso come piacere personale, come finalità di vita, contrapposto al sesso come strumento di promozione sociale, di invito al consumo, di ammiccamento per finalità di altra natura, che domina nei rapporti sociali della nuova società che sta crescendo negli anni Sessanta. Da questo contrasto, sorgono difficoltà sempre maggiori per la giovane coppia, che si trova a dover cambiare alloggio ripetutamente, e che ha difficoltà a trovare il danaro per sopravvivere, che faticosamente riesce a trovare impieghi che ben presto sono costretti ad abbandonare, etc. Nel descrivere le disavventure della giovane coppia, Bianciardi ci accompagna nelle vie, nel traffico, fra la folla della grande città, che appare sempre meno composta da uomini in carne e ossa, e sempre più da robot che si muovono meccanicamente, tutti per raggiungere uno scopo che non è la vita e il suo senso proprio, ma qualche cosa di estraneo che la giustifichi. Un esempio di questa incomunicabilità lo descrive quando, cercando di aiutare un povero cristo ubriaco che non si regge, ricorre a persone che stanno facendo altro (in questo caso giocando a carte) e che non smettono nella loro occupazione, fregandosene del povero disgraziato che ha bisogno di aiuto. Altro esempio sono i viaggi in tram. Non si tratta più di quei mezzi di trasporto che in altro tempo e altri luoghi si prendevano tutti assieme, e si finiva per conoscersi strada facendo. Oggi si può fare tutti i giorni più volte la giorno la stessa linea per andare al lavoro, senza mai incontrare un volto noto; magari ci si può divertire a distinguere e classificare le categorie cui appartengono i passeggeri: quelle prevalenti sono quelle degli impiegati, dei ragionieri, dice Bianciardi, in giacca e cravatta, magari con i baffetti; oppure quelle delle massaie esagitate che devono fare la spesa e sono alla ricerca di luoghi dove risparmiare; oppure ancora la categoria delle segretarie bruttine dalle gambe secche e dal fare sussiegoso. Niente donne belle. Quelle le si vedono solo al pomeriggio, sulla strada, oggi diremmo a fare shopping. E come viaggiano per andare o tornare dal lavoro? Non certo col tram. Ci saranno di certo ricchi personaggi che le accompagneranno con l’automobile.
Si pensi ai valori sui quali la società progredisce: un’economia che non è più basata sulle attività primarie, quelle che strappano le ricchezze al suolo, o sulle attività secondarie, quelle che trasformandole, rendono le ricchezze del suolo disponibili per il consumo, ma su attività terziarie o oltre. In queste ultime attività il valore non lo si può più misurare col parametro della quantità, come avveniva per le altre. Come si valuta ad esempio, chiede Bianciardi, la bravura di un prete, di un pubblicitario o di un PRM? Qui i parametri di valore sono molto fluidi, quando addirittura non più esistenti in modo oggettivo. Quello che conta, in queste condizioni è molto di più la rete delle amicizie, dei rapporti interpersonali, della presenza sul campo nei momenti decisivi. La cosa che conta è quella di marcare a uomo, marcare a zona, mai lasciare che gli eventi si verifichino senza il tuo apporto o con la tua assenza. E il parametro che verifica il grado di “bravura” che sei riuscito ad imporre, è il modo con cui i tuoi colleghi si rapportano a te, il loro rispetto o, al contrario, la loro indifferenza se non il loro disprezzo; o anche il posto di lavoro che ti viene offerto o che riesci a conquistare e magari sottrarre a un tuo agguerrito concorrente. Anche la quiete domestica diventa succube della frenesia, con persone che ti suonano il campanello, magari mentre stai dormendo o mentre stai facendo l’amore, per riscuotere rate, per contestarti tasse da pagare, per proporti cose inutili che finisci per acquistare per disperazione, etc. E quello che poteva essere un diversivo quotidiano, l’andar per negozi a fare acquisti e aprire contrattazioni col negoziante, finisce nell’anonimato di corridoi e di scaffalature dove persone senza volto armate di carrello sfilano per prelevare la merce, mentre eserciti di cassiere battono imperterrite i prezzi sulle loro macchinette.
E la vita, nata con l’entusiasmo, il piacere del sesso, la comunanza dei sensi e delle idee con la donna che vive con te, lentamente sfiorisce soffocata da un lavoro sempre più frenetico per riuscire a mantenere un minimo di sopravvivenza e da un sempre più grottesco rinchiudersi in se stessi. E finisce che la notte che si avvicina diventa non più il momento della gioia e del piacere erotico, ma il momento in cui il sonno ci prende, e “per sei ore” dice Bianciardi con un sogghigno di amara gioia “non ci sono più”.