TUTTO PER BENE, di Luigi Pirandello
Lavoro drammatico del 1919-20 scritto per l’interpretazione di Ruggero Ruggeri. La trama deriva dalla novella omonima scritta nel 1906 (Novelle per un anno, raccolta “La vita nuda”). La prima rappresentazione si ebbe a Roma, al teatro Quirino il 2 marzo 1920. Il protagonista fu appunto Ruggero Ruggeri; altri interpreti furono Amilcare Pettinelli nella parte del Senatore Manfroni, Tilde Telli nella parte di Palma. La rappresentazione fu un notevole successo di pubblico. La critica fu invece più tiepida. Alla fin fine questo dramma risulta essere considerato fra i lavori “minori” di Pirandello. Da notare che Pirandello, per rispondere ad alcune critiche non favorevoli, finse di ricevere dal protagonista una lettera nella quale Martino Lori, affermando di avere assistito allo spettacolo, spiega all’autore gli aspetti più significativi della vicenda e dei suoi sentimenti in essa coinvolti.
La trama: Il dramma comincia il giorno in cui Palma Lori, la figlia di Martino si sposa con il marchese Flavio Gualdi. Al rientro dalla chiesa dove si è celebrato i matrimonio, mentre sono in procinto di partire per il viaggio di nozze, trovano la nonna di lei, la signora Barbetti, madre della sua defunta madre, e il suo fratellastro, Carlo Clarino. La presenza di questi personaggi irrita terribilmente Martino, che non vuol sapere di riceverli. Dalla situazione di contrasto emerge l’antefatto: La Barbetti era stata a suo tempo sposa di uno studioso, il professor Agliani, che aveva fatto studi giudicati importanti nel campo della fisica. Da questi aveva avuto una figlia, Silvia. Alla morte del padre, avvenuta prematuramente per un incidente, Silvia si allontanò dalla madre, giudicando sconveniente il suo comportamento, e si recò a Roma, dove fu ospite e poi amante di un ex-allievo del padre, Salvo Manfroni. Questi presentò la donna a un suo sottoposto, Martino Lori, che la sposò ignorando la situazione. Nacque una figlia, Palma. Successivamente Silvia morì a causa di un malanno. Per Martino questa fu una tragedia, al punto che non riuscì a svolgere in modo appropriato le funzioni di padre per Palma, le quali invece furono svolte con grande impegno da Salvo Manfroni. Egli, per dar corpo al suo dolore, prese l’abitudine di recarsi ogni giorno al cimitero a visitare la tomba della defunta consorte. Sempre nell’antefatto, si apprende che Salvo Manfroni, come allievo dell’Agliani, si impegnò nella ricerca e portò avanti completandolo lo studio principale, restato incompiuto, dell’Agliani. Pubblicò un libro, fece una brillante carriera accademica, fu nominato senatore, e come tale fece fare carriera anche a Martino.
Il punto centrale attorno a quale gira tutto il lavoro è il disprezzo che la figlia Palma, il marito di lei marchese Gualdi, e lo stesso Salvo Manfroni ostentano nei confronti di Martino: Marino sopporta pazientemente; interpreta tutto questo come una reazione alla sua eccessiva e prolungata sofferenza che lo ha schiacciato dopo la morte della moglie e al suo comportamento poco realizzato come padre nei confronti della figlia.
Nel secondo atto questo rapporto si chiarisce in modo drammatico. Palma, all’ennesima lamentazione di Martino, si rivolge a lui e gli dice chiaramente di non essere figlia sua, ma di Manfroni. Inoltre soggiunge che egli avrebbe dovuto sapere benissimo che Silvia, la madre, era l’amante del senatore, e che il suo comportamento, falsamente addolorato per la morte di una moglie che tutto sommato l’aveva tradito ignominiosamente, era solo un artificio per mantenere un rapporto vantaggioso con Manfroni, che l’aveva aiutato a fare carriera e a ottenere un pensione elevata. La rivelazione ha su Martino un effetto esplosivo. Egli ignorava tutto questo. Manfroni non gli aveva detto assolutamente nulla, e si rende conto di come la situazione lo abbia esposto a un giudizio estremamente negativo non solo nei confronti della figlia, ma di tutti i conoscenti. La sua reazione colpisce Palma che si rende conto della sincerità di questa esplosione e ne avverte tutto il dolore: dolore che da sentimento prevalente causato dalla morte della moglie, diventa sentimento prevalente causato dal disonore nel quale, a sua insaputa, è stato travolto. Nasce in lui il desiderio delle vendetta nei confronti di Manfroni. Nel suo scrittoio, in un cassetto chiuso a chiave ci sono dei documenti lasciati dal professor Agliani dai quali si evince che lo studio fondamentale al quale stava lavorando era tutt’altro che incompiuto. Quindi il libro che ha dato fama a Manfroni è stato solo un furto di risultati cui Agliani era già pervenuto. Fino a quel momento Martino aveva preferito tacere la circostanza per una specie di riconoscenza verso il Manfroni, che si è dato così tanto da fare per Palma. Ma ora questa riconoscenza non ha più senso.
Nel terzo atto l’intrigo si scioglie. Martino va a casa di Manfroni e lo affronta, rinfacciandogli tutto: avergli taciuto la verità su Silvia e sulla paternità di Palma, e soprattutto aver rubato, essendosene appropriato a proprio vantaggio, gli studi di Agliani. Poi insiste che venga chiamata Palma col marito. La conclusione non può che essere pirandelliana. Prima di tutto Martino trae momentaneamente in inganno Palma rivelandole che la cosiddetta verità che le era stata raccontata, cioè di essere figlia di Manfroni, è in realtà una falsità. Ella è sua figlia. Palma gli crede, rimanendo a sua volta turbata. Ma neppure questa è la verità. Quindi, sostiene Martino, il fatto che Palma, anche solo per un momento l’abbia creduta vera dimostra che la verità non esiste come tale, ma solo come evento che scaturisce dalle circostanze in cui essa viene affermata. Pertanto non ha importanza di chi Palma sia figlia. L’importante è che ella sappia qual è il rapporto che l’ha legata a Manfroni: e così le rivela il furto di quest’ultimo sui risultati di Agliani. Palma ne rimane profondamente turbata, e si sente sempre più legata a Martino, penetrando la sua disperazione. Martino in un primo tempo minaccia di rivelare tutto, ma alla fine ritiene tutta questa giostra inutile. Tutto rimarrà come prima, solamente con la convinzione generale che la verità non avrà altro che il volto di chi se ne approprierà. “Tutto per bene” sarà la sua conclusione finale.
Il lavoro trova il suo fascino nel profondo dei sentimenti di un uomo onesto che viene attirato in una trappola che, agli occhi della gente, lo trasforma in un impostore. La grande sofferenza provocata da questa situazione percorre una serie di articolazioni che, partendo dalla propria responsabilità, che è stata quella di accettare, senza porsi domande legittime, il trasferimento dall’affetto paterno da se stesso al suo amico-principale; passa attraverso la responsabilità di Palma che condivide il disprezzo verso il padre senza porsi il problema dell’onore della madre che si è comportata da adultera; fino alla responsabilità dell’amico-principale che approfitta del senso di onore del sottoposto per attirarlo nella trappola mortale facendosi apparire ai suoi occhi come il salvatore della figlia; per finire alla realtà di un odioso furto che in base al quale è stato possibile per Manfroni ottenere onori pubblici, che conclude il ciclo con la accettazione da parte di Martino di questo furto e di non rivelarlo sempre in base a quel sentimento di riconoscenza che lo ha sempre legato all’amico-superiore.
La sostanza del messaggio di Pirandello è in una espressione dell’ultimo atto. Martino, scontrandosi con Salvo, vuole che al chiarimento siano presenti anche Palma e il marito. E quando Palma arriva, egli le comunica che il senatore, rivelandole di essere sua figlia, le ha mentito; e il senatore, sotto la pressione psicologica di Martino conferma. Palma allora, assieme al marito, finiscono per credere a ciò che Martino dice, e cambiano atteggiamento nei suoi riguardi. Poi Martino confessa di aver mentito a sua volta ed esce in un’affermazione critica: «Vedi? vedi? È spaventoso! Basta sapere una cosa e cangia, cangia subito tutto! Io ero così, come te, fino a poche ore fa! Mi credevo tuo padre; e tu mi disprezzavi, perché sapevi di non essere mia figlia! Ora invece che tu cominci a credermi tuo padre, e ti volti a me cangiata, io non posso, non posso raccoglierti fra le braccia, perché so, so che non sei mia figlia, e che sto facendo la commedia davanti a lui, davanti a tuo marito e a te!» In sostanza, ci dice Pirandello, i rapporti umani cambiano il nostro modo di pensare, di sentire e di essere, ma i comportamenti finiscono per seguire la loro strada indipendentemente dai nostri stati d’animo, che possono anche essere anche calpestati, e, tutto sommato è la strada che consideriamo “giusta”.
La rappresentazione di cui dispongo in DVD, diretta da Anton Giulio Majano, è interpretata nella parte del protagonista, da Renzo Ricci, considerato, dopo Ruggero Ruggeri il più autorevole degli interpreti di questo lavoro. Ricci ha il volto appropriato per esprimere, fino alla rivelazione, il dolore disperato di una marito abbandonato dalla amatissima moglie, e successivamente il volto disperato di chi si rende conto di essere caduto nella trappola che gli ha distrutto l’onore. La rappresentazione è affascinante ed esprime con molta chiarezza le conseguenze di un intrigo ripugnante, e la costante pirandelliana dell’ambiguità delle situazioni.
27 agosto 2019 alle 18:11
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