ISABELLA, TRE CARAVELLE E UN CACCIABALLE di Dario Fo, 1963
Dario Fo alle prese con Cristoforo Colombo e la conquista dell’America. L’antefatto lo racconta lui in una specie di prologo. La storia è ispirata a un fatto vero: un attore è stato condannato in Spagna, attorno al 1500, al rogo per eresia (aveva interpretato un lavoro di Fernando de Rojas, autore di origine ebraica e quindi sottoposto a giudizio inquisitoriale). Gli fu concesso di fare un’ultima rappresentazione. Poi la pena gli fu commutata nel taglio della testa.
E la rappresentazione avvenne proprio sul palco del supplizio. Sarà il racconto dei tentativi di Colombo di ottenere navi e finanziamenti per intraprendere una via più diretta per raggiungere le Indie: non la circumnavigazione dell’Africa, ma la via verso Ovest, attraversando il grande Oceano. Il tempo necessario sarebbe stato molto più breve.
L’ambiente descritto è quello della Spagna sotto la monarchia della Regina Isabella di Castiglia e del re Ferdinando d’Aragona. Siamo negli ultimi decenni del 1400. Gli spagnoli stanno combattendo per liberare il loro territorio dalla presenza araba. Nel 1487 l’assedio di Malaga, nel 1489 la conquista di Baza e nel 1492 la caduta di Granada. Proprio in questi anni Cristoforo Colombo illustra ai regnanti il suo progetto.
I personaggi, ovviamente, sono ritratti secondo la logica delle caricature: Isabella (interpretata da Franca Rame) è rappresentata come una donna autoritaria, ma anche ragionevole e attenta alle finanze del regno. Il suo atteggiamento nei confronti dei mori e degli ebrei è sì, ostile, ma anche non privo di una certa disponibilità. Gli arabi sono portatori di una civiltà che non si deve respingere: Platone, Aristotele sono stati rivalutati proprio da loro; anche il loro modo di vivere, è tutt’altro che disprezzabile. Si cercherà di convertirli, certamente, e solo i non convertiti saranno cacciati dalla Spagna. Gli ebrei appartengono a una comunità piena di soldi. Anche per loro solo la conversione al cattolicesimo è garanzia di poter vivere in terra spagnola. Ferdinando è dipinto come un re guerriero, ma, come ogni uomo (sembra dire Dario Fo), è sottomesso alla moglie, che lo tratta con sufficienza e gli controlla i conti. Colombo (impersonato dallo stesso Dario Fo) è un marinaio considerato dagli ambienti che egli frequenta, poco credibile. Le sue idee l’anno già allontanato dal regno del Portogallo, che è la patria di ben altri navigatori, e ora cerca di farle approvare dal regno di Castiglia, presentandole a Isabella.
Isabella, al contrario di Ferdinando, dimostra un certo interesse per il progetto, ma dato che le spese sono ingenti e i soldi a disposizione sono pochi, mette in atto una specie di processo per verificare la fattibilità dell’impresa e soprattutto il suo reale interesse per le finanze della corona. Colombo, per far passare le proprie idee non esista a mentire, a inventarsi prove inesistenti che l’India è raggiungibilissima, che il tempo di percorrenza è relativamente poco, dell’ordine di alcune settimane, che i costi saranno ridotti all’osso. Durante questo “processo” si manifestano situazioni di assurda comicità, tipo che la Terra abbia una forma a pera, che sia capovolta rispetto alla concezione più diffusa, e altre amenità del genere. C’è poi il problema dei riconoscimenti dovuti a Colombo in caso di successo: premio in danaro (percentuale sui tesori reperiti e sugli schiavi venduti) e attribuzione di onorificenze, come quella ambitissima di Ammiraglio capo, quella di cavaliere, nonché di cariche di governo, come quella di vicerè, etc.
Occorrono soldi. Come ottenerli, dice Isabella, se non cacciando gli ebrei, convertiti o no, non importa, basta che siano ricchi, dalla Spagna e sequestrando le loro ricchezze. Detto fatto.
Colombo potrà salpare per le Indie con tre caravelle.
Nel secondo atto Colombo ha avuto successo. È tornato, portando con sé ricchezze e indigeni catturati, vendibili come schiavi.
Ma Colombo non è oggetto di trionfo. Anzi, viene sottoposto a processo per quello che ha fatto durante la traversata. I tempi di percorrenza si sono dimostrati più lunghi di quelli previsti. C’è stato un ammutinamento, per sedare il quale sono stati impiccati quattro marinai; poi è stato sottratto con una banale scusa il premio del marinaio che ha avvistato terra per primo; poi ci sono stati maltrattamenti degli indigeni, con commercio truffaldino di piccoli oggetti di totale inutilità in cambio di oro, mentre per le leggi in vigore avrebbe dovuto scambiare oggetti utili per l’agricoltura, la falegnameria, etc. Insomma Cristoforo Colombo viene accusato di crimini infami, compresa la riduzione in schiavitù degli indigeni, l’assassinio di un ufficiale della flotta e tante altre infamità, delle quali Colombo non riesce a discolparsi. La condanna è durissima. La situazione tuttavia vuole che eventi fausti nella casa reale (nascita di infanti, matrimoni, e altre amenità) elargiscano amnistie che vanno a sommarsi ad altre amnistie in modo che alla fine Colombo anziché debitore, diventa creditore di anni di galera.
Intanto gli eventi si accavallano. La Spagna è in guerra con la Francia. Altri viaggi di Colombo, che tuttavia non portano ad alcun miglioramento nella sua credibilità di personaggio. Nel 1502 Colombo fa il quarto e ultimo suo viaggio verso le Americhe. Le condanne, i disconoscimenti, la sottrazione di quasi tutti i diritti sulle scoperte effettuate, lo hanno ridotto in miseria. Ormai è ridotto a un uomo della strada. Quasi più nessuno si ricorda di lui. Solo l’inquisizione non lo ha mollato. E vorrebbe condannarlo per stregoneria. E al ritorno dall’ultimo viaggio il pretesto non mancherebbe. La previsione di una tempesta che costò la vita a tante personalità influenti, ma risparmiò lui, sarebbe una motivazione sufficiente. Ma alla fine non se ne fa nulla. Così Cristoforo Colombo finisce la sua vita, lontano dagli onori, e in grande miseria.
La commedia finisce quando finisce la recitazione della storia di Colombo. L’attore, sul palcoscenico, che è anche il palco del patibolo, aspetta che arrivi la grazia dal sovrano e dal sommo inquisitore. Ma la grazia non arriva. Unica consolazione: egli non verrà bruciato, ma decapitato.
Fo e la Rame recitano alla loro altezza, circondati da personaggi che fanno sempre più risaltare le loro figure. La figura di Colombo, ci dice Dario Fo nell’introduzione, è qui riportata a un livello umano, con tutti i pregi (la testardaggine, la volontà etc.) e i difetti (l’imbroglio, la menzogna, l’avidità) che sono propri di tutti gli uomini, anche di quelli che hanno compiuto le imprese più memorabili. Per questo suo ridimensionamento, ci dice sorridendo Dario Fo, è stata sfidato a duello da uno degli spettatori della prima rappresentazione, in difesa di un onore che a lui sembrava calpestato.